Dietro il fallimento della Juve le macerie del calcio italiano
Ogni settimana il commento di Luca Pisapia sugli intrecci tra finanza e calcio
La precoce eliminazione della Juve dalla Champions è la fotografia della difficile transizione italiana dal capitalismo industriale a quello finanziario. La vecchia Fiat, maestra nel privatizzare profitti e socializzare perdite, oggi è Exor, holding statunitense di diritto olandese (sempre per quel vecchio vizio di chiedere e non dare) al passo coi tempi tra auto, finanziarie, assicurazioni, media, lusso, immobiliare. Un fatturato da 135 miliardi, nonostante le perdite, ne fa una delle prime società al mondo. Lo stesso si è cercato di fare con la squadra. In campo, con il passaggio dalla tradizione del contropiede di Trapattoni, Lippi e Allegri alla modernità del gioco di posizione di Sarri e Pirlo. E fuori, via la vecchia volpe Marotta ecco Nedved e Paratici, uomini immagine di una dirigenza che lavora dietro le quinte. Poi lo stadio di proprietà, gli investimenti diversificati, anche qui. Il tutto doveva essere sublimato dall’immagine per eccellenza, quella di Cristiano Ronaldo, altrimenti conosciuto come brand CR7, marchio registrato che vale miliardi (un miliardo solo dal contratto a vita con Nike). Qualcosa però è andato storto. Ci sono i freddi numeri: primo semestre 2020-21 in perdita di 114 milioni e ricavi crollati da 322 a 258 milioni, nonostante plusvalenze gonfiate e altri artifici contabili; il brand CR7 che costa 360 milioni (90 l’anno), oltre ai 125 per acquistarlo, e non restituisce abbastanza plusvalore. E c’è il campo: niente decimo scudetto di fila, ennesima eliminazione in Europa, squadra costruita malissimo e a carissimo prezzo, nonostante la vulgata del giornalismo la racconti diversamente. È quindi la Juventus il problema del calcio italiano? No, tutt’altro, e questo è il dunque. Al di là delle enormi difficoltà, il club di Andrea Agnelli, autore della rivoluzione postindustriale bianconera, presidente Eca, da noi resta l’avanguardia: con una visione d’insieme e una struttura societaria lontana anni luce da Milan, Inter e Roma. Per non parlare di Lazio e Napoli. Nella fotografia che inquadra il fallimento (del calcio) italiano nella transizione da capitalismo industriale a finanziario, la caduta in primo piano della Juventus dovrebbe essere la chiave per vedere le macerie sullo sfondo, e non per nasconderle.