La Cop29 si chiude con un accordo contestato sulla finanza climatica

La Cop29 approva il testo sulla finanza climatica: promessi 300 miliardi di dollari all'anno, contro i 1.300 richiesti e i 2.400 necessari

Attivisti manifestano alla Cop29 mentre viene approvato l'accordo sulla finanza climatica © Kiara Worth/UN Climate Change

Quasi alle 3 del mattino ora locale, dopo una giornata di trattative sfiancanti, si è chiusa la Cop29. I testi approvati sono molti, ma solo uno contava davvero: quello relativo al New Collective Quantified Goal (Ncqg). Ovvero i flussi finanziari che dal Nord ricco devono andare a finanziare la transizione nel Sud globale.

Promessi 300 miliardi di dollari all’anno, contro i 1.300 richiesti e i 2.400 necessari

L’accordo chiuso a Baku prevede 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 per i Paesi cosiddetti in via di sviluppo. Provenienti da un mix di fondi pubblici e privati, bilaterali e multilaterali, sotto forma di prestiti e a fondo perduto. La richiesta delle nazioni africane, asiatiche e latinoamericane di portare il finanziamento a 1.300 miliardi (a fronte di 2.400 almeno necessari, secondo gli esperti delle Nazioni Unite) viene accolta solo nella forma simbolica di un “invito”. Mentre proposte relative all’individuazione di un “nocciolo duro” di finanza pubblica, quote speciali per i Paesi meno sviluppati e netta distinzione tra prestiti e finanziamenti – con priorità ai primi – non si trovano nel testo.

Le uniche concessioni al G77 – il gruppo negoziale che riunisce il Sud globale – consistono nella triplicazione dei fondi oggi erogati da alcuni piccoli fondi legati alle Nazioni Unite. E l’apertura di un non meglio specificato canale di dialogo che potrebbe rivedere parte delle decisioni. Dal lato occidentale, invece, non è passata la proposta di includere Paesi di recente sviluppo come la Cina nel novero dei contributori economici. Pechino e altri potranno continuare a partecipare su base volontaria e non legalmente vincolante.

Un testo lontanissimo dalle richieste dei Paesi in via di sviluppo

L’adozione è arrivata dopo due settimane di trattative senza veri passi in avanti e una seduta plenaria in piena notte interrotta più volte. Dopo l’adozione del passaggio relativo al New Collective Quantified Goal, sono intervenuti diversi Paesi che, pur accettando l’esito, ne hanno criticato profondamente le modalità. Tra gli altri Bolivia, Nigeria, Cuba. Si è distinto in questo l’India, che per bocca della sua rappresentante ha accusato la presidenza di aver ignorato la richiesta del governo di Nuova Delhi di intervenire prima dell’approvazione. Vale la pena ricordare che le decisioni nel contesto delle Cop sono prese per consenso. L’obiezione indiana, se accolta per tempo, avrebbe quindi potuto fermare il negoziato. Da qui la gravità dell’accusa. L’intervento indiano, comunque, non ha riportato indietro i lavori.

Non è la prima volta che una Parte (ovvero, uno Stato partecipante) lamenta di essere stata esclusa da un momento cruciale dei lavori. Successe lo stesso ad esempio alla Cop28 di Dubai, dove i piccoli Stati insulari denunciarono lo stesso comportamento.

Le prime reazioni ai risultati della Cop29

Immediate le reazioni della società civile. Mohamed Adow, direttore di Power Shift Africa, una delle voci più autorevoli e ascoltate alle Cop, ha dichiarato che l’accordo sulla finanza climatica raggiunto alla Cop29 è «un disastro» e «un tradimento» nei confronti delle persone e del Pianeta.

Luca Bergamaschi, direttore del think tank italiano ECCO, ha scritto: «Nonostante sia stato raggiunto il massimo compromesso sulla finanza, registriamo che i ministri dell’Ambiente stanno esaurendo il loro raggio d’azione. Senza il coinvolgimento dei ministri delle finanze, dell’industria e dei capi di Stato e di governo, l’azione per il clima rimarrà inadeguata. Serve una trasformazione profonda della finanza, di come produciamo e consumiamo e di come garantire che le categorie sociali più deboli non restino escluse dalla transizione».

