Biodiversità, la Cop16 bis si chiude con un accordo parziale
Il prolungamento della Cop16 sulla biodiversità ha permesso di stabilire un principio sui finanziamenti, ma sulle modalità concrete non c’è accordo
A quattro mesi di distanza dal fallimento dei negoziati a Cali, in Colombia, i governi riuniti alla sedicesima Conferenza mondiale sulla biodiversità delle Nazioni Unite (Cop16) hanno raggiunto un accordo. Durante il prolungamento del summit, organizzato a Roma presso la sede della Fao, le nazioni presenti (circa 150) hanno trovato un’intesa su un testo di compromesso tra quanto chiesto dal Sud del mondo e quanto si sono mostrati disposti a concedere i Paesi ricchi.
Al terzo e ultimo giorno di negoziati, infatti, le economie più sviluppate hanno accettato un piano di lavoro su più anni, attraverso il quale si dovrebbero sbloccare i capitali necessari per arrestare la distruzione degli ecosistemi, preservando di conseguenza flora e fauna.
Una base per dare attuazione concreta all’accordo di Kunming-Montréal
Un passo avanti, senza dubbio, ma il lavoro da fare resta molto. Lo sa anche la ex ministra dell’Ambiente della Colombia, Susana Muhamad, che ha presieduto la Cop16 e ha chiuso tra gli applausi la conferenza. «Siamo riusciti a far adottare un primo piano mondiale per finanziare la conservazione della vita sulla Terra», ha dichiarato in un post pubblicato sul social network X. «Crediamo nel multilateralismo e lo abbiamo dimostrato pensando alle generazioni future», ha aggiunto il capo delegazione del Senegal, Ousseynou Kassé, che ha rappresentato il gruppo dei Paesi africani.
Già con l’accordo di Kunming-Montréal del 2022, i governi avevano accettato il principio della necessità di rimediare alla deforestazione, all’eccessivo sfruttamento delle risorse e all’inquinamento che mettono in pericolo i sistemi di alimentazione, sanitari, aggravano la crisi climatica e minacciano di estinzione un milione di specie animali. Il testo di tre anni fa indicava la necessità di arrestare i processi di distruzione della natura entro il 2030, attraverso 23 obiettivi, tra i quali la trasformazione del 30% delle terre emerse e degli oceani in aree protette.
Non si sa ancora come ottenere i 200 miliardi di dollari all’anno necessari
La questione che rimane però sul tavolo è quella più cruciale: come dare “vita” all’impegno deciso a Roma: portare a 200 miliardi di dollari all’anno, di qui al 2030, gli stanziamenti mondiali per la protezione della natura. Di cui, secondo l’accordo, 30 miliardi dovranno andare direttamente dai Paesi ricchi a quelli poveri. Sul modo in cui ottenere tali capitali, c’è infatti ancora divisione tra le nazioni.
Il testo licenziato alla Cop16 rinvia infatti alla Cop18, nel 2028, la decisione sulla forma che occorrerà prevedere (neppure perciò alla Cop17 che si terrà nel 2026 in Armenia). Da una parte i Paesi africani premono per un nuovo fondo da porre sotto l’autorità della Convenzione sulla diversità biologica (Cbd) dell’Onu. Dall’altra i Paesi sviluppati preferiscono mantenere gli strumenti esistenti, a partire dal Fondo mondiale per l’ambiente, di cui propongono una riforma per rendere più facile l’accesso ai fondi da parte delle economie in via di sviluppo.
“Abbiamo ottenuto il piatto, ora bisogna cercare il cibo”
A Roma, insomma, si è stabilito un principio ma non si è riusciti a decidere il modo in cui raggiungerlo. In particolare, a contrastare l’idea di un nuovo fondo sono stati l’Unione europea, il Giappone e il Canada (gli Stati Uniti sono assenti poiché non sono mai entrati nella Cbd). «Abbiamo ottenuto il piatto, ora bisogna cercare il cibo», ha dichiarato in questo senso Daniel Mukubi, rappresentante della Repubblica Democratica del Congo.
Sul punto cruciale della Cop16, dunque, si può dire che il risultato rappresenta una base fondamentale, ma nulla di più per ora. Ciò nonostante, il summit ha permesso di ottenere alcuni passi avanti importanti: si è stabilito ad esempio il principio di una partecipazione più attiva delle popolazioni autoctone in seno ai negoziati. Si è poi deciso di creare un “Fondo Calì” destinato a redistribuire una (piccola) parte degli immensi profitti realizzati dalle multinazionali dei Paesi ricchi grazie a fauna e flora prelevati nel Sud del mondo.
Una rivincita per il multilateralismo
Ma soprattutto, sembra essere migliorato il rapporto tra le nazioni nell’ambito dei negoziati. In molti hanno registrato una maggiore “fiducia” reciproca tra le delegazioni. In questo senso, la Cop16 potrebbe rappresentare un momento di rilancio del multilateralismo, minato da nazionalismi, protezionismi, ripiegamenti su loro stessi di numerosi Paesi, negli ultimi anni. Il che ha pesato sui negoziati climatici, su quelli legati al trattato sulla plastica o ancora sulla desertificazione. Forse l’assenza degli Stati Uniti dai negoziati ha giovato, in questo senso.