Baltimora, come nasce un collo di bottiglia che fa crollare un’economia
Una portacontainer abbatte il ponte all'ingresso del porto di Baltimora. Traffico navale paralizzato e caduta verticale di un'intera economia
Coinvolti ottomila posti di lavoro, ipotizzati oltre 3 miliardi di dollari di esborso assicurativo, inevitabile il blocco totale del più importante porto del Maryland. Queste solo alcune conseguenze di un incidente che conferma la regola: i colli di bottiglia governano il Pianeta. Sotto il profilo geopolitico, economico, commerciale, ambientale, sociale, questi imbuti danno e tolgono linfa vitale ad assetti nazionali ed internazionali. Inoltre, laddove essi non si occludano per ragioni belliche, basta un sinistro per generare il Mayday di vasta portata. È il caso della nave portacontainer Dali che, alle 1:28 locali del 26 marzo scorso, abbatte il Francis Scott Key Bridge di Baltimora, urtandone un pilone.
Cosa sappiamo della portacontainer Dali
Varata nel 2015, questa nave cargo batte bandiera di Singapore . È targata 9697428 per l’IMO (International Maritime Organization) e identificata con le nove cifre 563004200 dell’MMSI (Maritime Mobile Service Identity). Ha appena mollato gli ormeggi nel porto di Baltimora, segna un pescaggio di 12,2 metri, ed è diretta a Colombo nello Sri Lanka. La sua corsa, però, si interrompe subito. Le sue 100mila tonnellate si schiantano contro un pilone del ponte che scavalca il fiume Patapsco, su cui corre l’autostrada Interstate I-695. Lunga oltre 2,5 km, la struttura cede, spezzandosi in più parti tra le diverse campate. È l’avvento di un nuovo collo di bottiglia: il porto di Baltimora e relativo hub sono fuori uso.
Lungo 984 piedi (299,92 metri) e largo 158 piedi e 2 pollici (48,2 metri), il cargo Dali è stato costruito dalla coreana Hyundai Heavy Industries. Utilizzato prevalentemente per collegamenti tra Asia e l’East Cost Usa, è di proprietà della Grace Ocean, gestito dalla Synergy Marine Group di Singapore ma operativo per la danese Maersk. Nella notte dell’incidente, sembra non trasporti merce pericolosa. Tuttavia, le autorità statunitensi parlano di alcuni container caduti in mare, almeno 14 danneggiati e carichi non del tutto identificati di sostanze chimiche. Molto il materiale ospedaliero, mentre le etichette di circa 55 container segnalano merce non certo inerte, tra cui batterie.
Il crollo del Francis Scott Key Bridge a Baltimora
In larghezza, il canale da e verso il porto di Baltimora quota 350 metri. Se la Dali si fosse tenuta al centro di questa ampiezza, sarebbe passata tranquillamente sotto il Francis Scott Key Bridge. Invece, lungo la rotta il cargo scarroccia lentamente a dritta e si schianta contro un pilone, in prossimità dell’Hawkins Point Shoal. Perché? Dalle prime dichiarazioni dell’equipaggio, che non è riuscito a frenare l’abbrivio della nave, emerge una strana avaria ai motori. In sostanza, uno stop and go del loro funzionamento: quindi, una perdita di potenza a intermittenza. Ciò avrebbe determinato il lancio di diversi Mayday, che hanno permesso il blocco e l’evacuazione del ponte da parte della Guardia Costiera del Maryland.
Nonostante tutto alcuni addetti alla struttura, operativi in quel momento, sarebbero morti. Da parte sua, il dipartimento dei Trasporti statunitense ha subito dato il via libera ai primi 60 milioni di dollari per la ricostruzione del ponte. Secondo il Washington Post, sarà usato un fondo d’emergenza. All’orizzonte, la copertura dei costi che sosterrà il Maryland per deviare il traffico; una parte dell’autostrada che attraversava il ponte non c’è più.
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Domande per un’inchiesta
Il canale è ormai un collo di bottiglia, mentre il sinistro viene catalogato dalle autorità Usa come un mass casualty event, visto il non definito numero di persone e veicoli coinvolti. Si parla di alcune auto, un camion e almeno sei individui precipitati in mare. Tra le poche certezze, il mancato uso di pilotine, solitamente adibite a condurre ingressi e/o uscite da porti e stretti: possibile? Presenti a bordo del Dali, invece, ben due piloti del porto di Baltimora.
