Rifiuti in fiamme: Lombardia zona grigia tra imprese e ‘ndrangheta

L'Operazione "Feudo" dell'Antimafia di Milano svela i contorni di un "patto scellerato" tra imprenditoria e mafie. A queste ultime i rifiuti rendono come la droga

Un incendio in un impianto di rifiuti © Vigili del fuoco

Cosa c’è dietro i roghi di rifiuti nel nord Italia? Oltre all’emergenza dettata dalle enormi quantità di rifiuti plastici che non si sa come smaltire, la compiacenza della zona grigia di imprese e professionisti sempre più collusi con la criminalità organizzata. Patto scellerato che ha portato, in un solo anno, dalla Campania alla Lombardia, 14mila tonnellate di rifiuti urbani, industriali e ospedalieri, ad essere stipati in capannoni abbandonati, nelle aree dismesse della Brianza e nella provincia di Milano. Ciclicamente messi a fuoco oppure messi su camion per essere interrati in discariche o cave abbandonate, in Calabria.

Con un giro d’affari illecito registrato, solo nel 2018, per oltre un milione e 750 mila euro. Ottenuto dallo smaltimento illecito di rifiuti urbani, speciali e ospedalieri, con la falsificazione di codici CER, gestiti dalla Smr Ecologia, l’azienda-chiave dell’inchiesta, con sede legale a Busto Arsizio e operativa in località La Guzza a Como, ora in stato di procedura fallimentare. Operazione Feudo

Rifiuti trattati come stupefacenti: rendono uguale

Sono questi i primi risultati dell’operazione «Feudo» della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano. Inchiesta esemplare, realizzata grazie all’intensa attività dei Nuclei Investigativi dei Carabinieri Verdi di Milano e Pavia. Che ha portato il Giudice per le indagini preliminari, Silvia Cipolla, su richiesta del sostituto procuratore Silvia Bonardo, all’ordinanza di 11 provvedimenti di custodia cautelare, tra cui due arresti.

Indagini, ancora in corso, che confermano, però, come il traffico di rifiuti renda alle mafie quanto quello degli stupefacenti. Esattamente come ipotizzato un anno fa dagli investigatori, all’indomani dell’incendio doloso della piattaforma di smaltimento rifiuti a Corteolona (Pavia) e dal Procuratore Nazionale Federico Cafiero De Raho sui crimini ambientali, al centro della relazione della DNA.

Prestanome, aziende fittizie, documenti falsi preparati da consulenti collusi

«Il modulo investigativo che stiamo applicando si sovrappone a quello che usiamo per le indagini sul traffico di stupefacenti – ha denunciato il magistrato della DDA, Bonardo. Con intercettazioni, pedinamenti e autotrasporti seguiti con il Gps. Grazie a una fitta ricostruzione documentale, sono stati, così, confiscati e messi sotto sequestro, beni immobili e conti correnti per un valore di 780mila euro. Oltre sette discariche abusive e una serie di aziende sotto la regia di affiliati alla ‘ndrangheta.

Un sistema che vede, infatti, da nord a sud, imprese, liberi professionisti e banche prestare il fianco a chi ha compreso, da tempo che «la monnezza è oro». Da Napoli a Como fino a Lamezia Terme, rifiuti ottenuti in gestione con regolari appalti, ma poi smaltiti illecitamente con enormi profitti. Grazie a documenti di trasporto contraffatti, false fatturazioni, ricorrendo a prestanome e intestazioni fittizie.

Le intercettazioni dopo l’incendio di Corteolona

Le indagini sono partite dall’incendio del 3 gennaio 2018 a Corteolona (PV). Le intercettazioni di cui è stato oggetto uno dei responsabili, Riccardo Minerba, hanno condotto dritto dritto al principale indagato dell’operazione Feudo, Angelo Romanello. Apparso in più indagini di ‘ndrangheta,  da «Crimine infinito», «in cui ha legami parentali con gli imputati condannati- hanno ricordato i magistrati della DDA, fino all’operazione «Grillo Parlante».

Uscito dagli arresti domiciliari il 24 marzo 2018, è la mente dell’associazione a delinquere. Faccendiere nell’ambito delle costruzioni e del movimento terra, tra Italia, Germania, Tunisia e Libia. In grado di avvalersi di professionisti «del nord», come una consulente ambientale intercettata dagli investigatori, ora tra gli indagati, in grado di consigliare, dietro lauto compenso, le migliori modalità di smaltimento illecito.

La ‘ndragheta il filo conduttore, ma bisogna provarlo

Un quadro che ha portato gli inquirenti a confermare quelle che erano «mere ipotesi investigative». Così ha sottolineato Alessandra Dolci, capo della DDA milanese. «Si è ipotizzato che il filo conduttore potesse essere rappresentato dal crimine organizzato: la ‘ndrangheta. Ora, a seguito di queste indagini cominciamo a dare delle risposte». Anche se, i magistrati della DDA, al momento, non hanno chiesto l’aggravante mafiosa, ma solo l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti.

«La circostanza che i rifiuti fossero stoccati in siti nelle vicinanze di Lamezia Terme, zona controllata dalle famiglie di ‘ndrangheta, fa ipotizzare che tutto ciò sia avvenuto con il consenso delle ‘ndrine. Sono in corso gli accertamenti per verificare che i grossi flussi di denaro, prodotti dall‘attività illecita, siano finiti a soggetti della malavita organizzata».

