Se le sanzioni occidentali “salvano” le banche russe dalla crisi

Tagliate fuori dal sistema finanziario internazionale, gli istituti di credito russi potrebbero risparmiarsi questa nuova crisi bancaria

Le banche russe per ora non sono state travolte dalla crisi © RG72/Wikimedia Commons

È venerdì 17 marzo, la statunitense Silicon Valley Bank è fallita insieme a Signature e Silvergate e anche la svizzera Credit Suisse inizia a non passarsela troppo bene (la assorbirà UBS poche ore dopo). Eppure, c’è qualcuno che ostenta sicurezza: «Crediamo che i rischi per il sistema finanziario siano minimi». Quel qualcuno è Elvira Nabiullina, governatrice della banca centrale russa. La sua tranquillità è figlia di una considerazione che in pochi potrebbero contestare: «Il nostro sistema finanziario è meno connesso al sistema globale».

La Russia è isolata anche dalla crisi bancaria

Quando nel 2008 è crollata Lehman Brothers, ricorda Les Echos, lo scenario era ben diverso. La Russia all’epoca era stata travolta in pieno. Dopo un decennio di crescita dovuto prevalentemente alla vendita di idrocarburi, nell’arco di pochi mesi il mercato azionario era precipitato del 70%, il rublo si era svalutato rispetto al dollaro, le riserve in valuta straniera della banca centrale erano scese da 600 a 484 miliardi di dollari e il club dei miliardari aveva perso il 70% dei propri membri. Costringendo lo Stato a immettere nell’economia 300 miliardi di rubli (8,4 miliardi di euro) a sostegno di banche e imprese.

Sono passati quindici anni ed è in corso una nuova crisi bancaria. Una crisi differente, per cause, dimensioni e dinamiche. Ma che ha trovato ad attenderla una Russia differente. Nel pieno di una sanguinosa invasione dell’Ucraina che dura ormai da un anno e che l’ha isolata da Europa e Stati Uniti. Un isolamento che è anche finanziario, con la disconnessione dalla rete Swift delle principali banche (ma non Gazprombank). Ormai, sostiene la Banca Centrale Europea, gli istituti del Vecchio Continente hanno un’esposizione verso la Russia di soli 87 miliardi di euro. Come risultato, la Russia sarebbe sostanzialmente «assicurata contro l’impatto negativo della crisi in corso all’estero», sostiene Dmitry Peskov, portavoce di Vladimir Putin.

Vladimir Putin
Il presidente russo Vladimir Putin © Kremlin.ru/Wikimedia Commons

Si indaga su banche svizzere e oligarchi russi

Per spiegare quanto la Russia sia estromessa dalle stesse banche che ora affrontano questa ennesima crisi, Les Echos fa anche l’esempio di Credit Suisse. Che, all’indomani dello scoppio della guerra, avrebbe congelato beni per 19 miliardi di dollari nel Paese. Su quanto gli istituti di credito svizzeri siano ligi nell’applicare le sanzioni, però, sembra che il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti voglia vederci chiaro. Stando ad alcune indiscrezioni riportate da Bloomberg, infatti, sarebbe in corso un’indagine che riguarda sia Credit Suisse, sia la sua acquirente e “salvatrice” UBS, sia alcune banche statunitensi non meglio identificate. Il sospetto è che alcuni professionisti della banca abbiano aiutato gli oligarchi a eludere le sanzioni.

Gli unici dati certi, per ora, sono quelli precedenti al conflitto. All’epoca Credit Suisse era molto vicina ai miliardari russi, arrivando a gestire per conto loro fino a 60 miliardi di dollari, il che le garantiva introiti annui compresi fra i 500 e i 600 milioni. A maggio del 2022, quando ha annunciato di voler tagliare i ponti con i clienti russi, Credit Suisse deteneva per loro circa 33 miliardi di dollari. Il 50% in più rispetto alla rivale UBS che, pure, poteva contare su un business di gestione patrimoniale molto più consistente.

Come stanno le banche russe dopo un anno di guerra

La domanda, però, è lecita. Dopo più di un anno dall’invasione dell’Ucraina, in che condizioni è il sistema bancario russo? Il dato di fatto è che, per una qualsiasi azienda occidentale, in questo momento pensare di avere relazioni commerciali con la Russia è molto, molto difficile. I dati Eurostat sulla bilancia commerciale mostrano un visibile calo.

Le banche russe, nonostante tutto, sono però ancora in piedi. In parte è grazie allo Stato che le protegge. E che, nel caso della statale Sberbank, ha ricevuto in cambio un lauto dividendo da poco più di 4 miliardi di dollari, cioè il 200% del profitto annuale dell’istituto, in un anno in cui gli utili sono precipitati dell’80%. In parte è grazie alla stessa Elvira Nabiullina che negli ultimi anni ha fatto pulizia, chiudendo centinaia di banche private non ritenute sufficientemente solide. Anche la scelta di tagliare i rami secchi ha permesso al comparto bancario russo di sopravvivere, almeno per ora. Guardando, da lontano, il trambusto che ha colpito le loro omologhe europee e americane.