«Il clima? Non ci riguarda». L’incredibile dichiarazione del presidente della Federal Reserve
La Federal Reserve cerca di occuparsi del clima il minimo indispensabile. E va allo scontro con la Banca centrale europea
«I responsabili della Fed spesso vengono spinti a prendere posizione su questioni che sono verosimilmente rilevanti per l’economia ma non rientrano nel nostro mandato […]. Le politiche per affrontare i cambiamenti climatici sono compito dei funzionari eletti e di quelle agenzie a cui è stata affidata questa responsabilità. La Fed non ha ricevuto alcun incarico del genere. Abbiamo tuttavia un ruolo ristretto che si riferisce alle nostre responsabilità come supervisori del sistema bancario. I cittadini si aspetteranno che gli istituti che regoliamo e supervisioniamo capiscano e riescano a gestire i rischi materiali che affrontano; questi, nel corso del tempo, probabilmente comprenderanno anche i rischi finanziari legati al clima. Non siamo, né cerchiamo di essere, policymaker sul clima». Questo capolavoro di immobilismo è opera di Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, la banca centrale statunitense.
Federal Reserve e Banca Centrale Europea agli antipodi sul clima
Ad ascoltare queste parole, pronunciate durante un evento a Stanford, in California, si direbbe quasi che la Federal Reserve faccia un lavoro totalmente diverso da quello della Banca Centrale Europea. Un’istituzione che, seppure con tutti i suoi limiti, ha imposto alle banche stress test climatici e ambientali. Smascherando, così, le grosse lacune degli istituti di credito e mettendo a punto un sistema di indicatori standardizzati che permettano loro di valutare i rischi climatici con quella precisione che, fino ad oggi, è mancata. È stata sempre la Banca Centrale Europea a promettere (pur con un certo ritardo) di costruire il proprio portafoglio di obbligazioni corporate privilegiando le imprese più virtuose in termini ambientali. Abbandonando, così, lo storico dogma della neutralità.
Certo, anche la Federal Reserve – insieme alla Federal Deposit Insurance Corporation e all’Office of the Comptroller of the Currency – ha pubblicato i princìpi che i grandi istituti finanziari dovranno seguire per la gestione dei rischi finanziari legati al clima. Solo quelli con asset superiori ai 100 miliardi di dollari, però. C’è stato anche uno stress test climatico pilota sulle sei banche più grandi. Ma fin dall’inizio la banca centrale ha chiarito che è soltanto «di natura esplorativa» e non comporterà conseguenze concrete sulla supervisione o sui requisiti di capitale. Insomma, Jerome Powell non fa che ribadire di volersi occupare del clima soltanto per il minimo sindacale. Perché, a detta sua, la missione della Fed è un’altra: tutelare l’occupazione e la stabilità dei prezzi.
I dati di Finance Watch
Proteggere il clima e la finanza, con una mossa sola
Tenere conto dei rischi climatici consentirebbe di diminuire i rischi per il sistema finanziario e diminuire l’esposizione verso le fossili
Lo scontro Usa-Europa sui rischi climatici nei princìpi di Basilea
Non c’è dunque da stupirsi se, nel momento in cui bisogna trovare regole comuni, Banca Centrale Europea e Federal Reserve arrivino allo scontro. Stando alle indiscrezioni raccolte da Bloomberg, la spaccatura si è creata all’interno del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria.
L’ente, che riunisce rappresentanti delle banche centrali e dei regolatori di tutto il mondo, già nel 2023 ha avviato una consultazione su un futuro quadro di reporting dei rischi climatici. La proposta, avallata dai membri europei, puntava ad obbligare le banche a pubblicare tali informazioni a partire dal 2026. Ma la compagine americana ha opposto un secco no. Rispolverando sempre lo stesso refrain: con una richiesta del genere, il Comitato di Basilea travalicherebbe i limiti del suo mandato.
Per ora si tratta solo di rumors che i vari enti coinvolti hanno preferito non commentare. Ma non risulta troppo difficile crederci, considerata l’atmosfera che si respira negli Stati Uniti. Dove la Securities and Exchange Commission (Sec) ci ha messo anni per stilare le linee guida per la rendicontazione sul clima da parte delle grandi aziende. Norme che, seppure molto annacquate rispetto agli intenti iniziali, all’indomani della pubblicazione hanno innescato una furibonda battaglia legale.
Del clima devono occuparsi tutti, anche le banche centrali
Ma avrà forse ragione la Federal Reserve? Forse il Comitato di Basilea si sta spingendo troppo in là? Per farsi un’opinione basta leggere l’oggetto del contendere, cioè il documento sulla rendicontazione dei rischi climatici.
Stando alle proposte del testo, le banche dovranno far sapere chi supervisiona i rischi climatici, quali sono i processi per gestirli e le strategie per ridurli. E dovranno stimare le potenziali perdite finanziarie dovute agli eventi meteorologici estremi e, più in generale, alle variazioni del clima. Qualche esempio? Se una regione è vulnerabile alla siccità, e una banca ha erogato molti prestiti agli agricoltori della zona, allora quella banca dovrebbe prepararsi a ritardi e difficoltà nel rimborso delle rate. Vale lo stesso principio per le case situate in zone a rischio di uragani e inondazioni: se non hanno un’adeguata copertura assicurativa, il loro prezzo è probabilmente sopravvalutato. E le banche che hanno erogato i mutui non lo possono ignorare.
Tra le informazioni che il Comitato di Basilea chiedeva di rendicontare c’è anche l’esposizione su quei settori che potrebbero essere rivoluzionati, o nettamente ridimensionati, dal percorso globale verso la decarbonizzazione. Così come le emissioni di gas a effetto serra associate ai prestiti e agli investimenti. «Ma più queste proposte saranno annacquate o cancellate, più facile sarà per le banche continuare a iniettare migliaia di miliardi di dollari nelle società dei combustibili fossili», chiosa Mark Gongloff, editorialista di Bloomberg. Che ricorda, oltretutto, come i cambiamenti climatici generino inflazione, perché colpiscono l’agricoltura, l’industria e la logistica, facendo impennare i costi e dunque i prezzi finali. Chi dovrebbe occuparsi di tutto questo, se non le banche centrali?