Armi in Yemen e tank in Turchia. J’accuse contro Rheinmetall
A Berlino, dodici tra ong, associazioni cattoliche intervengono all'assemblea del colosso degli armamenti. Molte domande sulla RWM di Domusnovas in Sardegna
Sarà ravvivata da una manifestazione nient’affatto casuale il grigiore dell’assemblea annuale di Rheinmetall, colosso tedesco degli armamenti. Davanti all’hotel Maritim di Berlino, un blocco di cemento incastonato tra il parco del Tiergarten e Potsdamer Platz, protagonista sarà un carro armato. Di cartone, per fortuna. E attorno a lui, un flashmob di attivisti e movimenti pacifisti. Ma anche quest’anno, biasimi e proteste non saranno solo fuori della sala. A portarle dentro, con domande dettagliate al top management aziendale, saranno gli azionisti critici.
Raddoppiano gli azionisti critici
In programma 12 interventi. Il doppio dell’anno scorso. Un buon segnale per far luce sulle strategie più controverse di un’azienda che, con la sua RWM, ha legami diretti anche con l’Italia. Del gruppo di azionariato responsabile faranno parte, tra gli altri, la Fondazione Finanza Etica, Rete Disarmo, Bank für Kirche und Caritas (in rappresentanza del network SfC-Shareholder for Change), Urgewald, Campact, varie associazioni cattoliche ed ECCHR (European Centre for Constitutional and Human Rights).
E nella sequela di domande che verranno rivolte all’amministratore delegato Armin Papperger, ci sarà molta Italia. O meglio, molta Sardegna. Perché è nella seconda isola italiana per grandezza che risiede la RWM. Azienda finita più volte nell’occhio del ciclone perché, dalla sua sede di Domusnovas, a pochi chilometri da Iglesias, partono le armi da fuoco che vengono usate dall’Arabia Saudita per bombardare, ormai da tre anni, lo Yemen (e che sono valse all’azienda una denuncia penale presentata nelle scorse settimane al Tribunale di Roma). «Un conflitto con numerose vittime tra i civili, in una guerra senza mandati internazionali e quindi senza alcuna legittimazione» ricorda Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo che interverrà all’assemblea.
Dieci domande per il top management
«Al management – aggiunge Vignarca – chiederemo ovviamente se sono consapevoli che l’esportazione della RWM Italia Spa controllata al 100% da Rheinmetall, sta violando la risoluzione del Parlamento europeo del 25 febbraio 2016. Il documento approvato dall’aula di Strasburgo chiede un embargo all’esportazione di armi verso tale Paese». Ma non sarà l’unica domanda. L’intervento della Rete Disarmo e di Fondazione Finanza Etica ne prevede dieci.
Molte questioni puntano a evidenziare che la scelta di esportare armi nei Paesi coinvolti nel conflitto yemenita potrebbe rivelarsi un boomerang economico per Rheinmetall. «Da azionisti, vogliamo sapere se i vertici aziendali hanno considerato, ad esempio, le conseguenze che potrebbero avere le norme contenute nel contratto di coalizione che ha portato alla nascita del governo Merkel IV».
L’accordo Cdu-Spd inciderà sui bilanci?
Uno dei punti che hanno portato all’accordo tra la CDU di Frau Angela e la SPD prevede di vietare l’esportazioni di armi nel quadrante mediorientale. Inevitabile che, una simile norma, abbia conseguenze su un’azienda che vende armi ai Sauditi. “Vorremo sapere da Papperger se è stata fatta un’analisi dei rischi e quali conseguenze sono stati stimate per il fatturato della società in termini assoluti e percentuali”. Domande che possono apparire ciniche. Il loro impatto su chi acquista azioni di una società pensando solo ai dividendi tuttavia può essere rilevante. «Crediamo – spiega Vignarca – che questa informazione sia molto importante anche per tutti gli azionisti presenti in sala che si interessano esclusivamente dei profitti della società e dei dividendi che stacca. Se si bloccano le esportazioni verso l’Arabia Saudita potrebbero esserci degli impatti negativi significativi sul bilancio di Rheinmetall».
Il vescovo contro RWM
Ma l’impatto di ciò che verrà deciso a Berlino potrebbe avere conseguenze anche sul futuro dello stabilimento sardo. Gli azionisti critici chiederanno al CdA dell’azienda anche se risponde al vero che le bombe attualmente prodotte su suolo italiano saranno prodotte direttamente in Arabia Saudita. E, sul ruolo di Domusnovas, è intervenuto, con parole durissime, il vescovo di Iglesias, Giovanni Paolo Zedda. «Non si può omologare la produzione di beni necessari per la vita con quella che sicuramente produce morte. Tale è il caso delle armi che – è purtroppo certo – vengono prodotte nel nostro territorio e usate per una guerra che ha causato e continua a generare migliaia di morti», ha scritto il vescovo Zedda in un messaggio.
Le minacce dell’azienda
Parole che arrivano in occasione di una manifestazione indetta per chiedere una riconversione dello stabilimento sardo. Proposta sempre respinta dalla Rheinmetall. L’azienda anzi ha minacciato, con il sostegno dei sindacati, di chiudere lo stabilimento, licenziando 300 dipendenti. «La gravissima situazione economico-sociale non può legittimare qualsiasi attività economica e produttiva, senza che ne valutiamo responsabilmente la sostenibilità, la dignità e l’attenzione alla tutela dei diritti di ogni persona», aggiunge Zedda. «Nessuno di noi giustificherebbe mai che armi prodotte altrove fossero mandate a bombardare le nostre case, le nostre scuole, i nostri ospedali, le nostre chiese, la nostra gente. Ma le popolazioni dello Yemen non hanno forse i nostri stessi diritti?». Una domanda che la rete di azionisti critici farà risuonare nella sala dell’hotel berlinese.