Cop15, luci e ombre nell’accordo mondiale sulla biodiversità

La Cop15 sulla biodiversità si è chiusa con il raggiungimento di un accordo che presenta passi avanti e elementi deludenti

da Montréal, Emanuele Bompan
La Cop15 si è conclusa con un accordo sulla biodiversità © Dirk Daniel Mann/iStockPhoto
da Montréal, Emanuele Bompan
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Da oggi il mondo ha come obiettivo quello di proteggere almeno il 30% delle terre, degli oceani, delle zone costiere e delle acque della Terra. Arrestando e invertendo la perdita di biodiversità. Un risultato storico quello raggiunto dalla quindicesima Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica (Cop15). Nella notte del 18 Dicembre, in Canada, sotto la presidenza della Cina, è stato adottato il Global Biodiversity Framework (GBF), il primo accordo globale sotto l’egida ONU per garantire la stabilità dei servizi ecosistemici fondamentali per la sicurezza umana, lo sviluppo economico, la tutela della natura, la lotta contro i cambiamenti climatici.

Cosa prevede l’accordo sulla biodiversità raggiunto alla Cop15 di Montréal

Il GBF comprende quattro obiettivi e 23 target da raggiungere entro il 2030 per arrestare e invertire la perdita di biodiversità. Il più importante è l’obiettivo 30by30: nei prossimi 7 anni i Paesi firmatari (circa 190, sono fuori Stati Uniti e Vaticano, insieme alla Corea del Nord) dovranno impegnarsi per tutelare almeno il 30% dei loro territori entro la fine del decennio. Nuovi parchi e aree marine, ma che includano anche attività umane benché sostenibili, nel rispetto delle comunità locali ed indigene.

Altro obiettivo importante del GBF è la rigenerazione del 30% degli ecosistemi degradati. Entro la fine del decennio tutti Paesi dovranno bonificare quasi un terzo degli ecosistemi terrestri, acquatici e marini impattati dalle attività umane. Per l’Italia la sfida si gioca sopratutto nelle zone umide e fluviali, le aree costiere (i balneari non apprezzeranno) e le aree alpine, ancora troppo poco tutelate dal turismo invernale.

Troppo pochi passi avanti sulle attività economiche

Delusione invece sulla riduzione dell’impronta ambientale sulle attività economiche. Senza un target specifico, sarà più difficile adottare azioni di riduzione dell’impronta ecologica di produzione e consumo – uno dei principali fattori di degrado.  

Male anche sul tema della riduzione dei pesticidi. Invece che essere gradualmente eliminati (in una delle bozze dell’accordo di era parlato di una riduzione del 50% del consumo), si dovrà “ridurre il rischio complessivo”, riducendo di almeno la metà l’uso di sostanze chimiche pericolose in agricoltura. La battaglia per tutelare gli impollinatori e la biodiversità nel suolo rimane dunque aperta. C’è tuttavia chi ritiene che parlare di “rischio” sia utile perché alcuni prodotti, anche in piccole dosi, sono fortemente tossici.

Specie invasive, pianificazione urbana e diffusione di agenti patogeni nell’accordo della Cop15

Confermati  altri importanti obiettivi di conservazione della natura. Si dovrà prevenire l’introduzione di specie esotiche invasive prioritarie e ridurre di almeno la metà l’introduzione e l’insediamento di altre specie esotiche invasive note o potenziali. Si dovrà poi sradicare o controllare le specie esotiche su isole e altri siti prioritari (target 6).

Occorrerà inoltre porre attenzione all’uso e commercio delle specie selvatiche, in particolare per la riduzione dello spill-over di agenti patogeni, come ci ha insegnato il Sars-CoV2 (target 5). E aumentare in modo significativo l’area, la qualità e la connettività, l’accesso e i benefici degli spazi verdi e blu nelle aree urbane e densamente popolate in modo sostenibile, integrando la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità. Nonché garantire una pianificazione urbana che includa la questione della diversità biologica (target 12).

I piani nazionali e i meccanismi di verifica

In linea con l’Accordo di Parigi, il GBF opta per l’azione volontaria dei singoli Paesi, preservando il principio di sovranità (sorpassato secondo l’autore per le questioni ambientali). Ogni governo, dunque, dovrà recepire il Global Biodiversity Framework e redigere o aggiornare le Strategie e i Piani Nazionali per la biodiversità (NBSAPs). Potendo usufruire di una serie di servizi di accompagnamento e accelerazione messi a disposizione dal GBF, utili per quesi Paesi che non hanno sufficienti capacità e competenze. Le risorse arriveranno dal Fondo per la biodiversità .

Ci saranno due momenti di verifica dell’avanzamento dell’implementazione dei NBSAPs, uno nel 2026 e uno nel 2029, dove ogni Stato dovrà presentare il questionario fornito compilato. Ma non saranno fatte verifiche formali di accountability, questo spetterà a terze parti e società civile. Sarà dunque fondamentale il ruolo di watchdog di stampa e organizzazioni non governative, in mancanza di un meccanismo ufficiale di verifica.

