La blockchain può aiutare chi opera nel sociale?

Crescono i casi di utilizzo delle blockchain nell'ambito di iniziative umanitarie o ad impatto sociale. Ma non ci sono solo vantaggi

Josephine Condemi
Le blockchain possono aiutare le iniziative che mirano ad ottenere un impatto sociale, ma occorre valutare i rischi © ipopba/iStockPhoto
Josephine Condemi
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Disintermediare la logistica e le filiere, rendere trasparenti le donazioni, crittografare file per denunciare reati alle autorità: si moltiplicano i casi di applicazione della tecnologia blockchain nel settore sociale. Sulla blockchain, ogni azione è una transazione finalizzata ad una ricompensa. Un do-ut-des che vale sia per l’infrastruttura tecnologica in sé che per gli algoritmi automatizzati (smart contract) che nell’infrastruttura vengono inseriti. La domanda allora è: si tratta di una logica compatibile con il sociale? 

Il problema dei Generali bizantini e la soluzione di Nakamoto

Davanti ad una cittadella assediata, più di tre generali con le proprie truppe devono coordinarsi su quando attaccare o ritirarsi. Sanno che i messaggi potranno essere manomessi, i messaggeri uccisi, che qualcuno potrà tradire. Il problema informatico dei Generali bizantini, uno dei più famosi nel calcolo distribuito, ha un frame di guerra. È, di fondo, un problema di fiducia

La blockchain inventata nel 2009 da Satoshi Nakamoto, o chiunque sia/no stato/i dietro questo nome, ha risolto il problema con la proof-of-work, la “prova di lavoro”: il messaggio viene criptato all’interno di un problema matematico molto difficile, che mette tutti al lavoro simultaneamente. Chi lo risolve per primo, dopo una serie di tentativi, trasmette il procedimento agli altri che lo verificano: se la soluzione viene ritenuta valida dal 51% dei nodi della rete, il risolutore riceverà una ricompensa in criptovaluta e l’attacco o la ritirata avranno luogo in modo simultaneo.

La blockchain è infatti una “catena di blocchi” che contiene transazioni criptate: per evitare di affidarsi (e fidarsi di) un unico intermediario, il registro delle transazioni viene distribuito in tante copie identiche su una rete di computer: per aggiungere altri blocchi alla catena, e quindi modificare il registro, occorre trovare un consenso tra tutti i nodi, ovvero i computer, della rete. 

La proof-of-work dovrebbe rendere poco conveniente imbrogliare

Il consenso viene quindi raggiunto attraverso una competizione tra i nodi stessi: chi “arriva primo” propone, gli altri verificano, la soluzione è matematica quindi certa. Molto controllo, poca fiducia. La blockchain di Nakamoto è pubblica, ovvero tutti possono leggere il codice criptato che registra le transazioni, e permissionless, ovvero ad accesso libero e anonimo. Come fidarsi, se la stessa persona potrebbe creare identità fittizie (sybil attacks) o poche persone potrebbero formare un cartello per raggiungere il 51%?  

L’idea di fondo della proof-of-work è che il problema da risolvere sia così difficile che diventi più conveniente spendere le proprie energie nell’essere onesti e prendersi la ricompensa anziché imbrogliare. La difficoltà del problema è tale da chiamare gli aspiranti risolutori miners, minatori, pronti ad estrarre criptovaluta con alto consumo di tempo, energia elettrica e computazionale. 

Il Bitcoin ha prodotto 48,35 milioni di tonnellate di CO2 equivalente in un solo anno

Nella pratica, quindi, l’accesso al mining è riservato a chi possiede le cospicue risorse necessarie all’operazione, hardware dedicato compreso. I Bitcoin sono previsti in numero finito, 21 milioni, di cui 18 sono già stati estratti: il mining è progettato per essere sempre più difficile e il cerchio per stringersi. Le tre principali mining farm, Foundry USA e le cinesi Ant Pool e F2 Pool, detengono insieme oltre il 60% della potenza di calcolo necessaria al mining (hashrate). 

A settembre 2022, il Bitcoin Electricity Consumption Index dell’Università di Cambridge ha stimato che la rete bitcoin abbia prodotto nell’ultimo anno circa 48,35 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, la metà dell’estrazione dell’oro, lo 0,10% delle emissioni globali di gas serra, quanto le emissioni del Nepal e della Repubblica Centrafricana. I combustibili fossili, primo il carbone, rappresentano quasi i due terzi del mix elettrico totale della rete, mentre dal 2018 le emissioni risultano pari a quasi 200 milioni di tonnellate. La Cina, nonostante il divieto emanato dal governo nel 2021, a gennaio 2022 era ancora la seconda nazione al mondo per quantità di mining, con il 21%, subito dietro agli Stati Uniti (che raggiungono il 37%). 

