Vadalà: «Trasparenza e legalità per vincere la guerra alle discariche»
Il Commissario straordinario per le bonifiche spiega a Valori i segreti dei traguardi raggiunti: essenziali la cooperazione tra enti e "cittadini-sentinelle"
Indicato come esempio virtuoso dal neoministro dell’Ambiente (ed ex collega) Sergio Costa, anche il generale Giuseppe Vadalà, classe 1963, ora Commissario di Governo per la bonifica delle discariche abusive, viene dal Corpo Forestale dello Stato. È stato al Comando della Regione Toscana, fino all’assorbimento nei Carabinieri Forestali dal primo gennaio 2017. Per molti anni si è occupato di sicurezza agroalimentare e del nucleo investigativo antincendi boschivi. Militare di lunga esperienza a tutela dell’ambiente, dal 24 marzo 2017 è alla guida di una piccola task force, dieci persone in tutto, al Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari dei Carabinieri a Roma.
Generale Vadalà, qual è la funzione del Commissario in merito alla gestione delle discariche abusive sotto procedura d’infrazione UE?
«Lo scorso 24 marzo 2017 il governo ha deciso di implementare l’attività di bonifica, costituendo la figura del Commissario. L’obiettivo è ridurre il più velocemente possibile la sanzione europea che l’Italia sta pagando dal dicembre 2014 per 200 siti contaminati. Finora sono stati pagati 257 milioni in multe per le discariche abusive realizzate negli anni ‘70, ‘80 e ‘90. Bonificare ci fa risparmiare denaro pubblico e lo stiamo facendo velocemente, ma bene. Dopo anni di ritardi e rallentamenti su gare e bonifiche, è stata costituita una task force che possa intervenire a tutto tondo.
Il lavoro sta continuando nel 2018, con risultati che sono più che positivi: in un solo anno 15 siti sono stati regolarizzati, cioè bonificati o messi in sicurezza e abbiamo inviato a Bruxelles l’istruttoria per la bonifica per altri 13 siti. Stiamo lavorando per il 2 dicembre, quando dovremo consegnare la prossima relazione per un programma che comprenderà almeno 20 siti bonificati quest’anno e 20 per il prossimo anno. Sono stati risparmiati 54 milioni di euro, a fronte di 247 milioni già pagati in questi anni alle casse europee».
«Ma oltre la velocità, dobbiamo disinquinare bene, dobbiamo dare sicurezza ai cittadini che vivono intorno a questi siti e contemporaneamente, rendere tutti gli iter amministrativi più trasparenti possibili».
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Trasparenza per le bonifiche: non sempre è stata possibile in Italia, sia nelle procedure ambientali che nella gestione degli appalti.
«Ora la stiamo applicando in maniera coordinata. Utilizziamoi poteri straordinari del commissario lavorando insieme alle altre strutture di controllo. Il tema bonifiche è un problema che riveste i territori, regioni e comuni; con questioni tecniche importanti. Proprio in questi giorni abbiamo stilato un protocollo con il Sistema Nazionale di Protezione Ambientale, Ispra /Arpa per lavorare meglio di concerto, senza saltare passaggi.
Dove i tecnici ARPA / ISPRA ci dicono che quel sito non rientra nei parametri di legge, noi non facciamo altro che lavorare con loro per arrivare alla messa in sicurezza. Così stiamo facendo con i progettisti delle stazioni appaltanti, rispettando i tempi e i percorsi delle gare di attribuzione dei lavori di bonifica.
Dopo il 24 marzo, ci siamo trovati a lavorare con il nuovo codice degli appalti, che sicuramente è più oneroso per ciò che richiede, ma favorisce la trasparenza e la giusta concorrenza, nei giusti tempi. Così abbiamo risparmiato, diversificando la gestione dei fondi commissariali, favorendo la concorrenza tra le stazioni appaltanti.
Poi abbiamo messo mano ai tanti progetti preliminari che dovevano essere trasformati in esecutivi. Lavorando in modo coordinato, dimostrando che si possono rispettare i tempi».
Come avviene il processo di bonifica di un sito?
«La legge 152/2006 regolamenta la bonifica o la messa in sicurezza dei siti contaminati. Ci dice che i rifiuti, se pericolosi, devono essere rimossi e smaltiti in modo idoneo. Ma prima della rimozione, c’è la caratterizzazione, la fase dell’identificazione del tipo di inquinamento con indagini di tipo chimico-fisico, che in alcuni casi abbiamo dovuto rifare, perché ad esempio non combacianti con quanto da noi verificato».
Ma quali sono i parametri che l’Europa ci chiede di rispettare?
