Affitti brevi: come Airbnb è diventata un business per pochi grandi gestori
La locazione breve di Airbnb ha influenzato non solo il settore turistico ma anche il panorama residenziale, sociale e commerciale
Chi gestisce davvero il mercato Airbnb? È questa la domanda al centro del report pubblicato dal Future Urban Legacy Lab del Politecnico di Torino, firmato dai responsabili scientifici Francesco Chiodelli e Mara Ferreri. Lo studio, dedicato all’evoluzione degli affitti brevi in Italia tra il 2017 e il 2024, concentra l’attenzione su una delle piattaforme più influenti del settore: Airbnb. I numeri parlano chiaro: quello che un tempo era un fenomeno dell’economia collaborativa si è trasformato in un colosso imprenditoriale che, in molti casi, sfugge al controllo delle amministrazioni locali.
Se in passato a offrire ospitalità erano soprattutto piccoli proprietari con una stanza libera o una seconda casa da mettere a reddito, oggi il mercato degli affitti brevi è sempre più in mano a gestori professionali, capaci di controllare decine di appartamenti e intercettare una quota crescente dei ricavi del settore.

Short-term rentals in Italy from 2017 to 2024″
Un mercato che vale 8,8 miliardi di euro
La distribuzione geografica degli alloggi attivi su Airbnb in Italia è fortemente disomogenea. Le aree con la maggiore concentrazione di annunci sono le grandi città – come Milano, Venezia, Firenze e Roma – e i centri d’arte. Insieme a numerosi territori a forte vocazione turistica, tra cui le zone costiere e i grandi laghi del Nord. Al contrario, le aree interne di Sardegna, Sicilia, Basilicata, Molise, Abruzzo e Calabria, così come alcune zone del Friuli-Venezia Giulia e dei territori appenninici, registrano una presenza molto più limitata di alloggi.
L’aumento dell’offerta di unità è direttamente legato alla crescente domanda di affitti brevi, soddisfatta in gran parte da Airbnb, che nel 2024 ha registrato 53 milioni di notti prenotate. Il dato è più che raddoppiato rispetto al 2017, quando le notti prenotate erano 23 milioni. Come evidenzia il report, tra il 2017 e il 2024 il numero di alloggi disponibili su Airbnb in Italia è aumentato del 52%. Raggiungendo il record di 754mila unità. Dopo la flessione dovuta alla pandemia – con un minimo toccato nel 2021 – il settore è tornato a crescere con vigore, superando i livelli pre-Covid già nel 2023.
Parallelamente, sono aumentate anche le performance economiche degli immobili in locazione breve. Le notti prenotate per unità sono salite del 50%. Così come la tariffa media giornaliera, oggi attestata a 167 euro a notte. Il risultato? Un giro d’affari complessivo passato da 2,5 miliardi di euro nel 2017 a ben 8,8 miliardi nel 2024, con un incremento del 242%.
L’ascesa dei grandi gestori su Airbnb
A cambiare, tuttavia, non è solo la quantità di alloggi. Ma anche – e soprattutto – chi li gestisce. Il mondo degli affitti brevi a scopo turistico tramite piattaforme digitali è molto variegato. In particolare per quanto riguarda gli host, ovvero coloro che mettono a disposizione le strutture. Si va da chi affitta un appartamento per integrare il proprio reddito, senza farne un’attività principale, fino a soggetti più strutturati, tra cui veri e propri imprenditori del settore attivi in diverse località.
Una delle modalità più comuni per distinguere le varie tipologie di host è quella basata sul numero di abitazioni gestite. Si individuano così tre categorie. Gli small host che amministrano una o due unità. I medium host che ne gestiscono da tre a dieci. E infine i large host che controllano più di dieci alloggi.
Nel 2024 gli host attivi su Airbnb in Italia erano circa 350mila, con un aumento del 36% rispetto al 2017 (circa 92.500 in più). Ma non è cresciuto solo il numero degli host: è aumentato anche il numero medio di alloggi per ciascun gestore, passato da 1,92 a 2,15 unità. Un dato che riflette soprattutto l’espansione della quota di host che gestisce un numero elevato di abitazioni.
Tutto il guadagno a pochi gestori
Riassumendo, nel 2024 gli host attivi sono circa 350mila, l’84% dei quali è costituito da piccoli proprietari con una o due abitazioni. Tuttavia, dietro questa apparente frammentazione si cela un’altra realtà. I large host, cioè coloro che amministrano più di 10 alloggi, rappresentano solo l’1,3% degli host (4.300), ma controllano il 25% delle abitazioni presenti su Airbnb. Il numero di large host è cresciuto più rapidamente rispetto a quello dei piccoli e medi locatori, con un aumento del 77% tra il 2017 e il 2024.
E non si tratta solo di quantità. I guadagni medi di un large host si attestano sui 17.900 euro per appartamento all’anno, contro gli 8.500 euro di un piccolo locatore. Complessivamente, i grandi gestori si spartiscono 3,3 miliardi di euro, pari al 38% del mercato. Oltre a detenere un numero molto elevato di alloggi: 42 in media (contro i 32 del 2017). Una dinamica che evidenzia una crescente concentrazione della ricchezza e una progressiva “aziendalizzazione” del settore.
Airbnb e le città: tra turismo e crisi abitativa
«In Italia, la locazione breve attraverso Airbnb ha influenzato profondamente non solo il settore dell’offerta turistica ma anche, più in generale, il panorama residenziale, sociale e commerciale di molti territori, divenendo per questo argomento di acceso dibattito pubblico, politico e accademico», scrivono i ricercatori. «Su questo sfondo, appare utile fornire dati aggiornati che permettano di comprendere il fenomeno a diverse scale territoriali come base per una riflessione accademica robusta, un discorso pubblico consapevole e politiche pubbliche efficaci».
I dati estratti dai database di AirDNA, fornitore globale di dati sugli affitti brevi, ed elaborati dai ricercatori, mettono in evidenza l’impatto crescente che il mercato degli affitti brevi esercita sul tessuto urbano e sociale. L’alta redditività degli alloggi turistici rispetto a quelli residenziali incentiva infatti la conversione di immobili abitativi in case vacanze, contribuendo a fenomeni come la desertificazione dei centri storici e la riduzione dell’offerta abitativa per i residenti.
Molte amministrazioni locali stanno cercando di correre ai ripari con regolamenti, limiti e nuovi strumenti normativi. Tuttavia, la rapidità di trasformazione del settore e la forza economica dei grandi operatori rendono difficile un controllo davvero efficace. Ma soprattutto diventa necessario rimettere al centro il diritto all’abitare in città sempre più attrattive ma sempre meno accessibili. Il report del Politecnico rappresenta in questo senso una base conoscitiva solida per orientare il dibattito pubblico e l’azione politica. I dati mostrano chiaramente che non si tratta più di un fenomeno marginale o spontaneo ma di un comparto strutturato che richiede regole, trasparenza e strumenti di governance adeguati.
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