Perché non c’è consenso sul “consensus”

I negoziati, come tutte le conferenze sotto egida Onu, cercano il “consesus” tra i governi. Ecco cos’è e quando è stato aggirato

I negoziati alla Cop28 di Dubai sono estremamente complessi © Cop28/Walaa Alshaer/Flickr

Abbiamo di fronte a noi ore cruciali perché a Dubai si possa raggiungere “consensus” su un testo che venga adottato dai 195 firmatari dell’Accordo di Parigi, ovvero 194 Paesi più l’Unione europea. Ma cosa significa “consensus”?

Da un punto di vista giuridico, si tratta di una pratica che si è affermata in seno alle Nazioni Unite. L’obiettivo è evitare che il processo decisionale di areni nell’impossibile ricerca di un’unanimità. Il “consensus”, infatti, prevede l’approvazione di una risoluzione senza una votazione ufficiale. È sufficiente che non siano state espresse obiezioni formali da parte degli Stati membri. «Is there any objection? If not, it is so approved» è la formula usata da chi presiede l’assemblea: «C’è qualche obiezione? Se no, è così approvato».

La differenza tra “consensus” e unanimità

I negoziatori della Cop28 hanno perso già diverse ore di sonno e probabilmente altre ne perderanno alla ricerca della giusta formulazione di un testo intorno al quale non raccogliere un voto unanime dell’assemblea, ma nemmeno obiezioni che inficino il “consensus”. Perché in teoria è sufficiente l’obiezione di un solo Paese perché il testo finale non venga adottato.

Alden Meyer, veterano osservatore dei negoziati sul clima, sentito dall’agenzia di stampa AFP evidenzia come si tratti, in realtà di «una questione di interpretazione». Ricorda infatti che a Rio de Janeiro nel 1992 Arabia Saudita e Kuwait avevano espresso la loro opposizione alla dichiarazione finale che doveva stabilire la nascita della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, l’UNFCCC. Eppure il presidente della sessione di allora si limito a battere un colpo di martello approvando la decisione. In seguito, l’Arabia Saudita ha bloccato l’adozione di un regolamento che avrebbe permesso di prendere decisioni con un voto dei due terzi dell’assemblea, in assenza di “consensus”.

L’obiezione deve essere esplicita e formale

Affinché il “consensus” sia bloccato, occorre che l’obiezione sia resa esplicita. Una semplice “protesta” contro il testo senza “obiezione” non ne fermerebbe l’adozione. Per esempio, nel 2015 a Parigi venne adottato l’Accordo che porta il nome della capitale francese, un indubbio successo della Cop21. Eppure il delegato del Nicaragua aveva in un primo tempo rifiutato di sostenere il testo. Cosa che aveva fatto scattare un’imponente campagna di pressione che avrebbe coinvolto persino papa Francesco. Lo ha ricordato Laurent Fabius, allora ministro degli esteri francese e presidente della Cop21, durante una conferenza stampa nei giorni scorsi a Dubai: «Avevo l’impressione che esprimesse il proprio punto di vista più che quello del suo Paese». Una volta appurato che il delegato non era davvero rappresentativo delle posizioni del suo Paese fu più facile avanzare. E raggiungere l’accordo.

Un altro caso risale alla Cop15 del 2009, a Copenaghen. All’epoca, fece scalpore la rappresentante del Venezuela, Claudia Salerno, che con una mano insanguinata alzata affermava di parlare a nome di una nazione pugnalata alle spalle da Stati Uniti e Cina. Il primo ministro danese, Lars Rasmussen, era sul punto di chiudere la Cop dichiarandone il fallimento. Ma i rappresentanti di Washington e Londra chiesero una pausa e parlarono con Salerno. Alla fine, il testo finale non venne né approvato, né respinto, bensì dello stesso si “prese nota”, secondo la locuzione utilizzata al termine del summit dallo stesso Rasmussen.

È una questione di volontà politica

Lo scorso anno a Montreal durante i negoziati sulla biodiversità, un processo parallelo alle Cop, si è raggiunto un iportante accordo sulla protezione delle specie. Per farlo, il presidente cinese dell’assemblea ha semplicemente ignorato le obiezioni della Repubblica Democratica del Congo, che chiedeva maggiori aiuti ai Paesi ricchi.

Cosa succederà perciò nelle prossime ore a Dubai? La “regola non scritta” è, come detto, che occorre raggiungere un consenso. Tuttavia, la storia ci dice che ci sono anche altre strade. È una questione di volontà politica, di rapporti di forza, di relazioni diplomatiche.