Le reazioni all’accordo raggiunto a Montréal

Sebbene sia mancata la presenza dei capi di Stato a Montréal, l’accordo ha reazioni contrastanti, tra chi celebra il successo e chi ravvisa le lacune contenute nel GBF. «Il Global Biodiversity Framework deve essere il trampolino di lancio per l’azione dei governi, delle imprese e della società verso la transizione verso un mondo positivo per la natura. A sostegno dell’azione per il clima e degli Obiettivi di sviluppo sostenibile», ha dichiarato Marco Lambertini, direttore generale del WWF International.

«L’accordo finale non è sufficiente. Per garantirne l’efficacia, serve un’azione forte e decisa da parte dei governi che dovranno attuare l’Accordo a livello nazionale. Dall’Italia, che è il Paese europeo con maggiore biodiversità, ci aspettiamo un’azione politica seria e decisa in questa direzione», ha commentato il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani.

«Sull’onda del successo di COP15, l’Europa approvi al più presto la proposta di legge per il ripristino della natura, la cosiddetta Restoration Law #RestoreNature. Di cui oggi comincerà la discussione tra i ministri europei dell’Ambiente, tra cui il nostro Gilberto Pichetto Fratin», afferma Claudio Celada, della LIPU.

Risorse finanziarie per la biodiversità e sussidi dannosi

Per sostenere gli obiettivi del GBF, entro la fine del decennio si dovranno investire almeno 200 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti nazionali e internazionali relativi alla biodiversità provenienti da pubblico e privato. Una parte servirà per sostenere i Paesi in via di sviluppo e gli Stati insulari.

Le cifre indicate nell’accordo della Cop15 appaiono però decisamente inferiori. Il GBF richiede che vengano stanziati almeno 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2025 e 30 miliardi all’anno entro il 2030. Utilizzando un nuovo Fondo per la Biodiversità che dovrà essere pronto il prossimo anno all’interno del Global Environmental Fund (GEF). Strumento che da decenni sostiene investimenti su clima e natura canalizzando risorse dai paesi OCSE.

La posizione vaga dell’Italia

I fondi proverranno dagli Aiuti pubblici allo sviluppo dei Paesi industrializzati e dai bilanci nazionali. L’Europa ha già impegnato circa 7 miliardi di euro per i prossimi tre anni. Germania e Francia sono tra i principali donatori. Nessun annuncio invece dall’Italia. La vice-ministra dell’Ambiente Vannia Gava ha affermato genericamente che «il nostro Paese si è impegnato a mobilitare risorse».

deforestazione biodiversità clima
La deforestazione colpisce clima, salute e biodiversità © roya ann miller/Unsplash

Forse il risultato più importante è l’eliminazione graduale, ma entro il 2030, dei sussidi che danneggiano la biodiversità per un valore di almeno 500 miliardi di dollari all’anno. Aumentando nel contempo gli incentivi positivi per la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità (target 18). Attualmente, quasi 1.800 miliardi di sussidi per l’agricoltura e il settore estrattivo sono erogati annualmente. L’Italia ha già un registro di quelli ambientalmente dannosi sulle fonti fossili. Ora dovrà aggiornarlo includendo quelli dannosi per la natura . E decidere quali eliminare nei prossimi anni. Le associazioni ambientaliste sono chiamate a fare pressione sul tema.

Oltre ai singoli Stati, però, servirà una grande campagna globale per fare pressioni all’interno degli accordi commerciali, come nel caso del Nafta, e soprattutto alla WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio che ha già eliminato lo scorso anno i sussidi ai soggetti che pescano quote superiori al dovuto.

Biodiversità, cosa cambia per le imprese

L’Accordo di Montreal-Kunming avrà impatti rilevanti sul mondo delle imprese. Con il target 15 i Paesi dovranno «adottare misure per incoraggiare e consentire che le grandi società e le istituzioni finanziarie per monitorare, valutare e divulgare regolarmente i loro rischi, le dipendenze e gli impatti sulla biodiversità». Non sono presenti, però, obblighi specifici: solo, appunto un “incoraggiamento”.

«La Cop15 lancia un messaggio chiaro alle grandi imprese e alle istituzioni finanziarie: preparatevi a stimare, valutare e divulgare i vostri rischi, dipendenze e impatti sulla biodiversità, al più tardi entro il 2030. Lo status quo, business as usual, non è più possibile», commenta a Valori Stefania Avanzini, direttrice di OP2B, coalizione che raduna quasi 30 multinazionali europee.

L’accordo crea poi un percorso per regolare lo sfruttamento della ricchezza naturale e diversità genetica dei Paesi meno industrializzati da parte delle multinazionali e delle nazioni più ricche. Entro la Cop16, prevista per il 2024, si dovrà creare un fondo che possa raccogliere le risorse derivanti dallo sfruttamento di animali e piante dei Paesi poveri da parte delle multinazionali della genetica, della cosmetica e medicina.