La Cop30 di Belém sul clima si è chiusa senza alcun passo avanti
La Cop30 si chiude senza nessun risultato raggiunto. Una vittoria per chi aveva scommesso sul flop – come Donald Trump
Si sta concludendo in queste ore a Belém, nell’Amazzonia brasiliana, la trentesima Conferenza delle Parti sul clima delle Nazioni Unite. Salvo sorprese dell’ultimo minuto, però, il risultato sembra già scritto: niente di fatto. Dopo due settimane di dibattiti sulla possibilità di iniziare ad adottare un piano globale per l’abbandono dei combustibili fossili – la roadmap di cui già abbiamo parlato – l’accordo finale diffuso dalla Presidenza si limita a citare le decisioni già prese due anni fa alla Cop28 di Dubai.
Non si riesce nemmeno a citare la locuzione combustibili fossili. Sulla finanza per l’adattamento nel Sud globale c’è la menzione della triplicazione dei fondi, ma rimandata al 2035 e con la più debole delle formulazioni possibile. Una sconfitta su tutta la linea per il multilateralismo climatico e per quei Paesi, Brasile in testa, che avevano scommesso su un vertice ambizioso. E una grande vittoria per il presidente statunitense Donald Trump, che il summit lo ha boicottato.
Il testo che dovrebbe, salvo sorprese, essere approvato a breve nel corso della plenaria conclusiva della Cop30 è stato condiviso nella tarda mattinata di sabato 22. L’accordo appare celebrativo rispetto a quanto fatto finora, benché gli impegni siano ancora largamente insufficienti. Rispetto al tema degli impegni nazionali di transizione ancora non presentati da diversi Paesi, si limita a chiedere a chi non ha depositato ancora le proprie promesse di farlo, nonché a tutti i Paesi di implementarle entro il 2030. Una formulazione molto debole.
La bozza finale della Cop30: roadmap eliminata e finanza climatica indebolita
La roadmap sparisce come già annunciato. Al suo posto, all’articolo 41 il testo lancia un Global Implementation Accelerator (Acceleratore globale per l’implementazione, in italiano), un nuovo meccanismo che punta a rendere operativo l’Accordo di Parigi. Tuttavia, si specifica a chiare lettere che si tratta di un’iniziativa «cooperativa, facilitativa» e, soprattutto «volontaria». Nessuna volontà condivisa, dunque di passare all’azione da parte dei governi di tutto il mondo riuniti alla Cop30 di Belém. Lo stesso articolo cita però l’obiettivo degli 1,5 gradi centigradi rispetto all’era preindustriale come limite al quale puntare in termini di riscaldamento globale. Si tratta di uno degli innumerevoli elementi sui quali si sono scontrati i negoziatori. Certo, difficile considerarlo una conquista, poiché gli 1,5 gradi rappresentavano, prima di questa Cop, uno dei pochi punti sui quali c’era un sostanziale, benché a volte recalcitrante, consenso. E c’era fin dall’Accordo di Parigi del 2015.
Anche sulla finanza difficile festeggiare. L’adattamento è quell’insieme di pratiche mecessarie per prepararsi agli effetti della crisi climatica. I paesi più poveri faticano a finanziarle, e difficilmente i privati sono interessati a investirci. Per questo, il gruppo negoziale G77 che riunisce Africa, America Latina e Asia chiedeva la triplicazione dei capitali che il cosiddetto Nord globale garantisce loro a questo fine. All’articolo 53 del testo finale si ribasisce il raddoppio entro il 2025 dei capitali concessi ai Paesi in via di sviluppo per l’adattamento (cosa che però era già stata decisa nel 2021). Contestualmente, si chiede «che vengano compiuti sforzi per almeno triplicare i finanziamenti per l’adattamento entro il 2035». Nella bozza precedente si parlava di 2030, e il linguaggio usato indica un invito, non un obbligo.
I nodi irrisolti della Cop30: commercio, deforestazione ed emissioni future
All’articolo 56 si parla di misure commerciali. E si riafferma il principio secondo cui «le Parti dovrebbero cooperare per promuovere un sistema economico internazionale favorevole e aperto che porti a una crescita economica e a uno sviluppo sostenibili, in particolare nei paesi in via di sviluppo». Senza nominarlo, ci si riferisce al Meccanismo di aggiustamento della CO2 alle frontiere dell’Ue. In particolare, quando si dice che «le misure adottate per combattere i cambiamenti climatici, comprese quelle unilaterali, non dovrebbero costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o ingiustificata o una restrizione dissimulata al commercio internazionale». Questa era una richiesta cinese, ma difficilmente avrà effetti sulla legislazione europea.
Il testo «riconosce che limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi implica una profonda, rapida e sostenuta riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035, rispetto ai livelli del 2019, nonché l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 entro il 2050». Anche in questo caso si tratta della semplice riproposizione di quanto già indicato dal Global Stocktake approvato nel 2023 alla Cop28 di Dubai. C’è della soddisfazione in chi scrive quando si recita: «Evidenziamo che rispetto alla traiettoria che portava a oltre 4 gradi ora siamo 2,3-2,5». Il che sarà, però, vero solo a patto che le promesse di riduzione le rispettino tutti. E in ogni caso arrivando a un livello di riscaldamento climatico nettamente superiore alla forchetta indicata dall’Accordo di Parigi.
La deforestazione doveva essere un grande tema, in una Cop ospitata al confine dell’Amazzonia. Non lo è stato. Dopo il lancio di un fondo per le foreste voluto dal Brasile ed esterno al sistema delle Nazioni Unite, non è arrivato altro. Nel documento finale si citano target già inclusi negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Onu.
Il fallimento del mutirão: salta la mobilitazione collettiva per il clima
La presidenza brasiliana aveva ribatezzato il documento finale Mutirão decision. Mutirão letteralmente significa sforzo congiunto, e si usa in quei contesti in cui una comunità (una famiglia, un vicinato) si riunisce per un lavoro (la raccolta delle olive, la ristrutturazione di una casa). Quello spirito si è evidentemente perso nel corso del negoziato, e di mutirão alla Cop30 non parla più nessuno. Ora, per chi crede nel multilateralismo climatico, si apre una fase di riflessione: le Cop sono ancora adatte a salvare l’umanità dalle conseguenze peggiori della crisi climatica?




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