La tassa europea sulla CO2 rischia di far perdere all’Africa 25 miliardi di dollari ogni anno

Il meccanismo di tassazione di CO2, Cbam, sarà effettivo da ottobre. Accolto con favore dai Paesi ricchi, penalizzerà le economie emergenti

Cbam sta per Carbon Border Adjustment Mechanism © Marcin Jozwiak/Unsplash

A ottobre 2023 entra in vigore una nuova legge europea che impone la prima tassa sulle emissioni applicata ai prodotti di importazione. Si chiama Meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere europee (Carbon Border Adjustment Mechanism, Cbam) e verrà applicata gradualmente nei prossimi tre anni prima di essere pienamente implementata.

Si tratta di un sistema che ha l’obiettivo di incidere sui prezzi dei prodotti importati, facendo sì che essi “integrino” anche il costo delle emissioni di gas ad effetto serra legate alla fabbricazione. Tuttavia, il meccanismo si è rivelato estremamente controverso. E a pagarne il prezzo maggiore, ancora una volta, potrebbero essere le economie più vulnerabili. Come quelle dell’Africa

La Cbam si applicherà a partire da ottobre 2023 © Tim van der Kuip/Unsplash

Il Cbam accolto positivamente dal Nord del mondo

Attualmente, alle imprese che operano all’interno dell’Ue costa circa 80 euro (86 dollari statunitensi) emettere una tonnellata di CO2. Con il nuovo sistema, gli importatori saranno tassati allo stesso modo per le emissioni come i produttori interni.

L’idea che sta alla base del Cbam è da un lato evitare la concorrenza sleale da parte di Paesi che non si stanno impegnando a sufficienza sul clima, dall’altro evitare che le aziende europee possano scegliere di delocalizzare la produzione, sfruttando proprio le regole più permissive adottate al di fuori dei confini comunitari. E spostando così semplicemente le emissioni nocive al di fuori dell’Europa.

Inizialmente, la nuova politica si applicherà all’industria del ferro, dell’acciaio, del cemento, dell’alluminio, dei fertilizzanti, dell’idrogeno e della generazione di energia elettrica. Nel Nord del mondo, il Cbam è stato accolto con favore, come un’azione positiva per il clima. Molti politici lo considerano un’opportunità per l’Ue di giocare un ruolo di leadership a livello globale nell’azione contro il riscaldamento globale. 

Anche gli attivisti per il clima ne sono entusiasti, anche se uno studio della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo ha messo in evidenza che la riduzione delle emissioni attraverso il meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere europee «rappresenta solo una piccola percentuale delle emissioni globali di CO2».

Il Cbam farà diminuire il Pil africano dell’1%

Sarebbe utile spostare il punto di vista e raccogliere le osservazioni dal Sud del mondo, dove il Cbam, neanche a dirlo, è stato pesantemente criticato. Gli oppositori lo considerano una misura di protezione dell’industria che avrà ripercussioni negative su regioni come l’Africa.

Un nuovo rapporto della African Climate Foundation dimostra che i settori interessati sono i “motori” delle economie africane. La nuova tassa cancellerà lo 0,91% del Pil africano. Ciò equivale a una diminuzione di 25 miliardi di dollari rispetto ai livelli di Pil del 2021. Per mettere le cose in prospettiva, le perdite annuali derivanti dalla Cbam rappresentano, in valore, tre volte il bilancio della cooperazione allo sviluppo che l’Ue ha destinato all’Africa nel 2021: in quell’anno, l’Unione europea ha destinato 6,3 miliardi di euro al continente.

L’Europa è un mercato chiave per l’Africa, più di Cina e India

Questo accadrà perché il Vecchio Continente rappresenta un mercato chiave per molte economie africane che esportano i prodotti interessati dalla nuova tassa. Un’azione per il clima, quindi, rischia di colpire in modo sproporzionato gli Stati africani, che già sono i meno responsabili della crisi che si vuole risolvere con questo meccanismo. 

Come intervenire? L’unica maniera, come spiega ancora il rapporto di African Climate Foundation, sarebbe quello di diversificare il mercato, quindi che le esportazioni vengano intensificate in altri Paesi, come Cina e India. Questo avrebbe sì ripercussioni sulla geopolitica mondiale ma la difficoltà a monte è quella proprio di differenziare i mercati: per le economie africane è più facile a dirsi che a farsi.

Ad esempio, il rapporto cita il caso Mozambico: lo Stato africano sarà particolarmente colpito dalla legge europea perché è uno dei principali esportatori di alluminio in Europa, mentre il valore delle esportazioni in Cina è quasi insignificante. 

Anche Stati Uniti e India vogliono meccanismi simili

E i problemi potrebbero ingigantirsi in futuro. In risposta alla legge dell’Ue, infatti, altri Paesi che sono mercati potenziali per l’Africa hanno annunciato la loro intenzione di introdurre meccanismi simili per decarbonizzare il commercio.

Nel marzo 2023, il Regno Unito ha aperto consultazioni per un proprio meccanismo. Nel maggio 2023, l’India ha annunciato che avrebbe reagito introducendo un sistema tariffario a sua volta. Gli Stati Uniti hanno introdotto una misura di tassazione simile attraverso l’Inflation Reduction Act.

L’Africa attrae pochi investimenti green

Il Cbam è sbagliato? Sicuramente è uno strumento che non considera le esigenze e le difficoltà oggettive di altri mercati. In realtà, dicono gli esperti dell’African Climate Foundation, ci sarebbe un’altra via d’uscita. Il continente africano potrebbe affrontare l’impatto della legge aumentando la propria capacità di energia rinnovabile. Rendendosi così meno dipendente dagli altri mercati, ma soprattutto centrando gli obiettivi di decarbonizzazione.

Tuttavia, fino ad oggi, il continente continua ad attirare solo il 2% degli investimenti globali nel settore delle fonti pulite. E qui “il cane si morde la coda”: infatti, l’Europa e il resto del mondo non hanno contribuito abbastanza all’altro meccanismo, quello che si chiama “loss and damage”. Le nazioni più ricche, che per decenni (secoli) hanno sfruttato il Pianeta per arricchirsi, ora dovrebbero aiutare i Paesi più poveri e vulnerabili a reagire ai cambiamenti climatici attraverso investimenti. Una sorta di contributo per riparare i danni, che i Paesi più esposti, come quelli africani, potrebbero usare per rendersi più indipendenti e sostenibili. Peccato, però, che di questi soldi, finora, i Paesi africani ne hanno visti molto, molto pochi.