Europa, l’accusa delle Ong: tagliate fuori dal dibattito sul pacchetto Omnibus

Le Ong temono che il pacchetto Omnibus spazzi via le norme europee sulla sostenibilità. E lamentano di essere state escluse dal processo decisionale

Le Ong molto critiche nei confronti del pacchetto Omnibus della Commissione europea © VanderWolf-Images/iStockPhoto

Manca poco al 26 febbraio, il giorno in cui – salvo slittamenti dell’ultimo minuto – la Commissione europea presenterà il pacchetto Omnibus. Cioè l’iniziativa volta a snellire e semplificare il corpus normativo sulla sostenibilità edificato nel precedente quinquennio. Più questa scadenza si avvicina, più si fanno insistenti e preoccupate le voci delle organizzazioni non governative. Temono che, più che una semplificazione, sia un colpo di spugna. E lamentano di essere state escluse dal processo decisionale.

Cosa possiamo aspettarci dal pacchetto Omnibus

Questo secondo mandato di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea inizia sotto la spinta a tutelare maggiormente gli interessi delle imprese. Una spinta che arriva sia dal rapporto Draghi sulla competitività europea sia dal Partito popolare europeo, lo stesso che ha sostenuto von der Leyen.

La ricetta per realizzare quest’obiettivo dovrebbe stare nei tre pacchetti Omnibus a cui la Commissione sta lavorando. Il primo, quello che verrà presentato il 26 febbraio, accorpa e razionalizza le principali normative sulla sostenibilità, cioè la direttiva sulla due diligence (Csddd), la direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità (Csrd) e il regolamento sulla tassonomia ambientale. Seguiranno, nel corso dell’anno, un secondo pacchetto Omnibus sugli investimenti (in cui potrebbe ricadere anche una revisione del regolamento Sfdr sulla finanza sostenibile) e un terzo dedicato specificamente a piccole e medie imprese (Pmi) e imprese a media capitalizzazione (MidCap).

In queste settimane si sono rincorse varie speculazioni sul contenuto del primo pacchetto Omnibus. Già la bussola per la competitività presentata dalla Commissione a fine gennaio ipotizza – tra le altre cose – di sforbiciare almeno del 25% gli obblighi di rendicontazione. Una percentuale che sale almeno al 35% per le piccole e medie imprese. Per quanto riguarda la due diligence, cioè la vigilanza che le grandi imprese devono esercitare sul rispetto dei diritti umani e dell’ambiente nella catena di fornitura, si ipotizza addirittura di riaprire il livello 1. Cioè rimettere in discussione il testo base.

Un processo di consultazione squilibrato

Il Trattato sull’Unione europea sancisce il diritto dei cittadini a partecipare al processo decisionale. Impone quindi alla Commissione di aprire una consultazione pubblica prima di intraprendere un processo legislativo. Se l’iniziativa è accompagnata da una valutazione d’impatto per via delle sue conseguenze economiche, sociali o ambientali, tale consultazione deve durare almeno 12 settimane. Lo dicono le linee guida della stessa Commissione.

Nel caso del pacchetto Omnibus, non è successo nulla di tutto ciò. La Commissione von der Leyen si è limitata a convocare con brevissimo preavviso due tavole rotonde a porte chiuse, il 5 e il 6 febbraio. Senza fornire troppi dettagli sul contenuto delle proposte. È quanto denuncia una lettera aperta firmata da ClientEarth per conto di un’altra quarantina di Ong, tra cui Wwf, ActionAid International, Friends of the Earth Europe, Global Witness, Reclaim Finance. La lista degli invitati, peraltro, sarebbe molto sbilanciata. Con 58 imprese e associazioni di categoria, tra cui una folta rappresentanza del comparto petrolifero, e soltanto dieci Ong.

L’allarme delle Ong sui rischi della deregolamentazione

Le organizzazioni non governative temono che, a porte chiuse, le istituzioni europee stiano lavorando per annacquare le regole sulla sostenibilità che hanno costruito fin qui. Fino a snaturarle del tutto. Il che potrebbe rivelarsi controproducente anche per quelle imprese che hanno già iniziato ad attrezzarsi.

«La revisione delle normative Esg, finora presentata come un intervento tecnico per facilitare il rispetto degli obblighi da parte delle imprese, potrebbe innescare un effetto più ampio di incertezza normativa. Aziende e investitori si stanno già adeguando ai requisiti vigenti e un’eventuale riapertura delle intere normative rischierebbe di compromettere la fiducia del quadro regolatorio, ostacolando gli investimenti necessari per la transizione sostenibile», sottolinea per esempio il think tank italiano Ecco. La transizione ecologica è impossibile senza investimenti privati, ribadisce Ecco. Ma le aziende possono investire solo se sanno a cosa vanno incontro, anche in termini normativi.

Stando a quanto riportato dalla stampa, tra i governi più propensi a una deregolamentazione pressoché totale ci sarebbe quello francese. Che avrebbe chiesto di rinviare sine die l’applicazione della direttiva sulla due diligence, ridurre ulteriormente il suo ambito di applicazione (che già si limita a uno striminzito 0,1% delle imprese europee) e rimuovere la clausola che apre alla possibilità di includere, in futuro, anche le società finanziarie. Una posizione «irresponsabile», «incomprensibile» e «incompatibile con gli obiettivi climatici europei al 2040», tuona un gruppo di Ong francesi.