Al vaglio, poi, i quattro pilastri principali del ponte. I due, situati ai lati del centrale corridoio di navigazione, protetti solo con modesti delfini di cemento e annesse paratie di legno e cemento armato. Tra le prime critiche, la domanda: per una costruzione risalente agli anni ’70, quando i cargo non erano affetti dal gigantismo del secolo odierno, non sarebbe stato necessario proteggere i piloni con vere e proprie isole artificiali?
Danni ambientali, sociali, umanitari. E assicurativi
Sul fronte delle ricadute ambientali e sociali, colpiscono due dichiarazioni emerse a caldo. È appena il 27 marzo, e Peter Gautier – viceammiraglio e vicecomandante della Guardia Costiera statunitense – ha già una certezza. I container finiti in acqua dopo l’impatto «non contengono materiali pericolosi». Magari l’uso del condizionale avrebbe aiutato. L’uso del presente, però, è molto più funzionale alla conclusione: «Non c’è nessun pericolo per la popolazione». Durante lo stesso briefing con la stampa, che si tiene alla Casa Bianca, il segretario ai Trasporti, Pete Buttigieg, afferma invece che ammontano a circa 8mila i posti di lavoro coinvolti dal crollo del ponte. Non ultimo, sottolinea che il danno è di «portata astronomica», poiché trattasi anche di medicine e prodotti utili allo Sri Lanka.
L’inchino della Costa Concordia del 2012 è costato circa 2 miliardi di dollari. In questo caso, si ipotizza un esborso assicurativo che supererà i 3 miliardi. Un autentico record per il settore marittimo. Lo afferma S&P Global Ratings, pur ammettendo che il costo finale delle perdite è «ancora fortemente incerto».
La Dali è assicurata da Britannia. Questa fa parte di P&I Club, che raduna 12 associazioni mutualistiche specializzate in coperture assicurative dedite al settore marittimo. In sostanza, la filiera si compone di assicuratori e riassicuratori. Il Club, infatti, condivide le maggiori perdite fino a 100 milioni di dollari; quel che conta, però, è il suo programma mutualistico, con ulteriori 3 miliardi di dollari di protezione riassicurativa. Ebbene, questo incidente potrebbe mettere in fila non pochi risarcimenti: dalla copertura dei costi di ricostruzione del ponte ai danni alla nave e al carico, dall’interruzione di attività coinvolte dal collo di bottiglia a risarcimenti per responsabilità civile.
L’effetto domino dell’incidente di Baltimora, il collasso di un intero sistema
Si pensi che, a una settimana dall’incidente, l’80% del ponte è sott’acqua. Un esiguo canale di navigazione è stato aperto, ma per navi commerciali essenziali o d’emergenza; a tutti gli altri cargo è inibito. L’area è completamente interdetta e, con essa, ogni possibilità di uscita per le circa 40 navi intrappolate in rada, comprese quattro unità della marina militare statunitense. Le attività portuali sono ferme e una seconda stima indica in 15mila i lavoratori inoccupati. Ogni anno, nel porto di Baltimora transitano intorno agli 80 miliardi di dollari di scambi commerciali, soprattutto afferenti al settore auto.
Nonostante le dichiarazioni di rito, è possibile che le conseguenze dell’incidente ricadano sul mercato riassicurativo europeo. Attenzionate le leader del riassicurativo Swiss Re, Hannover Re e Axa Xl. Da parte loro, tuttavia, no comment o ipotesi meno negative. L’ottimismo potrebbe però non pagare. Si pensi che, tra cargo intrappolate in rada e almeno una decina in attesa di entrare in porto, il blocco finirà per essere imputato alla Dali. Secondo Cma Cgm, le esportazioni su Baltimora dovranno essere reindirizzate a spese dello spedizioniere. Da parte sua Msc ricorda che il servizio «non sarà ristabilito per diverse settimane, se non mesi». Destinazioni alternative? New York, Norfolk o Filadelfia. Il collo di bottiglia, insomma, ha squilibrato un intero sistema: qui, causato da un incidente. Laddove è minato da mesi di guerra, invece, cosa accade?