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La sostenibilità ambientale fa breccia anche nella finanza islamica

Anche gli investitori fedeli ai dettami dell'Islam si interrogano su come inserire criteri di tutela ambientale nella finanza. Ma pesa il ruolo dei Paesi OPEC

IlhamAllah Chiara Ferrero
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IlhamAllah Chiara Ferrero
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I processi innescati dall’inquinamento globale stanno avendo la meglio sull’equilibrio ambientale. Parallelamente le speculazioni finanziarie hanno segnato l’economia reale rendendo costante la situazione di crisi. I numerosi tentativi di trovare risposte attraverso un modo di produrre e commerciare rispettoso dell’ambiente non hanno considerato uno dei fattori essenziali nel processo di decadenza: il tempo. Quanto tempo ci resta per cambiare?

Una possibile risposta è arrivata da Papa Francesco con l’encliclica Laudato si’ nella quale afferma che: «se i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi, la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore» (paragrafo 217).

Il tema dell’ambiente pone alle religioni interrogativi nati con la modernità, non perché prima non vi fosse l’inquinamento o l’uomo fosse così “arretrato” da non porsi tali questioni, ma perché vi era una maggior aderenza al miracolo della creazione divina. Pur nelle differenti prospettive urge sensibilizzare il mondo laico per trovare soluzioni alle crisi ambientali ed economiche.

Islam: uomo vicario di Dio nella custodia del creato

Nella dottrina islamica l’uomo è vicario di Dio, khalifah, califfo, (Corano 2, 30) nel custodire il creato, sostenuto dall’esortazione divina di «ordinare il Bene e proibire il Male» e dall’interrogativo «forse colui che crea è uguale a colui che non crea? Non riflettete?» (Corano 16,17).

Elemento essenziale nell’Islam è il rinnovamento della creazione a ogni istante (tajdid al-khalq) rivivificando costantemente il legame tra il Creatore e le sue creature, con l’uomo chiamato a vedere con l’occhio del cuore oltre il piano sensibile, decadenza dell’ambiente compresa.

Il musulmano si ispira alle fonti sapienziali per dirimere le sfide attuali e per l’ambiente si può guardare a chi ci ha preceduto, per declinare nella quotidianità i temi ecologici fino alla costruzione di moschee eco-friendly.

Nel 2009 eminenti figure del mondo islamico si sono ritrovate a Istanbul per aderire al Muslim Seven Year Action Plan on Climate Change, la prima iniziativa sull’ambiente che mira alla sensibilizzazione dei 2 miliardi di fedeli musulmani.

Il mondo islamico non ha la soluzione per i problemi ambientali globali, ma forse la sua visione unitaria può avere un impatto positivo in tutti gli ambiti del vivere umano.

I concetti di “lecito e vietato” secondo la finanza islamica

Qui entra in gioco la finanza islamica che riattualizza i concetti di lecito e vietato guardando all’ampiezza e ai limiti delle possibilità umane. Ma quali sono i principi che, oltre alla finanza, regolano anche il rispetto ambientale?

Senza entrare in questioni teologiche, un fondamento è il non valore del denaro per se stesso e di conseguenza la coscienza di non conferirgli un potere.

Nella storia dell’Islam il lavoro e il commercio hanno sempre rappresentato un veicolo di conoscenza e scambi tra popoli con culture e religioni differenti, guardando alla ricchezza come un mezzo al servizio di Dio.

Oggi la solidità dei mercati islamici è vista come una risorsa per risollevare l’economia europea e globale. Dal 2013 il Global Islamic Economy Summit di Dubai, promosso dall’Emiro al-Maktum, propone un report sull’economia islamica e sulla sua scia nel 2014 è nato il Turin Islamic Economic Forum (TIEF), ideato dal Comune di Torino.

Che cos’è il Turin Islamic Economic Forum

La finanza sharia compliant, in grande espansione in Europa, vede il Regno Unito all’avanguardia con l’Italia che comincia a muovere i primi passi. Nel 2013 Azimut, gruppo italiano del risparmio gestito, ha lanciato un sukuk, un “bond” islamico, molto apprezzato non solo dalla clientela musulmana.

La finanza islamica dovrà recepire le istanze della sostenibilità ambientale tra i criteri per individuare prodotti finanziari sharia compliant come già avviene in Malesia e Indonesia. Forse un paradosso se pensiamo che 10 dei primi 20 Paesi produttori di petrolio sono islamici con una produzione del 39%, mentre solo 3 tra i primi consumatori sono musulmani per un consumo totale del 6,8%.

Inoltre su 196 stati sovrani 57 sono a prevalenza musulmana (24% della popolazione mondiale). Numeri spesso utilizzati per legittimare o delegittimare i vari conflitti o per influenzare gli equilibri geopolitici. C’è da chiedersi, dunque, quanto alcuni Paesi islamici produttori di combustibili fossili siano autonomi nella gestione interna della tutela ambientale.

L’auspicio è che la finanza islamica produca benefici tramite un’etica a sostegno dell’economia, per intravedere la vera ricchezza che pertiene a tutti gli esseri in modo che il rispetto dell’ambiente diventi non il fine ultimo, bensì una conseguenza dell’agire umano.

* L’autrice è consulente per la comunicazione di Halal Italia, l’ente italiano per la certificazione islamica. Ha tenuto alcuni focus presso l’Università LUISS-Guido Carli School of Government, la SIOI (Società Italiana di Organizzazione Internazionale) e SDA Bocconi School of Management. Dal 2015 è nel comitato scientifico di “Insieme per prenderci cura” attivo sui temi della salute e della bioetica. È segretario generale della Comunità Religiosa Islamica Italiana, realtà impegnata nella tutela della dignità del culto islamico e dell’approfondimento teologico.