«L’Unione europea esige che il sito contaminato sia riconoscibile, quindi recintato e non possa essere più riutilizzato. Non deve più contenere rifiuti pericolosi e non deve procurare pericoli alla salute umana e alla salubrità dell’ambiente. Quindi si può procedere o attraverso la rimozione dei rifiuti, come stiamo facendo per 10 siti contaminati o attraverso il capping, (l’utilizzo di rivestimenti adeguati, come guaine geosintetiche e geotessuti, ndr) per evitare che si formi percolato, come messa in sicurezza. In alcune situazioni si può accettare un ripristino e una restituzione agli usi, se i valori ambientali lo consentono».
Come avete reso pubblico il vostro operato?
«Semestralmente, come previsto per norma, il Commissario deve relazionare al Ministero dell’Economia e Finanze e all’Ambiente e alle Commissioni Ambiente Camera e Senato.
Nella seconda e ultima relazione presentata il 2 luglio, abbiamo dato un buon contributo alla trasparenza. Aprendo le porte ai contributi dei cittadini, si responsabilizza la Pubblica Amministrazione. Ogni processo di bonifica, nel momento che viene reso pubblico, può essere ulteriormente migliorato. Sul nostro sito abbiamo 80 schede che seguono l’avanzamento lavori di ogni sito. Ogni volta vengono aggiornate.
Altro punto operativo: le collaborazioni con enti, i controlli, le stazioni appaltanti. Continui sopralluoghi e riunioni per tenere sotto controllo i vari processi. Tutto è reso noto sul nostro sito nella pagina “accountability” . Per fare tutto ciò, finora, abbiamo speso 60mila euro».
Come entrano le ecomafie nei processi di bonifica e come possiamo prevenire le infiltrazioni?
«Come sottolineato nell’ultimo rapporto Ecomafia, la questione delle bonifiche è centrale nel ciclo dei rifiuti, non ultima. Per chi, come noi, lavora da molti anni in questo campo, sono già noti alcuni soggetti criminali, ricorrono i soliti nomi. L’altro fattore che abbiamo approfondito, non si può non andare a verificare, è la regolarità delle gare e dei lavori.
La nostra attività di controllo è culminata con 15 informative alle Procure, 9 di esse sono situazioni gravi. La bonifica può essere al centro del traffico illegale dei rifiuti. Per questo dobbiamo pensare a strumenti di prevenzione per favorire la legalità: vedi il protocollo di legalità firmato con il Ministero dell’Interno lo scorso 21 marzo, che ci dà la possibilità di mettere ampi filtri non solo al momento dell’aggiudicamento della gara, ma anche alla partenza dei lavori e dei cantieri.
Altro passaggio cruciale è quello che non ci sia nessun pericolo per la salute dei cittadini. Per questo stiamo collaborando con l’Istituto Superiore di Sanità e il progetto Sentieri. Penso al rapporto ISTISAN realizzato per la Calabria, andando a localizzare i siti contaminati e l’impatto sulla salute dei cittadini.
Il collegamento, il passaggio di informazioni con enti pubblici e civici è fondamentale. Non a caso abbiamo sottoscritto 23 protocolli sia con Istituzioni scientifiche (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Istituto di Ricerca sulle Acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche); con la Fondazione Caponnetto di Firenze. Sono in fase di sigla i Protocolli con Confindustria, con ANAC e UnionCamere. Sono stati avviati rapporti con la Direzione Nazionale Antimafia».
In Italia ci sono decine di migliaia di siti contaminati, anche se le mappature regionali sono ancora incomplete. Che cosa possiamo fare?
«La collaborazione tra gli enti è fondamentale. E lo è anche il monitoraggio civico del territorio. Questa è l’insegnamento che possiamo trarre dalla gestione della procedura di infrazione ed è ciò che sappiamo anche dall’esperienza precedente del Corpo Forestale dello Stato: nel 1986, quando nacque il Ministero dell’Ambiente in Italia, aveva già redatto il primo censimento delle cave abbandonate e delle discariche abusive. Quello strumento aveva permesso di scoprire già più di 5000 siti contaminati (censimento ripetuto poi per altre tre volte nel 1996, 2002 e 2016).
Altrettanto cruciale è la totale trasparenza delle istituzioni. Il cittadino deve sapere se quella discarica, quel deposito è legale, così come recentemente ha ricordato il Ministro dell’Ambiente e i siti contaminati, le piattaforme a rischio, devono fare parte di un piano di controllo dei territori, supervisionato anche dalle Prefetture. Ma i cittadini devono e possono essere sentinelle dei territori. A fianco di coloro che lo fanno ufficialmente».