Intanto, non si può non constatare, come Angelo Romanello sia stato abile, nel riuscire a prendere il controllo di aziende alle soglie del fallimento o con problemi di gestione, come già avvenuto con la Calcestruzzi Valleverde nel 2015. Poi «attenzionata» dalla DDA. Esattamente come l’azienda al centro delle indagini,  la Smr Ecologia di Matteo Molinari. Finita nel mirino dei controlli e messa sotto sequestro il 14 marzo 2018, per aver violato le quantità di stoccaggio di rifiuti previste dall’Autorizzazione Integrata Ambientale.

Dalla discarica di Gorla Maggiore alle cave a Lamezia Terme. Passando per Napoli

Se il flusso dei rifiuti, fino al 2017, era indirizzato verso la discarica Econord di Gorla Maggiore, con notevoli costi, in una seconda fase l’azienda era ricorsa allo smaltimento illecito, con l’aiuto proprio di Angelo Romanello e dei suoi sodali. Gestione che ha visto, nella ricostruzione del Nucleo Investigativo dei Carabinieri Forestali di Milano, coordinata dal Capitano Gianvincenzo, lo stoccaggio dei rifiuti, non trattati, in una serie di capannoni industriali e aree dismesse.

Dalla Salcons Sas di Como, all’area ex Snia di Varedo, a Cinisello Balsamo, a Gessate, nella cava Liparota e Cava Parisi in Lamezia Terme. Fino alla Tecnometal di Trento. Ma anche, come hanno ricordato i magistrati della DDA, presso la Ipb di via Chiasserini, a Milano, oggetto di un altro rogo doloso divampato il 14 ottobre 2018.

Delle 14mila tonnellate gestite nel 2018, oltre 9000 provenivano da aziende del sud come la Lea di Marcianise o la Di Gennaro di Caivano, anch’esse al centro di indagini giudiziarie. Il resto da aziende del nord come Il truciolo di Albavilla (CO) o Fratelli Palmieri di Cologno Monzese. Pur operando in condizioni critiche da tempo, la Smr Ecologia srl aveva stipulato un accordo, per la gestione di altre 68mila tonnellate, provenienti dall’appalto di gestione della indifferenziata urbana della municipalizzata SAPNA di Napoli, con il consorzio CITE di Salerno.

Anch’esso oggetto di inchiesta da parte della DDA di Napoli. Il tutto con l’intermediazione della InterTrade Ecology, società di Acerra che ne curava i collegamenti commerciali, anche verso la società calabrese Eco.Loda. Tutte società finite nel mirino degli investigatori che potrebbero confermare quel patto tra ‘ndrangheta e camorra in nome di un business senza fine.

L’uso di carte prepagate e l’aggiramento della normativa antiriciclaggio

Importante, poi, la collaborazione tra la DDA di Milano, la Procura di Lamezia Terme e il Gruppo d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata, della Guardia di Finanza, (G.I.C.O). Come ha ricordato il sostituto procuratore Silvia Bonardo «bisognava seguire il flusso dei rifiuti ma anche il flusso finanziario da loro generato». E qui gli inquirenti hanno scoperto l’aggiramento della normativa antiriciclaggio, grazie alla compiacenza di funzionari bancari in Lamezia Terme. Oltre l’utilizzo sistematico delle carte ricaricabili per drenare i conti correnti delle società fittizie.

Particolare che ha permesso di ricostruire l’attività illecita di aziende apparentemente attive, prive di qualsiasi autorizzazione ambientale, ma con un grandissimo giro di fatture false. I cui proventi venivano incassati e poi prelevati attraverso le carte di credito prepagate. Così le spese effettuate con le carte intestate alla Eco.Loda hanno riportato gli investigatori da  Lamezia Terme alla Brianza.  Proprio nei luoghi dove si trovavano gli indagati, già sotto intercettazione.

Nuove mete per  rifiuti e plastica: inceneritori e cementifici in Germania e in Turchia

Al vaglio degli investigatori, infine, ci sono altre piste d’inchiesta, emerse sempre dalle intercettazioni degli indagati. Durante i quali si è appreso che altri canali di smaltimento dei rifiuti potrebbero aprirsi all’estero, in paesi come Croazia,  Germania e Turchia. «Sono stati sequestrati documenti in cui risulta che uno dei soggetti arrestati stava organizzando un’esportazione di materiale plastico verso la Turchia, senza alcuna autorizzazione ambientale. Quindi, evidentemente, con un canale di smaltimento illecito- ha ribadito il sostituto procuratore Bonardo.

Così come «si parlava di quantità illimitate che potevano essere assicurate sulla ricezione da parte dell’inceneritore di Dusseldorf». Nel mirino degli investigatori anche i cementifici descritti come «inceneritori, canali di smaltimento totalmente illeciti e molto appetibili per la criminalità che si sta rivolgendo a questo business».

Migliaia di siti a rischio in Lombardia

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L’operazione «Feudo» ha messo in luce la necessità delle task force tra prefetture, forze dell’ordine, enti di controllo ambientale e comuni. Sono, infatti, migliaia di siti a rischio incendi o stoccaggio di rifiuti illeciti nella sola Lombardia, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Milano. Resta da capire se solo l’azione repressiva basterà a fermare il loro traffico.