Energia alla portata di tutti
Come risolvere la crisi energetica partendo dal risparmio e dall’autoproduzione. Intervista a Maurizio Pallante fondatore del Comitato per l’uso razionale dell’energia
«Le cose che dico sono di una banalità scioccante. A volte me ne vergogno!». Esordisce così Maurizio Pallante, teorico e pratico del risparmio energetico come prima fonte di energia, un “giacimento” ancora da scoprire e sfruttare a pieno.
La sua metafora preferita è quella del secchio bucato per descrivere i modi in cui usiamo l’energia: più della metà va in sprechi, inefficienze e usi impropri. «Invece di riparare i buchi», afferma Pallante, «fior di esperti, di politici e di “sé dicenti” ambientalisti si concentrano su come riempirlo, cioè come supplire alla domanda crescente di consumi e di sprechi. E si scontrano tra “nuclearisti”, “fotovoltaici” e altre forme di sostenitori di energie “alternative” o “pulite”».
Per Pallante, la questione energetica non è da porre in termini strettamente ecologici, ma di efficienza e di risparmio economico. «Molti problemi che abbiamo oggi, non dipendono», continua Pallante, «dall’esaurirsi delle fonti fossili, quanto dal mancato sfruttamento dell’energia latente negli enormi sprechi e nelle tecnologie superate».
Per uscire dalla dipendenza del petrolio, non basta una conversione alle energie rinnovabili, tecnologie ad oggi insufficienti: occorre riconvertire l’industria, l’efficienza energetica delle nostre abitazioni e dei mezzi di trasporto. «Noi non abbiamo bisogno di fonti energetiche, ma di servizi energetici», sottolinea. «Con un barile di petrolio in casa tu non ci fai nulla. Quello che ti serve è la luce e il riscaldamento. Tra fonti e servizi ci sono trasformazioni che per la legge della fisica perdono energia sotto forma di calore. Quindi il problema non è ridurre i servizi, ma ridurre le perdite e aumentare l’efficienza energetica».
Cosa dovrebbe fare un prossimo governo per cambiare seriamente strategia energetica?
Dovrebbe innanzitutto porre il problema energetico al centro della politica economica industriale, dal punto di vista economico e non ideologico. Se il problema è l’approvvigionamento del petrolio, delle fonti fossili, del gas, allora l’enfasi va messa sulla riduzione della domanda, non sulla diversificazione dell’offerta. Questo perché la riduzione della domanda ha uno spazio ampio su cui lavorare (si calcola oggi che lo spreco si aggira intorno ai 2/3 dell’energia prodotta), si può fare velocemente, e ha un costo relativamente più basso rispetto all’investimento fatto esclusivamente su fonti rinnovabili.
Con quale risultato?
Se un governo favorisse la ristrutturazione energetica del nostro patrimonio edilizio, abbattendo dei 2/3 i consumi con tecnologie di micro cogenerazioni, riuscirebbe a produrre molti posti di lavoro (è un mercato vergine). La diminuzione dei consumi porterebbe a una decrescita economica, compensata dal gigantesco risparmio dato dal trasferimento minore di fonti fossili dall’estero (gas, petrolio) a fonti locali, con il paradosso che aumenterebbe i posti di lavoro. Altro aspetto è che si creano così le condizioni per lo sviluppo reale delle fonti rinnovabili, che attualmente costano di più e rendono molto meno delle fonti fossili. Nella logica dell’utente finale, la riduzione dei consumi delle fonti fossili consente di poter risparmiare per investire nelle fonti rinnovabili.
Allora, cos’è che blocca una politica come questa?
Anzitutto il sostanziale monopolio in cui agiscono gli attuali fornitori di energia. Ne abbiamo due a livello nazionale, ENI ed ENEL, e una manciata a livello locale, che sono le ex municipalizzate. Occorre liberalizzare questo settore, facendo bene attenzione a distinguere tra liberalizzazione (quindi pluralità di soggetti e concorrenza) e privatizzazione. La liberalizzazione non significa nemmeno affiancare altri grandi produttori a quelli attuali, ma avere piccoli e piccolissimi produttori sul mercato energetico. In altre parole, ciò significa offrire l’opportunità a tutti i consumatori di essere autoproduttori della propria energia. E di poterla scambiare con gli altri, mettendola in rete. La rete elettrica è l’unico vero monopolio naturale inalienabile. Non ci possono essere più reti, ma tanti produttori che immettono nella stessa rete (questa sì monopolio, gestita dallo stato che la mantiene) la loro sovrapproduzione.
Se dirigesse un’azienda come la Fiat, cosa farebbe produrre?
Automobili meno inquinanti (motori alternativi, ibridi – ma soprattutto che a parità di carburante percorrano molti più km), tenendo presente comunque che non è un mercato in espansione – anzi il parco macchine va diminuito. Ma produrrei anche microcogeneratori. Il primo microcogeneratore è stato prodotto proprio al centro Fiat di Torino nel 1973, prima della prima crisi energetica! Sono fabbricati con le stesse tecnologie: un motore di automobile + motore elettrico + carrozzeria + elettronica. L’energia meccanica si trasforma in energia elettrica, con un rendimento maggiore perché la velocità del motore è costante e al massimo punto di rendimento. In più, generano calore, utilizzabile molto meglio delle automobili che lo disperdono con i gas di scarico.
Ci sono esempi di uso di questa tecnologia su larga scala?
Stanno arrivando. La prima compagnia energetica inglese, per esempio, ha ordinato 700.000 microcogeneratori da 800watt (per soddisfare la domanda media di un contatore domestico). In questa maniera la società elettrica rimane proprietaria e fattura all’utente finale il servizio: energia elettrica e calore. Dimezzando l’impiego di fonti fossili e di emissioni di CO2. E la Gran Bretagna che aveva posto il suo obiettivo a Kyoto di riduzione dell’emissione di CO2 al 12, 5% entro il 2010 lo ha già spostato al 21%, avendolo già realizzato in buona parte. In Italia, ahimè, dall’obiettivo modesto di riduzione del 6, 5% di CO2, si è invece aumentata l’emissione del 13%.
Ma qualcosa si muove anche in Italia…
L’idea che stiamo elaborando in un progetto con Banca Etica è di avere una linea di credito per sostenere gli investimenti che fanno le ESCO (Energy Saving Company) per le operazioni di risparmio di energia che si trasformano poi in risparmi economici e permettano di rientrare negli anni previsti nell’investimento. Banca Etica può valutare e coprire l’investimento, costituire delle società veicolo che sono proprietarie dell’impianto ristrutturato per la durata del tempo necessaria a rientrare e vendere ai risparmiatori quote della società, il cui rendimento è inversamente proporzionale alla riduzione di emissione di CO2. Maggiore l’efficienza del progetto, minore il tempo di rientro e quindi migliore la redditività del capitale.