Israele: l’addio di Puma, il mistero Erreà e i marchi sportivi sponsor del genocidio
Dopo Puma doveva essere Erreà lo sponsor tecnico della nazionale di calcio di Israele. Ma sull’accordo è calato il mistero
Sponsorizzare l’apartheid è un problema. Sponsorizzare un genocidio è peggio. Per questo si è alzata una cortina fumogena su chi sarà il prossimo sponsor tecnico della nazionale maschile israeliana di calcio a partire dal prossimo anno. Di certo c’è il mancato rinnovo del contratto con Puma, a scadenza dicembre 2024. Dopo che l’azienda tedesca ha ammesso a più riprese di essere stata danneggiata dalla campagna globale di boicottaggio nei suoi confronti. Di certo sembrava anche esserci il nuovo accordo con Erreà, piccola azienda di abbigliamento sportivo con sede a Parma, a partire da gennaio 2025. Ma dopo che si è diffusa la notizia, e subito sono stati promossi nuovi boicottaggi, ogni annuncio ufficiale è sparito. Ogni traccia cancellata. Anche questa, nel suo piccolo, è già una vittoria.
La questione dello sport in Palestina
La questione sportiva in Palestina, davanti a un massacro e una devastazione che lo stesso quotidiano israeliano Haaretz ha definito «pulizia etnica», è sicuramente secondaria. Ma non è certo marginale. Basti pensare alle disumane immagini degli stadi di calcio di Gaza, utilizzati per ammassare i prigionieri. Per lo più vecchi, donne e bambini, legati e imbavagliati in condizioni pietose. Esattamente come facevano le dittature sudamericane. Inoltre, se dall’inizio dell’invasione israeliana nella Striscia di Gaza sono state uccise oltre quarantamila persone, tra queste ci sono centinaia di sportivi di primo livello. Compresi atleti e allenatori olimpici, o calciatori della nazionale palestinese. E questo non è certo un caso, o pura statistica.
Perché la scientifica distruzione di ogni infrastruttura sportiva nella Striscia di Gaza, di ogni possibilità di praticare sport, ha uno scopo ben preciso. Da un lato di pura e gratuita crudeltà. Perché impedisce alle persone sotto assedio, soprattutto ai bambini, di poter anche solo idealmente evadere per qualche ora dal massacro. Dall’altra questa sistematica distruzione ha la precisa funzione di impedire la rinascita sociale, economica e culturale della Palestina. E questa è proprio una delle ragioni per cui, oltre alla definizione di «pulizia etnica» di Haaretz, prima la Corte internazionale di giustizia (Cig) e poi l’ultimo report di Amnesty International questa settimana hanno utilizzato la parola «genocidio».
Puma si arrende al boicottaggio e non rinnova il contratto con Israele
Il boicottaggio nei confronti di Puma comincia nel 2018, non appena l’azienda tedesca firma il contratto di sponsorizzazione con la Ifa (Israel Football Association). La Federcalcio israeliana infatti non solo ammette tra le sue fila squadre che hanno sede nelle colonie illegali, ma le incoraggia pure. E la stessa Puma aveva firmato un contratto in esclusiva con Delta, azienda di abbigliamento di Tel Aviv nella lista dei complici delle occupazioni illegali dell’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite. Da allora nei confronti di Puma è partita una campagna globale di boicottaggio durata cinque anni, che ha portato la multinazionale tedesca a non rinnovare l’accordo.
Queste proteste si sono intensificate nell’ultimo anno, e forse non è un caso che gli utili di Puma nel 2024 siano crollati un po’ ovunque. Ma gli effetti del boicottaggio si sono fatti sentire anche in Israele, se è vero che l’Ifa ha avuto molte difficoltà a trovare un nuovo sponsor. E si è passati da una multinazionale che ha un fatturato di poco meno di dieci miliardi di euro l’anno a una piccola azienda come Erreà. Il cui fatturato è di di poche decine di milioni di euro l’anno. E se anche non abbiamo più la certezza che sarà Erreà il prossimo sponsor di Israele, di sicuro nessuna altra grande azienda ha fatto annunci in tal senso. Evidentemente i grandi colossi dell’abbigliamento sportivo sono spaventati dalle possibili conseguenze di un accordo con Israele.
Il mistero Erreà, ha firmato o no con Israele?
Erreà come abbiamo detto è una piccola azienda che fornisce materiale tecnico a diverse discipline sportive. E nel calcio è sponsor tecnico di squadre di medio/piccolo livello come il Bari e il Cesena in Italia, o il Queen’s Park Rangers nel Regno Unito. E da quest’anno è partner della Uefa nel programma Kit Assistance Scheme 2024-26. Per cui fornisce materiale, con il supporto economico della Uefa, a piccole nazionali come Andorra, Far Oer, San Marino, Liechtenstein e Kazakhistan. E forse è proprio grazie all’interessamento della Uefa, che piega sempre i suoi regolamenti per permettere a Israele di partecipare alle sue competizioni, che si avvicina a Israele.
Secondo Bds nel report annuale dell’Ifa si annunciava che ad agosto 2024 era stato firmato un accordo biennale di sponsorizzazione tra la Federcalcio israeliana e Erreà. Con opzione di rinnovo per altri due anni. Ma il sito dell’Ifa non è accessibile, quindi l’informazione non è verificabile. Così come non è possibile recuperare la pagina in cui sarebbero state presentate le nuove maglie firmate Erreà. Nemmeno sul sito dell’azienda parmigiana. La stessa Erreà inoltre non risponde alle richieste di delucidazione, e dopo che si è diffusa la notizia ha bloccato la possibilità di commentare sui suoi social, che erano già stati inondati di proteste.
Ma a sponsorizzare il genocidio restano diversi marchi sportivi
A gennaio quindi scopriremo se Erreà sarà il prossimo sponsor tecnico della nazionale di calcio maschile israeliana. O se invece alla campagna di boicottaggio durata cinque anni che ha fatto allontanare una multinazionale come Puma sono bastati pochi mesi per fare tornare sui suoi passi una piccola società come Erreà. Ma non basta. Non è solo questione dello sponsor della nazionale. Guardando infatti agli sponsor tecnici della Israeli Premier League per l’anno 2024-25 si nota come diversi marchi italiani e europei continuino a sponsorizzare e squadre di calcio israeliane. Diadora sponsorizza l’Hapoel Haifa, Lotto il Maccabi Netanya e Fila il Maccabi Tel Aviv.
Tra le altre sponsorizzazioni tecniche la parte del gigante la fa la britannica Umbro con ben quattro squadre: Beitar Jerusalem, Hapoel Be’er Sheva, Hapoel Hadera, Hapoel Ramat Gan. Mentre Adidas fornisce materiale tecnico a Maccabi Haifa e Hapoel Tel Aviv, e la sua grande rivale Nike lo fa per Ironi Kiryat Shmona. A questi sponsor tecnici vanno aggiunti quelli di maglia, come l’italiana Pirelli che campeggia sulle maglie dell’Hapoel Ramat Gan. O della svedese Volvo che appare sulla maglia del Maccabi Haifa. Insomma, le campagne globali di boicottaggio che hanno interessato diverse multinazionali, da Google a Starbucks, e sono arrivate fino al calcio, contribuendo al mancato rinnovo del contratto di Puma e al mistero che circonda l’accordo con Erreà, sono solo all’inizio.