Mercato dei carbon credit, cosa si è deciso alla Cop26 di Glasgow

Alla Cop26 sono stati fatti alcuni passi avanti sul sistema di scambio delle quote di emissioni di CO2 (carbon credit). Non senza critiche

Il sistema di scambio di carbon credit dovrebbe invitare imprese e Stati ad emettere meno CO2 pur di non dover pagare prezzi particolarmente elevati © NicoElNino/iStockPhoto

Alla Cop26 un passo avanti di cui si è parlato soltanto in parte è legato all’attuazione dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi. Quest’ultimo chiede di introdurre un nuovo meccanismo per lo scambio delle quote di emissioni di CO2 (i cosiddetti carbon credit). Dal 2015 ad oggi si sta cercando di stabilire l’insieme di regole che lo governeranno.

L’idea nata con il protocollo di Kyoto nel 1997

Il sistema servirà per fissare un tetto massimo alle emissioni di gas ad effetto serra. Le aziende e le industrie che, per le loro attività, disperdono nell’atmosfera tali sostanze, possono acquistare i cosiddetti “carbon credit” (o “quote di emissione”). In sostanza, dei diritti ad inquinare: una quota corrisponde all’autorizzazione ad emettere una certo quantitativo equivalente di CO2. Inoltre, le aziende possono vendere le quote sul mercato, come fossero un’azione o un altro qualsiasi asset finanziario. Ciò se hanno inquinato di meno e quindi non hanno utilizzato i loro diritti.

L’idea era stata introdotta dal protocollo di Kyoto, firmato nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005. Nel testo si era infatti immaginato un meccanismo internazionale di scambio di quote tra (o all’interno de) i 38 Paesi più industrializzati del mondo.

Alla Cop25 di Madrid, nel 2019, si è trattato di una delle questioni sulle quali il mondo è apparso più diviso, tanto che non fu effettuato, all’epoca, alcun passo in avanti. Al contrario, alla Conferenza di Glasgow qualcosa si è mosso. L’accordo raggiunto in Scozia distingue due tipi di mercati: quello destinato alle imprese e agli Stati, da una parte, e quello destinato agli scambi bilaterali tra nazioni, dall’altro.

CO2 e carbon pricing
Il carbon pricing può aiutare a combattere la crisi climatica. Ma a determinate condizioni © VectorMine/iStockPhoto

I passi in avanti alla Cop26 di Glasgow sul mercato dei carbon credit

È stato inoltre eliminato il rischio del cosiddetto double counting: se un Paese vende un carbon credit ad un altro Stato, o a un’azienda, uno solo tra i due potrà considerarlo nei propri obiettivi di abbattimento delle emissioni. Un passo non da poco, dal momento che proprio su questo punto a Madrid ci si era trovati in un’impasse.

Inoltre, via via i carbon credit disponibili diminuiranno, al fine di sostenerne il prezzo (e far sì che ciò funga da deterrente). E il 5% dei ricavi ottenuti dalla vendita di tali titoli (ad eccezione degli scambi bilaterali) dovrà contribuire a finanziare l’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici nei Paesi più poveri e vulnerabili della Terra.

Le critiche alle decisioni assunte in Scozia

Grave pecca, però, è quella legata ai vecchi carbon credit legati al Protocollo di Kyoto, i cui standard sono assolutamente troppo poco stringenti dal punto di vista climatico. Essi sono stati generati tra il 2013 e il 2020, e saranno immessi sul mercato, secondo quanto indicato da Carbon Market Watch. Il che “diluirà” nettamente l’effetto del nuovo meccanismo.

Resta poi da vedere in che modo si vigilerà sul sistema, che dovrà essere totalmente trasparente se lo si vorrà rendere davvero utile ed efficace. E occorrerà monitorare i prezzi per evitare che siano troppo bassi e dunque incapaci di “invitare” imprese e governi a non inquinare, pur di evitare di dover pagare.