Tra Cina e USA è guerra tecnologica. E Pechino sta vincendo sull’AI

I due colossi mondiali si stanno scontrando sull'innovazione. Nell'intelligenza artificiale Pechino ha un grande vantaggio: la libertà assoluta nella raccolta dati

Matteo Cavallito
© Mohamed Mahmoud Hassan
Matteo Cavallito
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Tra Cina e Stati Uniti sarebbe ormai in corso una vera e propria «guerra fredda tecnologica». Un nuovo conflitto non meno rilevante rispetto alla competizione economica e militare. Ma anche uno scontro asimmetrico. In cui Pechino, almeno per ora, sembra avere a disposizione un vantaggio significativo sul fronte dell’AI, l’intelligenza artificiale. «Gli avanzamenti tecnologici cinesi sono impressionanti»  spiega Martin Ji, Senior Portfolio Analyst di ClearBridge Investments, una società affiliata all’asset manager Legg Mason. Ma quel che più conta è che «la Cina appare sempre più in grado di sviluppare prodotti e soluzioni domestiche»:

Un fattore da non sottovalutare in caso di ulteriore recrudescenza della guerra commerciale tra i due giganti in fuga sul gruppo degli attardati inseguitori europei (la riflessione è nostra). La corsa parallela all’innovazione, insomma, come la vecchia sfida spaziale tra USA e URSS, strategia decisiva nello scontro fisiologico tra superpotenze. Dalla fu cortina di ferro alla futura «cortina di silicio», per citare ancora Ji, il passo potrebbe essere davvero breve.

A Shanghai comandano le macchine

Dal 5G all’automazione industriale, fino ai pagamenti digitali d’avanguardia e all’intelligenza artificiale. Il settore tecnologico cinese registra un’ascesa senza precedenti. A Chongquing si testa un sistema di comunicazione tra treni che consente ai convogli di modificare il percorso per venire incontro di volta in volta alle esigenze dei viaggiatori. A Qingdao, opera già da due anni il primo porto container completamente automatizzato. Mentre a Shangai, il più grande centro di smistamento di merci via nave del mondo, si lavora alla realizzazione del primo terminal senza personale. Carico/scarico affidato alle macchine, autocarri senza pilota.

Tutto rigorosamente Made in China, come il sistema di riconoscimento facciale per il pagamento e l’ingresso rapido della metropolitana di Pechino. I volti sono scansionati in meno di mezzo secondo, la precisione è fissata al 99,8%. Per capirci: il sistema è perfino in grado di distinguere due gemelli apparentemente identici.

La Cina è la nuova Silicon Valley

Il cuore del problema è essenzialmente tutto qui. Per anni abbiamo guardato alla Cina come a un’immensa fabbrica di prodotti a basso costo e di scarsa qualità. Con una certa fatica abbiamo poi iniziato a familiarizzare con il concetto di domanda interna. E la rivoluzione di un’economia non più emergente in senso tradizionale. Che pur basandosi ancora sul commercio con l’estero (Pechino è pur sempre il primo esportatore netto del Pianeta) tende a spostare gradualmente il suo baricentro in direzione dei consumi interni.

Sostanzialmente immobile, verrebbe da pensare, è stato invece per troppo tempo il nostro sguardo. Irrimediabilmente fisso sui riferimenti tradizionali rappresentati dalla Silicon Valley californiana e dai giganti del Nasdaq. Una visione limitata, a lungo incapace di cogliere la nuova realtà dell’Oriente. «Eravamo abituati a pensare che i cinesi fossero bravi soltanto a copiare – e lo sono ancora», sostiene Ji, «ma ora stanno sviluppando con successo tecnologie nate in Cina, dai software di riconoscimento facciale ai satelliti quantistici o i missili ipersonici».

