Se nasci povero, resti povero. La finanza sostenibile può “spezzare il maleficio”
World Economic Forum: nel mondo c'è una bassa mobilità sociale. Le economie non offrono ai cittadini le condizioni per migliorare le proprie condizioni di vita.
Dimmi dove sei nato e ti dirò come vivrai. Questa spietata prassi pervade non solo l’Italia, ma anche larga parte del nostro Pianeta. A constatarlo è un recente report del World Economic Forum (WEF), intitolato “The Global Social Mobility Report 2020 – Equality, Opportunity and a New Economic Imperative”.
Secondo lo studio la maggior parte delle economie non sono in grado di creare le condizioni affinché i cittadini possano migliorare le proprie condizioni di vita.
Le opportunità sono ancora vincolate allo status socio-economico associato alla nascita.
Una scarsa mobilità sociale fa aumentare le disuguaglianze
Il fattore analizzato dal WEF si chiama “mobilità sociale”: in termini assoluti, indica la possibilità per un bambino di condurre una vita migliore di quella vissuta dai propri genitori. Lo studio ha analizzato quanto e come i risultati conseguiti da un individuo nel corso della sua esistenza siano influenzati dal contesto socio-economico di provenienza.
Una scarsa mobilità sociale (quindi un’elevata influenza del background di partenza) genera due conseguenze: da un lato la crescita delle disuguaglianze e la continua erosione della coesione sociale, dall’altro un pesante ostacolo alla crescita economica.
L’immobilismo sociale, infatti, compromette l’espressione e la diffusione dei talenti, riducendo il valore del “capitale umano”, che secondo il WEF rimane la forza motrice della crescita.
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La classifica: l’Italia è al 34esimo posto
Il WEF ha elaborato un indice con 82 Paesi che esplora cinque aree: salute, educazione, accesso alla tecnologia, opportunità e condizioni lavorative; infine protezione sociale ed efficienza delle istituzioni. Secondo il WEF le opportunità di vita migliori si trovano nei Paesi scandinavi: le prime cinque posizioni sono occupate nell’ordine da Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia e Islanda, che presentano buoni livelli di opportunità di base e servizi accessibili ed efficienti.
Nel club del G7 – le economie più avanzate del pianeta – Germania e Francia sono le migliori, rispettivamente all’undicesimo e dodicesimo posto; seguono Canada (14^), Giappone (15^), Regno Unito (21^) e USA (27^). L’Italia è al 34esimo posto. La top 20 è dominata dall’Europa con ben 16 Paesi. Più in basso troviamo i BRICS – le principali economie emergenti – tra cui la Russia (39^), la Cina (45^), il Brasile (60°) e l’India (76^).
Globalizzazione e tecnologia: fonti di disuguaglianza (e non solo)
Al di là dei singoli posizionamenti, un trend svetta all’interno del report: chi guadagna di più continua a crescere più velocemente di chi guadagna di meno. Per esempio, negli Stati Uniti l’1% a maggior reddito della popolazione guadagna il 158% in più rispetto al 1979; mentre per il 90% a minor reddito l’incremento è pari solo al 24%.
Tutto questo ha un costo: in Cina il gap di mobilità sociale costa più di un miliardo di dollari di crescita di PIL; negli USA quasi 890 miliardi.
Secondo il WEF tra i principali fattori di questa polarizzazione ci sono la globalizzazionee la tecnologia. La prima ha esacerbato le disuguaglianze all’interno dei Paesi e, in particolare, nelle economie avanzate: nei settori a elevata produttività i lavori meno qualificati ricevono livelli di retribuzione più bassi. La tecnologia ha ridotto la domanda per le occupazioni meno qualificate e ha fatto lievitare in maniera sproporzionata le retribuzioni delle mansioni altamente specializzate, soprattutto nell’hi-tech. Naturalmente, precisa il WEF, l’innovazione tecnologica ha anche il grande potere di abbattere le barriere di accesso alla conoscenza, diventando così un fattore che favorisce la mobilità.
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Quali vie d’uscita?
Il WEF suggerisce le linee guida per due attori chiave:
- i governi, attraverso strumenti di finanza pubblica – come tasse progressive, spesa pubblica e incentivi – programmi di potenziamento dell’educazione e della qualificazione professionale e meccanismi di protezione sociale, con particolare attenzione alle dinamiche originate dal progresso tecnologico;
- le imprese, promuovendo la cultura della meritocrazia, l’equità nelle retribuzioni e gli incentivi a educazione, qualificazione e riqualificazione professionale.
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Il ruolo della finanza sostenibile: impact investing e social bond
La finanza sostenibile può ricoprire un ruolo fondamentale a supporto di governi e imprese, fornendo approcci e prodotti d’investimento che risultano particolarmente efficaci in ottica di riduzione delle disuguaglianze grazie a due fattori: integrare i criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) nei processi finanziari e avere un orizzonte temporale di medio-lungo periodo negli investimenti.
Per esempio, attraverso l’impact investing, gli operatori possono effettuare investimenti con l’obiettivo di generare impatti socio-ambientali positivi misurabili e, al tempo stesso, rendimenti in linea o superiori a quelli di mercato.
