Questo articolo è stato pubblicato oltre 6 anni fa e potrebbe contenere dati o informazioni relative a fonti/reference dell'epoca, che nel corso degli anni potrebbero essere state riviste/corrette/aggiornate.

Processo Opl245, l’ex agente FBI spiega dove sono finiti i soldi

Alla nona udienza del processo contro Eni e Shell sulla presunta tangente per la concessione petrolifera, Debra LaPrevotte ricostruisce i flussi di denaro dell'affare

Luca Manes
Luca Manes
Leggi più tardi

Tutto si può dire, ma certo alla prima udienza interamente pomeridiana del processo a Eni e Shell per la concessione OPL245 in corso a Milano non ci si è annoiati. Anzi.

L’ex Guardasigilli in difesa di Descalzi (e contro le intercettazioni)

La presenza in aula di Paola Severino, avvocato dell’ad del Cane a Sei Zampe Claudio Descalzi, fin qui sempre sostituita da colleghi, doveva lasciar intendere che i fuochi d’artificio ci sarebbero stati sin dalle battute iniziali. E così è stato.

Napolitano, Cancellieri, Fornero, Severino
L’ex Ministro di Grazia e Giustizia del Governo Monti, Paola Severino (a destra), al Quirinale, insieme all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e alle “colleghe” Elsa Fornero (ministro del Lavoro) e Anna Maria Cancellieri (ministro dell’Interno).

Con un intervento articolato e ricco di riferimenti giurisprudenziali, l’ex ministro di Grazia e Giustizia del governo Monti ha contestato l’ammissibilità delle intercettazioni che inizialmente riguardavano il procedimento in corso a Napoli sulla P4 e che vedevano protagonisti proprio Descalzi, Paolo Scaroni (all’epoca amministratore delegato dell’Eni) e il faccendiere Luigi Bisignani, nelle quali si parlava chiaramente dell’affare OPL 245.

Una passaggio chiave dell’inchiesta, tanto che il pm Fabio De Pasquale ha chiesto e ottenuto la possibilità di spiegare nelle settimane a venire la correttezza e la validità di ogni passaggio rigurdante l’inclusione delle conversazioni telefoniche nel dossier processuale.

Tre aule per trovare la connessione…

Finita questa fase più meramente procedurale, ci si è spostati in un’altra aula, al terzo piano del Palazzo di Giustizia, in teoria adatta per la prevista video-conferenza con gli Stati Uniti – motivo dell’orario inconsueto. In pratica, però, non ha funzionato un bel niente. «Proviamo subito a trovare un’alternativa», ci rassicura il presidente della Corte Marco Tremolada, invero apparso abbastanza seccato dall’inconveniente.

Dopo quasi un’ora ecco il “miracolo”: ci si sposta tutti nella terza aula del giorno, dove sullo schermo appare Debra LaPrevotte, 20 anni di carriera di alto livello nell’unità anti-corruzione dell’FBI.

È lei, che da quasi tre anni ha lasciato l’Agenzia ma continua a occuparsi di lotta alla corruzione per la Ong Sentry, ad aver tracciato fra il 2013 e il 2014 tutti i trasferimenti di denaro relativi all’affare OPL 245 – facilitata dal fatto che è una “prerogativa” degli USA avere accesso a tutte le transazioni bancarie in dollari nel Pianeta.

La testimonianza del “segugio” FBI

Grazie a un’ingente mole di informazioni, messa a disposizione per lo più dalla Federal Reserve Bank seguiamo il viaggio dell’ormai famoso miliardo e 92 milioni di dollari.

  • Il 29 aprile 2011 la somma viene versata da Eni e Shell su un conto corrente della JP Morgan di Londra facente capo al governo della Nigeria.
  • Circa un mese dopo, il 24 maggio, c’è il fallitto tentativo di trasferimento alla banca svizzera BSI sul conto A209798 intestato alla Petrol Service, società dietro la quale c’è l’uomo d’affari Gianfranco Falcioni. Ex vice-console onorario dell’Italia in Nigeria, Falcioni si sarebbe speso poi per “agevolare” il passaggio dei soldi su un conto acceso dalla Malabu presso un istituto di credito libanese. Senza però alcun successo.
  • Il 23 agosto dello stesso anno la situazione finalmente si sblocca. Vengono così eseguiti bonifici per 400 e 401 milioni di dollari su due conti correnti intestati a Malabu Oil & Gas presso la Kingston Bank e la First Bank Nigeria, entrambi istituti di credito del Paese africano. Ma in questo caso è realmente solo un rapidissimo transito.

Trascorrono una manciata di ore e il fiume di denaro si sparpaglia in vari rivoli. I 400 milioni finiscono alla statunitense Rocky Top Resources (dietro la quale ci sarebbe Dan Etete, proprietario della Malabu e vero dominus del deal corrotto) e a un’oscura società che si occupa di money transfer, evidentemente per essere poi ulteriormente divisi.

I 401 milioni, invece, giungono a quattro compagnie offshore riconducibili ad Abubakar Alyu, uomo vicino all’ex presidente della Nigeria Goodluck Jonathan e che in patria si era “meritato” il non proprio invidiabile titolo di Mister Corruption.

ex presidente Nigeria Goodluck Jonathan
L’ex presidente nigeriano, Goodluck Jonathan, sospettato di essere uno dei destinatari dei soldi incassati con la presunta tangente pagata da Eni e Shell per ottenere la licenza del giacimento OPL245

I soldi ingrassano i politici nigeriani

Il livello successivo di transazioni è la fotografia più nitida di come centinaia di milioni di dollari non siano serviti per alleviare la povertà in Nigeria, quanto per ingrossare i portafogli di vari politici nigeriani e soddisfare i capricci di Etete.

Tangente Opl245, al processo ENI le rivelazioni dello 007 britannico

Delle varie transazioni enunciate negli schemi grafici presentati come prove documentali dai pm, la LaPrevotte cita:

  • i dieci milioni consegnati a Bajo Ojo San, ministro della Giustizia negli anni Novanta, ai tempi dell’auto-assegnazione di Etete della licenza OPL 245.
  • I 2,2 milioni spesi per proprietà immobiliari in Brasile, il milione e mezzo per macchine di grossa cilindrata a Dubai.
  • I 2 milioni versati a una casa di produzione californiana
  • I 56 milioni destinati all’acquisto di un aereo privato a Oklahoma City. Un jet che Dan Etete usava per i suoi viaggi d’affari in giro per il mondo.

La parola alle Ong

Mercoledì prossimo sarà il turno di Simon Taylor, esponente della Ong Global Witness, insieme a Re:Common e Corner House autrice dell’esposto che ha innescato il caso. Taylor sarà presente in carne e ossa, così almeno ci risparmieremo il tour del Palazzo di Giustizia in cerca dell’aula giusta per la video-conferenza.