Tutti i dati dell’Atlante che «stana» le ricchezze offshore

Aggiornati i dati dell’Atlante che monitora flussi finanziari e patrimoni che sfuggono al fisco. Un’iniziativa che ha raccolto interesse ad alti livelli

L'Atlante del mondo offshore cita Singapore tra i principali paradisi fiscali © lena_serditova/iStockphoto

Come stanno nel mondo l’evasione, l’elusione fiscale, la ricchezza nascosta al fisco, che impoveriscono gli Stati e fanno i ricchi sempre più ricchi? Purtroppo bene. Almeno a giudicare dai dati di “Atlas of the Offshore World”, l’Atlante dei capitali offshore.

Tutte le strade dell’offshore

L’Atlante del mondo offshore è l’iniziativa promossa congiuntamente circa un anno fa da Eu Tax Observatory, l’istituto di ricerca diretto dall’economista francese Gabriel Zucman (una delle voci più ascoltate al mondo in fatto di rapporti tra tassazione e disuguaglianze), con lo Skatteforsk-Centre for Tax Research dell’università norvegese NMBU.

L’Atlante è composto da quattro insiemi di dati. Il primo monitora a livello globale il fenomeno cosiddetto del profit shifting (spostamento degli utili). È il modo in cui le multinazionali pongono in essere l’“ottimizzazione fiscale”, per usare il loro gergo. Cioè attraverso cui cercano di pagare meno tasse possibile, giostrando utili e perdite fra le loro sedi distribuite ai quattro angoli del pianeta in base alla convenienza dei regimi fiscali. Il secondo riguarda la ricchezza finanziaria offshore, cioè quella “occultata” nei paradisi fiscali.

Il terzo si concentra sulla ricchezza immobiliare offshore, il patrimonio immobiliare detenuto da residenti e non-residenti, attraverso entità che hanno sede in paradisi fiscali, in città e territori che l’Atlante ha selezionato per la loro attrattività agli occhi degli investitori stranieri, oltre che in base alla disponibilità dei dati: Londra, Parigi, Dubai, Singapore, Oslo, Costa Azzurra e Amsterdam. L’ultimo set di dati si riferisce al livello di tassazione effettiva sui redditi da capitale, da lavoro e sui profitti aziendali, suddivisi Paese per Paese (155 quelli monitorati) e con serie storiche di dati, quando disponibili, dal 1965.

Le dimensioni del fenomeno

Che questi fenomeni abbiano proporzioni gigantesche, e non semplici da quantificare, è risaputo. Ma è bene ribadirlo con alcuni dei dati snocciolati nel webinar che ha presentato l’aggiornamento dell’Atlante del mondo offshore.

Prendiamo il profit shifting: nel 2021 è arrivato a 913 miliardi di dollari. Si stima che nel periodo 2016-2021 (con un calo nel 2020 prontamente assorbito nel 2021) il fenomeno sia stato causa di perdite di gettito fiscale a livello mondiale tra i 200-250 miliardi di dollari all’anno. Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Cina i più colpiti. L’Italia nel solo 2021 ha visto “shiftati” circa 30 miliardi di dollari di profitti di multinazionali verso i paradisi fiscali, tra l’altro quasi tutti europei, per una perdita di gettito di circa 8 miliardi di dollari. Singapore, i Paesi Bassi e l’Irlanda, in riferimento a questa dimensione, si distinguono come i maggiori paradisi fiscali del mondo. Con l’Europa ancora ben rappresentata (si fa per dire) fra i primi dieci anche da Svizzera, Lussemburgo e Belgio.

Passiamo alla ricchezza finanziaria offshore: quali sono i Paesi che ospitano l’ammontare più elevato? In testa c’è Hong Kong, con 2.840 miliardi di dollari (dati 2022), poi la Svizzera (2.655 miliardi di dollari) e, più distante, Singapore (1.610 miliardi di dollari). “Solo” quarto il Lussemburgo (629 miliardi di dollari). La ricchezza finanziaria offshore vale circa il 12-13% del prodotto interno lordo mondiale. Con la quota detenuta nei centri finanziari asiatici che è cresciuta a discapito di quella in Svizzera.

Venendo alla ricchezza immobiliare offshore, la destinazione di gran lunga principale a livello mondiale è Londra (oltre 143 miliardi di dollari). Seguono Dubai (98 miliardi di dollari) e Singapore (quasi 76 miliardi di dollari), con Parigi al quarto posto (54,2 miliardi di dollari). Quanto ai livelli di tassazione, infine, per capire come vada il mondo è sufficiente dire che negli ultimi sessant’anni circa (1965-2021), il livello di ETR (effective tax rate) sul lavoro è progressivamente aumentato (dal 16% a quasi il 24%). Quello sul capitale, per contro, è diminuito (da quasi 32% a 27,1%).

Così l’Atlante del mondo offshore influenza i policy maker

L’Atlante del mondo offshore si pone l’obiettivo di offrire informazioni innanzitutto affidabili, perché basate su ricerche. Informazioni che siano, poi, liberamente accessibili, invece di restare appannaggio solo dei network accademici, come spesso accade. Informazioni, infine, aggiornate e ricercabili con facilità secondo una vasta gamma di parametri: globali e per Paese, in valori assoluti e percentuali, con grafici interattivi a supporto, basi di dati scaricabili e ampie spiegazioni metodologiche. Questo lavoro si rivolge a pubblici diversi, fra i quali tutti coloro che individualmente o come organizzazioni sono impegnati nella lotta per sistemi fiscali più equi, specie in una prospettiva di collaborazione internazionale.

Altro obiettivo prioritario è chiaramente influenzare i decisori politici, offrendo loro informazioni accurate e comparabili su scala globale. E in questo senso sono già stati conseguiti risultati ragguardevoli. I lavori del G20 sulla tassazione degli ultra-ricchi, ad esempio, sfociati nell’impegno a collaborare in tal senso preso formalmente al vertice di Rio de Janeiro a novembre, hanno ampiamente attinto ai lavori di Zucman e ai dati dell’Atlante. Dati sui quali si basano anche rapporti molto considerati a livello internazionale, come il Global Tax Evasion Report. Mentre in Francia i dati dell’Atlante hanno direttamente ispirato alcuni emendamenti presentati nell’ultima legge di bilancio con l’obiettivo di aumentare il contrasto ai flussi finanziari illeciti.