Ethereum, gli smart contract e la proof-of stake

Nel 2014, un programmatore di Bitcoin, Vitalik Buterin, classe 1994, ha descritto il suo progetto Ethereum: un sistema di criptovaluta basato su blockchain open-source scalabile, capace di supportare, dentro le transazioni, gli smart contract, algoritmi “se-allora” attivabili da applicazioni specializzate e decentralizzate (Dapps). In pratica, la possibilità di implementare strumenti finanziari automatizzati attraverso la blockchain: per ogni smart contract, è prevista una commissione. Dopo una rapida raccolta fondi, da Zugo, in Svizzera, Buterin ha cominciato a sviluppare il codice, fondato la non-profit Ethereum Foundation e lanciato la versione beta nel 2015.  

Il protocollo di consenso originario di Ethereum si basava sulla proof-of-work, quindi sul meccanismo di verifica e ricompensa ideato da Nakamoto. L’esecuzione dello smart contract veniva quindi verificata con il consenso di almeno il 51% dei nodi della rete. Ma se le transazioni sulla blockchain sono protette da crittografia, la direzione della catena di blocchi non è immutabile: nel 2016 la blockchain di Ethereum si è biforcata (hard fork) a seguito di un bug, un errore di codice negli smart contract della Decentralized Autonomous Organization (DAO). Approfittando di quel bug, al fondo di venture capital fu sottratto quasi un terzo del capitale in criptovaluta. I termini dello smart contract prevedevano che i trasferimenti sarebbero avvenuti entro 28 giorni, quindi i soldi non erano ancora spariti. Modificare la catena per rimborsare i creditori o lasciar correre? 

Il caso di Buterin e dell’hacker

È nato un dibattito acceso: alla proposta di Buterin di eseguire un soft fork, un aggiornamento che impedisse all’hacker di prelevare i soldi, questi ha risposto con una lettera aperta alla comunità in cui affermava di aver “prelevato” in modo legale, ovvero previsto dallo smart contract, e di essere disposto ad offrire laute ricompense agli altri membri in cambio del rifiuto del soft fork

Alla fine è stato eseguito un hard fork, una biforcazione non compatibile con quanto avvenuto in precedenza: la catena è stata riportata indietro, a prima dell’attacco hacker, per permettere il rimborso ai derubati. Chi non era d’accordo, e ha sostenuto che fosse in atto una specie di censura, ha continuato ad usare il protocollo originale e ha dato vita a Ethereum Classic. 

La proof-of-stake, il capitale e i ricchi che si arricchiscono sempre di più

Un anno dopo, nel 2017, è nata la Enterprise Ethereum Alliance, il cui board oggi comprende rappresentanti di Banco Santander, Accenture, Microsoft, JP Morgan, Ernst&YoungIl 15 settembre 2022 è avvenuto “The Merge”, il passaggio di Ethereum dal proof-of-work al proof-of-stake in cui, ha calcolato il Bitcoin Electricity Consumption Index, il consumo di elettricità della blockchain è diminuito del 99,99%. 

Il proof-of-stake è un algoritmo di consenso che si basa sulla prova di manifestazione di interesse: la validazione delle transazioni avviene attraverso gli holder, account anonimi che devono provare il possesso di un determinato capitale. Gli holder si propongono per la verifica e puntano parte del capitale in garanzia (lo stake): più puntano, più hanno la possibilità di essere selezionati rispetto agli altri nella “lotteria algoritmica” che sceglie i validatori. 

Se l’holder propone transazioni non valide, perde il capitale che ha puntato. Questo dovrebbe servire a disincentivare i tentativi di manomissione della blockchain. Viceversa, se le transazioni sono ritenute valide, la percentuale delle commissioni è proporzionale al capitale investito. I ricchi diventano sempre più ricchi: il controllo sul possesso del capitale a garanzia è condizione che gli investimenti siano coperti, ma non è chiaro come si limitino i rischi di formazione di una oligarchia proprio basata sul capitale posseduto. 