L’Hi-Tech cinese spaventa gli USA

Proprio i missili di ultima generazione sono stati mostrati per la prima volta al pubblico nella recentissima parata celebrativa per il settantesimo compleanno della Repubblica Popolare. Uno show quasi provocatorio dell’inarrestabile progresso cinese, per usare le parole dello stesso presidente Xi Jinping; un’occasione per mostrare al mondo il nuovo volto della potenza militare di Pechino. Secondo il South China Morning Post, quasi la metà dei mezzi militari in piazza era costituita da assoluti inediti. La retorica presidenziale sarà pure caricata nei toni, ma i dati reali, dicono gli analisti americani, fanno già scattare l’allarme sul rischio sorpasso.

«La Cina sta colmando il divario tecnologico con gli Stati Uniti», ha scritto di recente il Council on Foreign Relations. Storico think tank americano molto influente, si dice, nei corridoi di Washington. Pechino, si sottolinea, non è ancora in grado di pareggiare la capacità tecnica complessiva degli USA. Ma nonostante questo il Paese «sarà presto una delle potenze leader in alcune tecnologie come intelligenza artificiale, robotica, stoccaggio di energia, reti 5G, sistemi informativi quantistici e biotecnologia».

Startup in orbita

Niente di tutto questo, ovviamente, avverrà per caso. Negli ultimi anni, nota un rapporto di Matthews International Capital Management, la Cina ha spinto forte sul comparto delle startup. Nell’86% dei casi le aziende innovative valutate almeno un miliardo di dollari (le celebri unicorns) registrate nel Paese sono state fondate tra il 2014 e il 2017.

Nella classifica globale per capitalizzazione totale, le startup statunitensi superano ancora le omologhe del Dragone, ma la crescita dei finanziamenti rivolti a queste ultime è la più elevata del Pianeta. E non bastasse il venture capital privato (154 miliardi di dollari raccolti dalle startup cinesi nel 2017, nuovo record storico) ci si mette anche lo Stato. Sempre nel 2017 la spesa del governo in ricerca e sviluppo sfiorava i 280 miliardi di dollari, il 70% in più rispetto a cinque anni prima.

La guerra dei dati che l’Occidente non può vincere

Al centro dell’attenzione c’è il settore dell’intelligenza artificiale, il comparto guida dell’Hi-Tech del futuro prossimo su cui la Cina sembra avere da tempo un basilare vantaggio competitivo. Il fatto è che questo tipo di tecnologia può essere pensato come un motore estremamente potente che migliora le proprie prestazioni nutrendosi di enormi quantità di carburante. La benzina, in questo caso, è costituita dai dati e la capacità di raccolta di questi ultimi diventa decisiva. Negli ultimi anni sistemi di monitoraggio della popolazione sperimentati su larga scala hanno consentito alla Cina di accumulare una quantità impressionante di informazioni destinata a crescere, presumibilmente in modo esponenziale nei prossimi anni. E quindi…

«Questa enorme raccolta di dati inoltre alimenta i progetti di intelligenza artificiale cinesi» sostiene ancora Martin Ji, «mentre le leggi sulla privacy limitano sotto quest’aspetto le possibilità di Europa e USA».

Il sorpasso di Pechino, in questo segmento, sembrerebbe dunque inevitabile.

I piani USA per la rincorsa

È in questo quadro che l’analista di ClearBridge Investments immagina un futuro da guerra fredda in campo tecnologico. Due nazioni contrapposte che si sfidano creando «due sfere di dominio tecnologico separate e parallele». La lotta è già cominciata, il caso Huawei è storia nota. Solo che qui si va oltre, in una corsa accelerata verso l’innovazione da alimentare a colpi di miliardi. Centinaia di miliardi.

Secondo Adam Segal, uno degli autori dello studio a cura del Council on Foreign relations, intervistato dalla CNBC, sia il Congresso sia la Casa Bianca «sono sempre più consapevoli della necessità di fare di più». Segal, in particolare, ha proposto l’aumento del finanziamento federale per la ricerca e lo sviluppo fino a quota 1,1% del Pil contro lo 0,7% attuale. Dati alla mano un incremento annuale di oltre 80 miliardi di dollari.