Cop29, annunciato un primo passo avanti sui carbon credit

Annunciato un accordo a porte chiuse nel primo giorno della Cop29 di Baku sulle regole di funzionamento del mercato dei carbon credit

Un momento dei negoziati a Baku. Sullo schermo, il presidente della Cop29 Mukhtar Babayev © UNclimatechange/Flickr

Come già accaduto in passato in apertura di altre conferenze, durante la prima giornata della Cop29 di Baku è stato annunciato un accordo. I governi hanno approvato infatti le nuove regole di cui si doteranno le Nazioni Unite per il funzionamento del controverso mercato dei carbon credit.

Come funziona un mercato dei carbon credit

Si tratta di uno dei punti tecnici più dibattuti dell’Accordo di Parigi. Alla Cop26 di Glasgow, nel 2021, era arrivato un primo accordo sulle regole di applicazione dell’articolo 6 dello stesso Accordo. Ovvero quello che introduce un mercato nel quale è possibile scambiare dei “diritti ad inquinare”. Il principio è semplice: permettere ad una nazione che non riesce a centrare i propri obiettivi di riduzione dell’emissione di gas ad effetto serra di compensare tale mancanza attraverso l’acquisto, appunto, di “crediti”.

In maniera molto semplificata, il sistema funziona pressapoco così: una quota corrisponde all’autorizzazione ad emettere una tonnellata equivalente di CO2. Così, un Paese “A” in ritardo nella transizione ecologica può acquistare un credito, pagando una determinata somma. Questi capitali vengono girati poi a un Paese “B”, per ad esempio consentire la costruzione di un parco eolico al posto di una centrale a carbone. In questo modo, la seconda nazione beneficia di una fonte rinnovabile e aiuta mitigare i cambiamenti climatici. La prima, compensa in questo modo gli scarsi risultati ottenuti in patria.

Le emissioni di CO2 di ciascuna nazione – dati aggiornati al 2022

Cos’è l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi e cosa prevede

L’articolo 6 dell’Accordo di Parigi prevede due meccanismi di “cooperazione volontaria” tra le nazioni basati sul mercato. Il primo è descritto al comma 2, e riguarda gli Stati: i virtuosi, che hanno emesso meno gas ad effetto serra del previsto, possono vendere i loro “diritti ad inquinare” inutilizzati ad un’altra nazione che è stata meno brava e ha sforato il proprio tetto. Obiettivo: rendere anti-economico disperdere CO2 o metano nell’atmosfera. Il secondo meccanismo (comma 4) è aperto invece al settore privato. Prevede la creazione di un nuovo mercato internazionale della CO2, sotto la supervisione delle Nazioni Unite, per permettere scambi di carbon credit.

Dalla Cop21 che approvò l’Accordo, il dibattito su come debbano funzionare i mercati è stato sempre particolarmente acceso. Alcuni Paesi – Brasile, Cina e India in testa – hanno chiesto che nei nuovi meccanismi siano integrati i crediti accumulati nel precedente mercato (disciplinato dal Protocollo di Kyoto e rimasto in vigore fino al 2020). Ciò, però, permetterebbe loro di fatto di utilizzare dei crediti che hanno già permesso di ridurre le emissioni in passato, anziché contribuire a nuovi progetti di mitigazione.

A Glasgow era stato poi eliminato il rischio del cosiddetto double counting: se un Paese vende un carbon credit ad un altro Stato, o a un’azienda, uno solo tra i due potrà considerarlo nei propri obiettivi di abbattimento delle emissioni.

Cosa si è deciso alla Cop29 di Baku sui carbon credit

A Baku ci si è accordati su una metodologia di calcolo del numero di crediti che ciascun progetto può generare. E siccome tra i progetti finanziabili c’è, ovviamente, anche la piantumazione di alberi, la Cop29 ha anche deciso cosa fare nel caso in cui la CO2 stoccata grazie a tale riforestazione vada perduta. Ad esempio per un incendio dell’area.

Concretamente, le norme riguardano principalmente gli Stati (e soprattutto quelli più ricchi, maggiormente responsabili delle emissioni climalteranti). L’obiettivo è garantire un quadro di riferimento chiaro, al fine di evitare non soltanto aberrazioni come il citato double counting, ma soprattutto a far sì che sia chiaro a priori quale potrà essere il risultato in termini di riduzione della CO2 equivalente dispersa nell’atmosfera.

«Presto però per cantare vittoria». E le Ong criticano un accordo «a porte chiuse»

Tuttavia, non mancano le critiche. Numerose organizzazioni non governative hanno infatti puntato il dito contro il metodo poco trasparente scelto alla Cop29. I testi sono stati infatti in qualche modo calati dall’alto. «Senza dibattito o esame pubblico», ha sottolineato ad esempio Oil Change International. Allo stesso modo, parlando al quotidiano The Guardian, Isa Mulder, di Carbon Market Watch, ha affermato che l’adozione così repentina, senza aver avuto modo di discutere nel merito, «mina la fiducia» nel processo della Cop29 stessa: «Avviare la conferenza con un accordo a porte chiuse costituisce un pessimo precedente in materia di trasparenza e governance».

Inoltre, avverte un negoziatore europeo, il passo avanti effettuato «non vuol dire che si possa già cantare vittoria», rammaricato per il fatto che nel testo approvato non siano affrontati alcuni aspetti del meccanismo. Il che significa che per la piena attuazione occorreranno ancora altri negoziati. Le nuove regole, tra l’altro, non entreranno comunque in vigore prima del prossimo anno.