Stiell: «Andiamo via con una montagna di lavoro da fare»

Friederike Röder, vicepresidente per le Politiche Globali e la Advocacy dell’ong Global Citizen, ha dichiarato: «La Cop29 si è conclusa con un accordo sul finanziamento climatico che non risponde adeguatamente all’urgenza della crisi climatica globale. Oggi è evidente che l’accordo finale della Cop29 sul Ncqg è gravemente insufficiente per affrontare le sfide climatiche attuali. Per non parlare di quelle in aumento nel futuro».

Il segretario esecutivo dell’Unfccc Simon Stiell ha parlato di «una polizza» contro i cambiamenti climatici. Ma ha spiegato che di certo «non è il momento dei trionfalismi, lasciamo Baku con una montagna di lavoro ancora da fare».

Guterres: «Speravo di più, ora si rispettino gli impegni»

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha espresso allo stesso modo la propria delusione: «Speravo di più, anche se abbiamo una base su cui costruire. I Paesi in via di sviluppo sono sommersi dal debito, colpiti da disastri e lasciati indietro nella rivoluzione delle energie rinnovabili. Hanno un disperato bisogno di fondi».

Il diplomatico portoghese ha quindi lanciato un appello affinché l’accordo sui 300 miliardi di dollari sia «rispettato per intero e nei tempi previsti». Un monito certamente figlio del fatto che la prima promessa, quella di 100 miliardi all’anno arrivata nel 2009 alla Cop15 di Copenaghen, è stata rispettata per intero solo tredici anni più tardi, nel 2022.

Di segno invece diametralmente opposto il commento del commissario europeo per il Clima Wopke Hoekstra, secondo il quale a Baku è iniziata «una nuova era» per la finanza climatica a favore dei Paesi più poveri.

Si creerà una «roadmap per Belém verso i 1.300 miliardi»

Nel testo è stata aggiunta, al paragrafo 27, una decisione che non era presente nelle bozze precedenti. Si parla di avviare una «Roadmap da Baku a Belém verso i 1.300 miliardi». Con l’obiettivo «di aumentare i finanziamenti per il clima a favore dei Paesi in via di sviluppo per sostenere uno sviluppo a basse emissioni di gas ad effetto serra e resiliente ai cambiamenti climatici. E di attuare le Nationally determined contributions (le promesse di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, ndr) e i piani di adattamento. Anche attraverso sovvenzioni, e altri strumenti che non creino debito».

Non è chiaro però cosa significhi realmente questa roadmap. E, anche qui, non figurano impegni definitivi: piuttosto una promessa di riparlarne nel corso del prossimo anno. Secondo alcune ricostruzioni, pare che la scelta della presidenza azera di introdurre questa novità fosse legata alla necessità di concedere almeno questo al G77. Scongiurando così il fallimento dei negoziati.

Non approvato il testo per dare attuazione al Global Stocktake

Non è stato invece approvato alcun testo sull’UAE Dialogue, ovvero l’implementazione concreta di quanto indicato nel Global Stocktake uscito dalla Cop28 di Dubai. Il presidente della Cop29 Mukhtar Babayev ha annunciato che «alla luce delle preoccupazioni espresse dalle parti», se ne riparlerà alla Cop30.

C’è in qualche modo da rallegrarsene, poiché nell’ultima versione circolata del testo non soltanto non si dava alcuna declinazione ufficiale al fumosissimo «transitioning away from fossil fuels» partorito negli Emirati Arabi Uniti pur di non far saltare il banco. Ma addirittura al paragrafo 15 si arrivava a «riaffermare il fatto che i combustibili di transizione possono giovare un ruolo nel facilitare la transizione energetica, assicurando la sicurezza». Un incredibile endorsement al gas (incredibile per il contesto dell’Unfccc, non certo per la nazione ospitante, l’Azerbaigian, il cui presidente parla delle fossili come di «doni di Dio»).