Blockchain e sociale: gli esempi

Nel 2019 l’Unicef ha lanciato il proprio CryptoFund di Bitcoin ed Ether. Tra le startup già finanziate, l’indiana StaTwig, il cui Vaccine Ledger è stato nominato bene pubblico digitale dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a maggio 2022. Vaccine Ledger è una piattaforma di gestione della catena di approvvigionamento dei vaccini che combina Internet of Things e blockchain per rendere completamente trasparente la filiera di distribuzione: i dati di ogni singola dose vengono registrati in blockchain, elaborati, geolocalizzati e monitorati in tempo reale, così come ogni transazione. Diventa quindi molto difficile contraffare, rubare, commerciale illegalmente le dosi e al contrario è possibile controllarne in ogni momento la temperatura e le condizioni di conservazione.  

Antonio Guterres alla cerimonia di apertira della Cop 26 © Karwai Tang: UK Government Cop27
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres © Karwai Tang/UK Government

Circles of Angels, sviluppata dall’argentina Atix Labs, è invece una piattaforma open-source per favorire la trasparenza delle raccolte fondi a impatto sociale attraverso la registrazione in blockchain delle transazioni e dell’avanzamento dei lavori di ciascun progetto. Nato come B2C, si sta spostando sul B2B con l’implementazione di API da far inserire sui siti delle imprese o organizzazioni interessate.  

Tra le iniziative finanziate dal fondo Unicef nel 2022, XOneFi, prima piattaforma open-source di condivisione wi-fi basata su blockchain, che punta a portare la banda larga in Nigeria. La blockchain servirà a gestire autenticazioni e sessioni di connessione attraverso gli smart contract nonché a registrare le transazioni: gli utenti potranno ridurre il costo di connettività condividendolo.   

Dai pagamenti sanitari in Congo alla trasparenza nelle donazioni

Wi-Qare  è invece una piattaforma open-source sviluppata da una startup della Repubblica Democratica del Congo: punta ad essere un digital health wallet, ovvero usare la blockchain per i pagamenti sanitari transfrontalieri che migliorino l’accesso alle cure. 

Anche CHATS (Convexity Humanitarian Aid Transfer Solution) vuole utilizzare la blockchain per favorire la trasparenza delle donazioni e dei voucher di assistenza tra Ong e beneficiari: gli aiuti vengono registrati, geolocalizzati e le identità dei beneficiari sono verificate e visibili ai donatori. Sul punto, gli implementatori assicurano che i dati siano conformi alla versione nigeriana del GDPR e sempre crittografati. Gli smart contract sono privi di commissioni ed è possibile donare in stablecoin, criptovalute ancorate a valute tradizionali. Le transazioni avvengono anche senza connessione Internet via app o carta NFC. 

InvestTools, compagnia brasiliana nata per sviluppare servizi di brokering, ha sviluppato una soluzione che emette token legati alla valuta statale: la blockchain potrebbe registrare ogni trasferimento finanziario da un ente pubblico, con conseguente aumento di trasparenza. Per migliorare la connettività delle scuole svantaggiate, la compagnia ha ricevuto finanziamenti dal fondo Unicef per sviluppare un ecosistema che colleghi scuole, Internet Service Provider ed enti pubblici: ad ogni scuola viene assegnato da Giga, l’iniziativa Unicef e International Communication Union, un punteggio di connettività a cui corrispondono altrettanti token. Questi rappresentano gli incentivi non monetari forniti dagli enti statali; gli Internet Service Provider firmano smart contract per avere quei token. 

Trasparenza, tracciabilità e decentralizzazione, ma anche controllo, poche garanzie e controparti anonime

Il World Food Programme delle Nazioni Unite ha finito di testare nel 2021, in collaborazione con Ethereum Foundation, il progetto Building Blocks, il più grande sistema di distribuzione di contante basato su blockchain del settore umanitario: un milione di rifugiati siriani e rohingya in Giordania e Bangladesh ha ricevuto aiuti per un valore di 325 milioni di dollari. L’erogazione avviene attraverso voucher elettronici inseriti in specifici qr-code. In Libano, il progetto è servito come piattaforma di coordinamento per 15 organizzazioni diverse: all’indomani dell’esplosione del porto di Beirut, sono stati distribuiti 56 milioni di dollari. 

World Food Programme, Unicef e Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) insieme ad oltre 500 membri di 35 agenzie Onu stanno sperimentando la versione 2.0 del progetto Atrium, dedicato al personale per imparare a usare la blockchain. 

In Europa, lo European Investment Bank Institute nel 2019 ha finanziato Help for Hope (www.hehop.org) un’organizzazione no profit che ha sviluppato una app per salvare e criptare in blockchain file utili a denunciare casi di violenza domestica

Trasparenza è tracciabilità, dunque, ma anche controllo. Decentralizzazione e distribuzione di risorse e potere, ma anche necessità di trovare un consenso tra anonimi. E senza la garanzia di terze parti. Tu, di cosa ti fidi?