Nel quadro dell’impact investing cresce la diffusione dei social bond: titoli di debito associati al finanziamento di progetti con ricadute positive in termini sociali. In Italia un attore importante in questo mercato è Cassa Depositi e Prestiti, che nel 2017 e nel 2019 ha effettuato due emissioni, incentrate rispettivamente su:
- PMI localizzate in aree con PIL pro-capite inferiore alla media nazionale o in aree colpite da eventi sismici;
- costruzione, ristrutturazione, messa in sicurezza e adeguamento antisismico di edifici scolastici.
Per quanto riguarda l’azione dei governi, l’Ecuador ha lanciato da poco il primo social bond sovrano, incentrato sul social housing.
La diffusione su larga scala dei social bond, tuttavia, è ancora ostacolata dalle difficoltà nella misurazione degli impatti.
Europa verde e inclusiva
L’Unione Europea rappresenta un contesto d’azione centrale per la finanza sostenibile: le istituzioni e gli operatori si stanno avvicinando con interesse crescente ai temi della sostenibilità, anche perché fenomeni di tensione sociale e instabilità politica in un Paese possono riflettersi sull’andamento dei mercati di altri membri, mettendo a rischio la stabilità finanziaria dell’intera Unione.
Con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze di reddito e le disparità in ambiti come sanità, educazione e mercato del lavoro, nel 2017 il Parlamento, la Commissione e il Consiglio UE hanno adottato l’European Pillar of Social Rights, volto a migliorare le condizioni di vita e lavorative nell’Unione Europea.
Si articola in 20 principi, strutturati in base a tre temi:
- pari opportunità e accesso al mercato del lavoro;
- eque condizioni lavorative;
- inclusione e protezione sociale.
I temi sociali nel Green deal europeo
La nuova Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ha menzionato la dimensione sociale nelle linee guida del suo programma politico, annunciando un nuovo piano d’azione per conseguire gli obiettivi del Pillar.
In particolare, la Commissione ha inserito i temi sociali tra le priorità dell’EU Green Deal, il programma d’investimenti e iniziative per conseguire la neutralità climatica entro il 2050. I rischi fisici del cambiamento climatico e le conseguenze socio-economiche della transizione energetica, infatti, incidono con maggior dirompenza su regioni e comunità più vulnerabili, dove si sommano a condizioni preesistenti di fragilità economica e sociale. La prima misura dettagliata nell’ambito del Green Deal è stata il Meccanismo per la Giusta Transizione (Just Transition Mechanism), con l’obiettivo di generare almeno 100 miliardi di euro di investimenti tra il 2021 e il 2027: fondi, garanzie, prestiti e assistenza tecnica si concentreranno sulle aree e sulle comunità che dipendono dalla filiera dei combustibili fossili.
InvestEU: orientare capitali verso investimenti green
Uno strumento chiave per la mobilitazione di investimenti nell’ambito del Green Deal e del Just Transition Mechanism è InvestEU, operativo dal 2021 al 2027; lo strumento sostituirà l’European Fund for Strategic Investments (EFSI) del cosiddetto “piano Juncker”, istituito in risposta alla crisi finanziaria.
In continuità con l’EFSI, InvestEU si concentrerà su quattro aree tematiche:
- Piccole e Medie Imprese (PMI);
- ricerca e innovazione;
- infrastrutture sostenibili;
- investimenti a impatto sociale.
L’obiettivo è generare 650 miliardi di euro di investimenti a partire da una garanzia pubblica di 47,5 miliardi.
Queste misure di finanza pubblica a livello europeo segnano una precisa direzione anche per i mercati SRI (degli investimenti sostenibili e responsabili) nazionali, per i quali è auspicabile armonizzare strategie e politiche d’investimento agli obiettivi di Bruxelles e agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.
Una task force per gli investimenti nelle infrastrutture sociali
L’attenzione al finanziamento di soluzioni per i temi sociali è stata evidenziata anche dall’High-Level Task Force (HLTF) on Investing in Social Infrastructure in Europe, costituita a febbraio 2017 dall’European Long-Term Investors Association (ELTI) in collaborazione con la Commissione Europea. L’obiettivo dell’HLTF era promuovere una maggior consapevolezza della classe politica sul ruolo cruciale delle infrastrutture sociali per la crescita economica e per il benessere dei cittadini, con lo scopo di incrementare gli investimenti pubblici e privati nel settore.
A gennaio 2018 l’HLTF ha elaborato una serie di raccomandazioni su possibili politiche e modalità di finanziamento per colmare il gap di investimenti, stimato tra i 100 e i 150 miliardi di euro all’anno. Le aree di intervento ritenute prioritarie sono: istruzione, formazione permanente, settore abitativo, salute e assistenza di lungo-periodo (“long-term care”).
La finanza sostenibile, associata all’azione delle istituzioni UE, dei governi e delle imprese, può aiutare a incrementare la mobilità sociale e ridurre le disuguaglianze.
Inoltre, può costituire uno strumento efficace per lo sviluppo delle infrastrutture sociali nei settori indicati dalla Task Force. In questo processo sarà cruciale integrare obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale, trovando perfette sinergie tra azione per il clima e giusta transizione. L’obiettivo, come esplicitato dalla Commissione Europea, è che “nessuno sia lasciato indietro”.