First Republic Bank fallisce: a comprarla è JP Morgan Chase
Con First Republic Bank, il sistema finanziario americano inanella il terzo fallimento bancario del 2023. Il più grande dal 2008
È stato un tracollo verticale, quello di First Republic Bank. La fuga di depositi, il tonfo in Borsa, i frenetici – e parziali – tentativi di puntellare la crisi. Nella mattina di lunedì 1 maggio, poco prima dell’apertura della Borsa statunitense, è arrivata la conferma. La banca finisce in amministrazione straordinaria e le sue attività passano a JP Morgan Chase. Era dalla crisi finanziaria globale del 2008, per la precisione dal crack di Washington Mutual, che negli Stati Uniti non falliva una banca di queste dimensioni.
Perché First Republic Bank è fallita
Fondata nel 1985, per anni First Republic Bank si fa conoscere tra gli imprenditori e altri clienti facoltosi offrendo loro prestiti consistenti a tassi stracciati. Lo scorso gennaio, il suo mutuo medio per una casa unifamiliare ammonta a 685mila dollari. Questa strategia funziona a livello commerciale ma – sottolinea Reuters – la espone al primo rischio: in caso di fallimento, infatti, lo Stato garantisce i conti correnti solo fino a 250mila dollari. Nel frattempo, per tenere a bada l’inflazione, la Federal Reserve alza a più riprese i tassi d’interesse. Di conseguenza, il portafoglio di prestiti e di investimenti di First Republic Bank perde valore.
I clienti, nel bel mezzo della crisi di fiducia dovuta al crack di Silicon Valley Bank, temono per i loro depositi e ritirano circa 100 miliardi di dollari. Un gruppo di grandi banche, tra cui JP Morgan Chase, ne inietta 30 per tenere in salute First Republic Bank. Ma la manovra funziona solo in parte e i suoi titoli sprofondano in Borsa. Alla chiusura di venerdì 28 aprile hanno perso il 97%. Passato il weekend, la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) prende il controllo della banca statunitense. È la terza a fallire dall’inizio di marzo, dopo Silicon Valley Bank e Signature. Sommando tutti i loro asset, e rivalutandoli per tenere conto dell’inflazione, si arriva a un totale che è più alto rispetto a quello delle 25 banche collassate nel 2008.
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JP Morgan Chase diventa ancora più ipertrofica
Diverse banche negoziano con la FDIC ma alla fine a spuntarla è JP Morgan Chase. Era successo lo stesso anche nel 2008 quando era fallita Washington Mutual, sottolinea CNBC. L’istituto acquisisce dunque tutti i depositi di First Republic Bank, vale a dire 92 miliardi di dollari, restituendone però 25 alle altre banche che – insieme a lei – li avevano versati poche settimane prima. Oltre a questo, intasca la «sostanziale maggioranza degli asset», cioè 173 miliardi in prestiti e 30 miliardi in titoli. La FDIC, per conto suo, assorbe la maggior parte delle perdite su mutui e prestiti commerciali e offre a JP Morgan una linea di credito da 50 miliardi.
Il colosso bancario dovrà versare 10,6 miliardi alla FDIC e spenderne circa 2, nei prossimi 18 mesi, per completare l’iter di integrazione. Dall’altro lato, incasserà un guadagno una tantum di 2,6 miliardi e oltre 500 milioni di profitti annui in più. «Il nostro governo ha invitato noi e altri a farci avanti e così abbiamo fatto», dichiara il numero uno Jamie Dimon, specificando che l’acquisizione apporterà benefici «modesti» per l’azienda.
Se saranno davvero così modesti lo si capirà col tempo. Quel che è certo è che JP Morgan Chase già prima era la maggiore banca d’Oltreoceano, con 3.670 miliardi di dollari di asset e 2.380 miliardi di depositi. Tant’è che, pur di concludere l’operazione, le autorità hanno fatto un’eccezione alla regola per cui una banca che possiede il 10% dei depositi totali non può comprarne un’altra. Con quest’acquisizione, diventa ancora più grande: l’esempio da manuale di “too big to fail”.
Il mea culpa della Federal Reserve
A sentire il presidente statunitense Joe Biden, è tutto sotto controllo. Il sistema finanziario è «sano e salvo» e l’accordo raggiunto protegge sia i correntisti – che vedranno solo cambiare insegna alla propria filiale – sia i contribuenti. Anche diversi analisti gettano acqua sul fuoco, ricordando come Silicon Valley Bank, Signature e First Republic Bank fossero molto simili tra loro, e quindi vulnerabili alle attuali condizioni di mercato, ma non certo rappresentative del comparto bancario nel suo insieme.
È però la stessa FDIC, nelle stesse ore, a far notare che i depositi di importo superiore ai 250mila dollari – e quindi non garantiti dallo Stato – sono sempre di più. Alla fine del 2022 raggiungevano un volume complessivo di 7.700 miliardi di dollari, cioè il 43% del totale. «Grandi concentrazioni di depositi non assicurati aumentano il rischio di corse agli sportelli e possono minacciare la stabilità finanziaria», dice a chiare lettere il presidente Martin Gruenberg. Invitando il Congresso a cambiare le regole, per ampliare le tutele.
Intanto la Federal Reserve, la banca centrale americana, fa mea culpa attraverso un lungo e dettagliato report sul fallimento di Silicon Valley Bank. «Gli standard normativi per SVB erano troppo bassi, la supervisione non ha funzionato con forza e urgenza sufficienti e il contagio dovuto al fallimento dell’azienda ha comportato conseguenze sistemiche che non erano state contemplate» dalla stessa Fed, scrive l’autore del rapporto, Michael S. Barr.
È tutt’altro che usuale che la Federal Reserve faccia una così palese autocritica, sottolinea il New York Times. E forse non è un caso che si sia decisa proprio adesso a farlo.