Deforestazione e lavoro minorile: il volto oscuro del cacao
Non solo olio di palma. La Ong Mighty Earth denuncia: anche il cacao (un mercato da 71 miliardi di euro) ha drammatici costi ambientali e sociali
Il consumo di cacao è in continua crescita nel mondo. Secondo i dati di ConsoGlobe, la produzione mondiale ha raggiunto nel 2016 i 4 milioni di tonnellate (127 chilogrammi al secondo). Per un giro d’affari corrispondente di circa 71 miliardi di euro (dato del 2015). Ciò grazie soprattutto alla crescita dell’uso di tale materia prima in Asia, dove storicamente si consuma meno cioccolato rispetto all’Occidente.
Troppo spesso il cacao impone enormi danni ambientali
Tutto ciò è positivo per l’industria del settore, ma si tratta di una crescita che implica un enorme costo ambientale. Ogni anno, infatti, migliaia di ettari di foreste, in parte protette, vengono dati alle fiamme o rasi al suolo per lasciare spazio alle fave di cacao. Nonostante gli impegni assunti ormai più di un anno fa delle aziende.
A fotografare la situazione attuale è un rapporto pubblicato dall’organizzazione non governativa Mighty Earth, intitolato «Chocolate’s Dark Secret». La situazione più complessa è quella dell’Africa occidentale. «Una quantità importante del cacao utilizzato da Mars, Nestlé, Hershey, Godiva e altri grandi marchi viene coltivata in parchi nazionali e aree protette. In particolare in Costa d’Avorio e Ghana, i due più grandi produttori del mondo», si legge nel documento.
L’associazione ambientalista denuncia così che «in numerosi parchi, il 90% della superficie è ormai convertita alla coltura di cacao». Ciò sebbene le foreste naturali «ricoprano ormai soltanto il 4% del territorio ivoriano». Il che ha costretto alcune specie, come gli scimpanzé, a doversi adattare a vivere in aree estremamente ristrette.
Tre società controllano metà del mercato mondiale
Ma non è tutto. «Il fenomeno – prosegue il rapporto – ha contribuito anche a ridurre drasticamente la popolazione di elefanti a 200-400 esemplari in Costa d’Avorio».
Il dito è puntato in particolare contro tre società – la Cargill, la Olam e la Barry Callebaut – «che da sole controllano circa la metà del mercato mondiale di cacao».
«Queste zone un tempo rappresentavano un paradiso per la fauna. Ad esempio per ippopotami e leopardi. Oggi, invece, il deterioramento del territorio e il disboscamento li stanno facendo scomparire», conferma Kouamé Soulago Fernand Signo, segretario generale di una rete di Ong.
Per giungere a tali conclusioni, la Mighty Earth ha risalito l’intera filiera della materia prima. Dai coltivatori presenti nei parchi nazionali, agli intermediari, fino alle imprese che vendono in Europa e negli Stati Uniti. Dove il cacao viene trasformato in tavolette, barrette, creme.
«In 10 mesi distrutto l’equivalente di 15mila campi di calcio»
Il lavoro è stato effettuato anche grazie all’utilizzo di dati satellitari, immagini raccolte con droni e ispettori inviati sul posto. «Le analisi mostrano che solo tra i mesi di novembre 2017 e di settembre 2018, e soltanto nella regione sud-occidentale della Costa d’Avorio, sono stati distrutti circa 13.748 ettari. L’equivalente di 15mila campi di calcio».
Inoltre è stato possibile «sorprendere coltivatori che radevano al suolo parti di foreste rimanendo del tutto impuniti», indica lo studio. Lavoratori le cui paghe, tra l’altro, sono spesso irrisorie rispetto al valore complessivo del mercato. «Nelle due nazioni africane guadagnano in media 0,82 dollari al giorno. A fronte di giornate spesso lunghe e a frequenti condizioni di pericolo. Il lavoro minorile resta inoltre una pratica corrente», denuncia ancora il rapporto.
«Benché – ha osservato Etelle Higonnet, dirigente di Mighty Earth – il settore abbia annunciato da tempo nuovi impegni in materia di sviluppo sostenibile, continua a comportarsi in modo indegno. La responsabilità di marchi celebri nella distruzione dei parchi nazionali e delle aree protette è enorme. Queste aziende devono adottare immediatamente misure drastiche per porre fine una volta per tutte alla deforestazione».
Le aziende replicano il modello in altre regioni tropicali umide
Al contrario, però, secondo il rapporto, le industrie sembrano pronte a replicare il loro modello. «Essendo in via di esaurimento le foreste in Africa occidentale – conclude il rapporto– il settore del cioccolato ha cominciato a guardare altrove. Imponendo il proprio sistema insostenibile ad altre regioni tropicali umide, come nel caso della foresta amazzonica peruviana. O in altre aree del Sud-Est asiatico».