Lo Stato che batte le mafie: in 5 anni, 32 miliardi di sequestri e confische
I beni sottratti alle mafie valgono l'1,8% del Pil. La maggior parte è di Cosa Nostra. Poi 'ndrangheta e camorra. Ma ancora troppi sono inutilizzati
In cinque anni quasi 32 miliardi di euro sono stati sottratti alle mafie. Una somma enorme pari l’1,8% del PIL nazionale. Di questi, 20 miliardi è il valore di beni mobili e immobili sequestrati per effetto delle azioni di contrasto preventive e per i procedimenti giudiziari, tra gennaio 2015 e settembre 2019. Vale invece 11,7 miliardi il totale dei beni definitivamente confiscati. Le cifre sono stati anticipati a Valori dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale e confermano le ultime relazioni della Direzione Nazionale Antimafia, della Direzione Investigativa Antimafia e della Commissione Bicamerale Antimafia.
«I dati sono sicuramente eclatanti. Il valore dei beni sottoposti a misure patrimoniali è elevatissimo» sottolinea a Valori, Maria Vittoria De Simone, procuratore aggiunto alla Direzione Nazionale Antimafia. «Se l’ammontare di sequestri e confische a “Cosa nostra” è ancora quello di maggior entità, i numeri confermano come la ‘ndrangheta sia in ascesa».
I numeri raggruppano le attività di sequestro e confisca svolte in sede preventiva e penale da tutte le forze di polizia, investigative e giudiziarie. Cifre a nove zeri che vedono Cosa nostra in testa, seguita dalla ‘ndrangheta che sorpassa per volume le attività illecite della camorra. Cresce anche il valore dei beni sottratti alla criminalità organizzata pugliese e alle mafie straniere.
Ambiente, commercio, ristorazione, agroalimentare i settori più infiltrati
Le aree di interesse dove le mafie investono, sottolinea De Simone, «mutano nel tempo, perché tutte le organizzazioni criminali sono orientate sempre verso il maggior profitto e minor rischio». Quindi, non solo beni immobili, ville, terreni, appartamenti. Ma sempre più aziende, titoli, quote societarie e depositi bancari. Con la penetrazione della malavita organizzata nel tessuto commerciale e produttivo che «serve al riciclaggio di denaro sporco e alla copertura di altre attività illecite ». Tra i settori maggiormente infiltrati, ora, segnala la DNA, oltre l’ambito ambientale, la ristorazione, l’alberghiero e l’agroalimentare.
Nel frattempo, però l’impegno degli investigatori è riuscito ad arrivare anche oltre frontiera. «Molto significativo è l’aumento dei sequestri e delle confische all’estero. Segnale che l’azione di contrasto può varcare, finalmente, i confini nazionali». Secondo i dati forniti dalla DNA a Valori, nel 2019, su 1,25 miliardi di euro di beni sequestrati, oltre 24 milioni di euro provengono dalle indagini oltre confine. I procedimenti hanno portato anche alla confisca di beni per un valore di oltre 3 milioni di euro su un miliardo e 645 milioni totali.
Beni e aziende che devono essere restituiti alla collettività
Ma il peso economico e finanziario crescente dei beni confiscati impone di pensare al dopo. Che farne una volta sottratti alla criminalità? Indispensabile un intervento da parte dello Stato, per il loro recupero, valorizzazione e reinserimento nel circuito civile e sociale. Secondo gli ultimi dati dell’Agenzia Nazionale beni sequestrati e confiscati alla criminalità (ANBSC) sono attualmente 17.727 gli immobili e 2.693 aziende in gestione alla stessa agenzia. Mentre sono 16.446 quelli già destinati al riutilizzo insieme a 1.317 aziende. Ma in realtà, come sottolineano da Libera, nata nel 1995 proprio per chiedere il riutilizzo sociale dei beni confiscati, l’effettiva restituzione alla collettività va attentamente verificata.
«L’ANBSC ha operato sotto organico e con poco coordinamento in raccordo con Stato, regioni ed enti locali» denunciano dall’associazione, che ha lanciato il progetto Confiscati bene 2.0, insieme agli attivisti di Ondata, proprio per contribuire al monitoraggio civico su quanto realmente sta succedendo nei territori.
Monitoraggio civico necessario per trasparenza e recupero sociale
«Intanto, occorre fare chiarezza, su immobili gestiti e destinati» sottolineano da Confiscati Bene. «Alla prima categoria appartengono tutti quei beni che, per diverse ragioni non sono ancora stati trasferiti ad altre amministrazioni dello Stato o agli enti locali. Per cui l’iter giudiziario è ancora in corso, esistono criticità che bloccano le procedure e, dunque, sono ancora sotto la gestione dell’Agenzia stessa».
I beni destinati, invece, sono quelli per i quali le procedure, dal sequestro fino alla confisca di secondo grado, sono giunte al termine. E quindi è possibile procedere alla destinazione, sia per finalità istituzionali sia per finalità sociali. «Ma ciò non significa necessariamente che siano stati anche recuperati. Molti immobili, infatti, anche dopo la destinazione e il trasferimento ai Comuni, rimangono ancora inutilizzati». Da qui la necessità del monitoraggio civico, «che mira a stabilire e determinare l’impatto sociale ed economico delle pratiche di riutilizzo».
Oggi abbiamo presentato al Forum dell' @opengovitaly le nostre strategie di monitoraggio civico e #opendata dei #beniconfiscati. #staytuned su Confiscati Bene.@libera_annclm @ondatait @OpenCoesione pic.twitter.com/biEJSn5Zih
— confiscatibene (@confiscatibene) January 29, 2020
1982 – 2019: dalla legge Rognoni – La Torre agli open data sulle confische
Sono passati 38 anni dalla legge Rognoni – La Torre che, per prima, nel 1982, introdusse nel codice penale la previsione del reato di «associazione di tipo mafioso» (art. 416 bis) e la previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali. Con la riforma del Codice Antimafia nel 2011, sono state introdotte altre norme per rendere ancora più trasparente il processo di recupero a favore della collettività. Mentre un anno fa veniva presentata, a livello comunitario, la Strategia Nazionale per valorizzazione dei beni confiscati, attraverso le politiche di coesione.
Tra le ultime iniziative, lo scorso novembre, il ministro Lamorgese ha inaugurato un portale per l’accesso aperto da parte della società civile alle informazioni in formato aperto, realizzato dal ministero dell’Interno con la collaborazione di UnionCamere. I dati riguardano le aziende confiscate alla criminalità organizzata, la loro destinazione ed il loro riutilizzo.
Terzo settore: a chi vanno i beni confiscati alle mafie
Come anticipato a Valori da Tatiana Giannone del settore Beni Confiscati di Libera, ad oggi «sono circa 800 i soggetti del terzo settore e del mondo della cooperazione che hanno ottenuto spazi sottratti alle mafie, con il meccanismo dell’assegnazione attraverso un contratto di locazione in comodato gratuito dagli enti locali».
La regione con il maggior numero di realtà sociali che gestiscono beni confiscati alle mafie è la Sicilia. Seguono Lombardia, Campania, Calabria, Puglia e Lazio. Tra queste, associazioni sportive dilettantistiche, associazioni temporanee di scopo. Ma anche consorzi di cooperative, diocesi, parrocchie e Caritas, fondazioni, gruppi dello scoutismo e pure istituti scolastici di diversi ordini e grado.