Il mare sommergerà i più importanti porti petroliferi del mondo

Tredici grandi porti petroliferi spariranno per via del riscaldamento globale. Dovuto proprio alla combustione di petrolio, carbone e gas

Singapore è uno dei porti petroliferi che rischiano di essere sommersi © hasan zaidi/iStockPhoto

Tredici dei quindici principali porti petroliferi del mondo sono destinati a finire sommersi. Se non stessimo parlando di una catastrofe di portata planetaria, che colpisce anche e soprattutto chi non ha colpe, ci sarebbe da pensare a una sorta di destino beffardo che si compie. Perché se il livello del mare si innalzerà di un metro entro un secolo, condannando anche i mega terminal petroliferi, è per via del riscaldamento globale. Dovuto in gran parte proprio alla combustione di petrolio, carbone e gas.

Le proiezioni sull’innalzamento del livello dei mari nel prossimo secolo

Le manifestazioni dei cambiamenti climatici possono essere estreme e violente, come uragani, tempeste, incendi. Oppure possono essere più lente, invisibili a occhio nudo: di questa seconda categoria fa parte l’innalzamento del livello dei mari. Stando a un recente rapporto della International Cryosphere Climate Initiative (ICCI), un incremento di un metro entro un secolo è inevitabile. Ma, se l’umanità continuerà a riversare gas serra in atmosfera al ritmo odierno, potrebbe concretizzarsi già intorno al 2070.

Di questo passo, infatti, intorno alla fine del secolo la temperatura media sulla Terra arriverà a sfondare la soglia dei 3 gradi centigradi in più rispetto ai livelli preindustriali. E molti glaciologi ritengono che basti un aumento di 1,5 gradi – in sostanza, il consolidarsi delle condizioni che già abbiamo vissuto nel 2024 – per innescare la fusione di grandi porzioni dei ghiacci della Groenlandia e dell’Antartide occidentale. E, potenzialmente, anche delle parti più vulnerabili dell’Antartide orientale. Con conseguenze che a quel punto sarebbero irreversibili, anche se la temperatura media globale tornasse a scendere.

Quasi tutti i mega porti petroliferi sono a meno di un metro dal livello del mare

Senza doversi nemmeno spingere troppo in là con le previsioni, sappiamo che negli ultimi trent’anni la velocità dell’innalzamento del livello dei mari è raddoppiata. La città di Giacarta sta sprofondando, anche per la scellerata scelta di scavare illegalmente pozzi da cui ricavare acqua potabile. Tant’è che il governo indonesiano ha dovuto costruire ex novo un’altra capitale, Nusantara. L’amministrazione di New York ha investito 1,8 miliardi di dollari in tre anni per edificare un complesso sistema di paratie, argini e dighe: l’alternativa è quella di veder scomparire Manhattan. Questi sono esempi estremi, per ora. Ma nel mondo ci sono molte altre aree costiere alle prese con mareggiate più intense. O con infiltrazioni di acqua salata che danneggiano le fondamenta delle strutture.

A meno di un metro dal livello del mare sorgono anche quasi tutti i più grandi porti petroliferi. Uno studio di China Water Risk ne aveva identificati dodici su quindici, prevalentemente in Asia: è il caso di Shanghai e Singapore. Zero Carbon Analytics, citato dal quotidiano The Guardian, ha ripreso e approfondito tale studio aggiungendo alla lista un tredicesimo porto, quello di Yanbu, in Arabia Saudita. Mentre Suez e Malta, invece, tecnicamente sono salvi. Sempre ipotizzando che l’innalzamento del livello dei mari si limiti – per così dire – a un metro. Gli scenari del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) non escludono che il futuro possa rivelarsi ben peggiore.

La sicurezza energetica non passa di sicuro dal petrolio

Questa minaccia incombe su un business che attualmente ha proporzioni gigantesche. La Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad) stima che l’80% del volume del commercio mondiale di merci viaggi via mare. Compreso il 64% del petrolio prodotto nel mondo. Conteggiando tutte le petroliere in circolazione, si raggiunge una capacità totale di oltre 651 milioni di tonnellate di portata lorda: cioè quasi il 30% del totale dell’intera flotta globale nel 2023. Questi tredici porti petroliferi destinati a scomparire nel prossimo futuro sono gli stessi attraverso i quali, nel 2023, transitava il 20% dell’export globale di greggio. Soltanto dai sauditi Ras Tanura e Yanbu, messi insieme, sono partite esportazioni dal valore di 214 miliardi di dollari.

Mentre la scienza mette questa realtà di fronte ai nostri occhi, negli Stati Uniti – che sono già il primo produttore globale di petrolio – si insedia un presidente che propone di trivellare ancora di più. «Abbiamo la più grande quantità di gas e petrolio di qualsiasi altro Stato sulla Terra. E la useremo», ha dichiarato Donald Trump, sbandierando il tema della sicurezza energetica. Viene da chiedersi cosa ci sia di sicuro in una fonte di energia che ha innescato una catastrofe climatica destinata a ripercuotersi, come un boomerang, sulle stesse infrastrutture che le permettono di esistere. «I Paesi hanno di fronte a sé una scelta», commenta Murray Worthy di Zero Carbon Analytics. «Possono continuare a dipendere dai combustibili fossili, rischiando interruzioni nella fornitura per via della risalita del livello dei mari che allaga porti e terminal. Oppure possono passare alle fonti rinnovabili locali, sicure e sostenibili».