Il Trattato anti-fossili rilancia verso la Cop30

Dopo quattro anni, il Fossil Fuel Treaty entra in una nuova fase che dovrebbe portare all’apertura di un tavolo di negoziazione multilaterale

Il Fossil Fuel Treaty vuole essere un trattato globale vincolante per la non-proliferazione dei combustibili fossili © fossilfueltreaty/Flickr

Quando venne lanciata ufficialmente alla Climate Week di New York di fine 2020, si presentava come un’iniziativa «il cui tempo è giunto». Da allora ha ricevuto sostegno un po’ a tutti i livelli e in ogni parte del mondo, o quasi. Ora il Fossil Fuel Treaty, che mira a definire un trattato globale vincolante per la non-proliferazione dei combustibili fossili, è pronto ad aprire una nuova fase. Anche in vista della Cop30 in programma a novembre in Brasile.

Un milione i sostenitori del Fossil Fuel Treaty

Ad annunciare le nuove sfide e i nuovi obiettivi del Fossil Fuel Treaty è stata Tzeporah Berman, attivista ambientale canadese co-fondatrice dell’iniziativa e presidente del Comitato direttivo. Lo ha fatto intervenendo alla prima International Conference on Climate Actions and Just Transition organizzata dal Just Fossil Fuel Transitions Jean Monnet Centre of Excellence dell’Università di Padova.

Il Treaty ha appena raggiunto la ragguardevole quota di un milione di sostenitori individuali a livello mondiale, giustamente celebrandola in quanto altamente simbolica e anche per suonare la carica in un periodo nel quale la comunità internazionale sul tema della crisi climatica è, diciamo così, un po’ distratta. Scordando che essa rimane la fondamentale sfida esistenziale dei prossimi anni. Anche perché, a differenza di qualunque fra i purtroppo numerosi e devastanti conflitti in corso, sul clima non c’è nessuna controparte con cui negoziare: dipende solo da noi.

«Caccia» a nuovi Stati aderenti

Dato che l’idea è quella di un trattato globale, i destinatari dell’iniziativa sono ovviamente gli Stati. A oggi il Fossil Fuel Treaty è sostenuto, tra endorsement veri e propri e aperture ufficiali a discuterne, da 16 nazioni in quattro Continenti. In buona parte si tratta di piccoli Stati insulari situati in mezzo agli oceani. Come la Repubblica di Vanuatu, la prima ad aderire in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2022. Ma ci sono anche Paesi molto rilevanti dal punto di vista economico, energetico e geopolitico, come la Colombia o il Pakistan.

Uno dei principali obiettivi è perciò quello di salire da 16 a 20 Stati entro la fine di quest’anno. Possibilmente portando a bordo altri Stati di peso. Anche per questo Berman ha di recente effettuato una sorta di tour europeo di oltre un mese, toccando una decina di città fra cui Roma. Mentre nello stesso periodo dall’altra parte del mondo, a Tarapoto, in Perù, il team del Fossil Fuel Treaty era a fianco dei leader indigeni che lanciavano l’ambiziosa iniziativa “Amazzonia libera dai combustibili fossili”.

Verso un tavolo di negoziazione multilaterale

La principale partita strategica da giocare è avviare la formalizzazione di un processo di consultazione multilaterale. Coinvolgendo i corpi diplomatici in gruppi di lavoro. Per ottenere un mandato formale di negoziazione, nell’ambito delle Nazioni Unite o come processo negoziale autonomo, e iniziare le negoziazioni vere e proprie. Con l’obiettivo di avere già nel 2026, o comunque nel giro di 12-24 mesi, un testo condiviso e sufficientemente ambizioso.

Allo scopo si potrà sfruttare l’esperienza delle riunioni ministeriali che i Paesi che sostengono il Treaty hanno già organizzato, l’ultima alla Cop29 di fine 2024. Tutto questo sarà comunque il principale tema di discussione del Fossil fuel Treaty Virtual Summit, già calendarizzato dall’8 al 15 settembre di quest’anno.

Chi sostiene il Fossil Fuel Treaty in Italia

Un percorso di certo non privo di ostacoli, quello della nuova fase del Fossil Fuel Treaty. Che però ci è abituato, essendo stato bollato fin dai primi passi come un’iniziativa utopistica. La migliore dimostrazione che l’utopia sta lasciando il campo alla realtà, invece, è fornita dal numero crescente di sostenitori, non solo individuali, che il Treaty ha raccolto lungo la strada. Anche in Italia.

Sostengono ufficialmente l’iniziativa città importanti come Torino, la prima a farlo a fine 2022, e Roma. Ma anche numerosi membri del Parlamento ed europarlamentari italiani. Enti e istituzioni religiosi, insieme a organizzazioni della società civile. E poi Banca Etica, primo istituto finanziario a prendere posizione in Italia e tra i primi al mondo. Con GABV (Global Alliance for Banking on Values), di cui Banca Etica fa parte, che è stato il primo network di attori finanziari a livello globale ad aderire al trattato.

A Padova il centro universitario sulla «just fossil fuel transitions»

Fra i sostenitori del trattato in Italia c’è il citato Just Fossil Fuel Transitions Jean Monnet Centre of Excellence dell’Università di Padova. L’endorsement risale a quando si chiamava Jean Monnet Centre for Climate Justice: da allora ha cambiato nome anche per rendere ancora più esplicito il suo sostegno al Trattato di non-proliferazione delle fossili.

«Ci proponiamo come luogo di cooperazione tra ricerca, istituzioni e movimenti sociali – spiega il professor Massimo De Marchi – per avviare percorsi virtuosi di transizione dai combustibili fossili e giustizia climatica. Anche diffondendo e sostenendo le iniziative mondiali più importanti su questi temi». Fra queste l’esperienza del movimento Yasunidos, in Ecuador, felicemente conclusasi con l’ampia e storica vittoria del sì (59%) ad agosto 2023 nel referendum contro lo sfruttamento petrolifero del Parco Nazionale Yasuní (riserva Unesco). Riguardo al Fossil fuel Treaty, «il Centro – aggiunge il ricercatore Edoardo Crescini – intende promuovere e diffondere l’iniziativa a livello internazionale attraverso eventi di dialogo con la società civile e pubblicazioni scientifiche».

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