Un oleodotto minaccia Africa e clima. Banche spaccate
260 organizzazioni contro l'oleodotto tra Uganda e Tanzania che minaccia ecosistema e clima. L'appello alle banche per fermarlo spacca il fronte dei finanziatori
Non si era deciso di puntare su rinnovabili e transizione ecologica per frenare il riscaldamento globale? Eppure: «Il gigante petrolifero francese Total e la China National Offshore Oil Corporation sono sul punto di costruire un enorme oleodotto di petrolio greggio proprio nel cuore dell’Africa, spostando le comunità, mettendo in pericolo la fauna selvatica e avvicinando il mondo a quella che è una catastrofe climatica in piena regola».
Così si apre l’homepage di Stop EACOP (questo l’acronimo che indica l’infrastruttura contestata, l’East African Crude Oil Pipeline), ovvero il sito della campagna di sensibilizzazione, informazione e mobilitazione sviluppata da 263 organizzazioni per fermare l’opera. Obbiettivo? Bloccare la costruzione di una condotta riscaldata lunga 1.443 chilometri che correrà tra la regione di Hoima, in Uganda, e il porto tanzaniano di Tanga. Un progetto mastodontico da 3,5 miliardi di dollari che, a partire dai pressi del lago Albert e costeggiando il prezioso lago Vittoria, trasporterà fino a 200mila barili al giorno. Ovvero, al prezzo attuale del Brent, oltre 4,5 miliardi di dollari di greggio ogni anno.
Basta petrolio! Lettera ai finanziatori per tagliare i fondi
La battaglia degli attivisti climatici – e in difesa degli habitat naturali e di villaggi e popolazioni locali – è perciò in corso. E il primo obbiettivo sono le banche, ovvero togliere risorse finanziarie al progetto. Basti pensare che, stando a The East African, la sola Uganda ha bisogno di oltre 700 milioni di dollari per finanziare la sua partecipazione alle varie infrastrutture legate ad EACOP.
Restando in Africa
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Motivo per cui i promotori di #StopEACOP hanno preparato e inviato una lunga lettera ad alcuni soggetti chiave, gli istituti di credito. Primi destinatari sono infatti le tre banche che operano in qualità di consulenti, incaricate della raccolta finanziaria per il progetto: Standard Bank, Sumitomo Mitsui Banking Corporation e Industrial and Commercial Bank of China. E poi la missiva è stata indirizzata a 22 banche che hanno recentemente fornito finanziamenti a Total e CNOOC.
Banche: fronte diviso. Il tradimento, la cautela, l’abbandono
E così, nonostante il voltafaccia di AfDB (African Developement Bank), che sostiene EACOP con 500mila dollari dopo aver negato il proprio interesse pochi mesi prima, qualche crepa nel fronte dei finanziatori si fa evidente. Il primo risultato della pressione mediatica internazionale è stato infatti il tentennamento pubblico di Standard Bank. La banca sudafricana ha annunciato che il suo impegno a finanziare l’oleodotto è sospeso in attesa dei risultati di uno studio sull’impatto ambientale sul progetto commissionato a una società indipendente.
Ancor più significativa, trattandosi di due tra le principali banche d’affari al mondo, è però la presa di posizione netta di Barclays e Credit Suisse. La prima ha risposto alla campagna degli attivisti che «non intende partecipare al finanziamento del progetto East African Crude Oil Pipeline». Parimenti si è espressa Credit Suisse, confermando di «non prendere in considerazione la partecipazione al progetto EACOP». E a ciò si aggiungono dichiarazioni incoraggianti di United Overseas Bank – fanno sapere da #StopEACOP – che inducono a prospettare un atteggiamento simile anche per l’istituto di Singapore.
L’oleodotto fa gola: interessi per pochi, pericoli per tutti
Il tanto denaro in gioco forse non basta a giustificare l’impresa, infatti. Innanzitutto osservando l’ultimo ventennio di quotazioni di quello che un tempo era l’oro nero. E poi valutando l’ineliminabile rischio di incidenti connesso, con enormi costi potenziali, diretti e indiretti, eventuali sanzioni, bonifiche e risarcimenti. Si pensi ai preziosi bacini di acqua dolce lambiti dal tracciato e ai vicini parchi naturali dei due Paesi attraversati, in particolare il Parco nazionale delle cascate Murchison e il Saanane Island National Park. Pericoli tanto più concreti in un continente dove spesso instabilità politica e fragilità economica si sono accompagnate a furti di carburante e minacce alle infrastrutture internazionali a scopo di estorsione.
Tuttavia Uganda (142mo su 180 nell’indice di corruzione percepita di Transparency International) e Tanzania (94mo) hanno dato il nulla osta all’oleodotto. E, naturalmente, le compagnie petrolifere Total e CNOC sono intenzionate a procedere. Gli interessi in gioco, del resto, vanno anche al di là della condotta stessa. I suoi sostenitori sostengono che la realizzazione dell’opera porterà un incremento del 60% di investimenti esteri per i due Paesi attraversati (una stima complessiva arriva a 10 miliardi di dollari), e ovviamente migliaia di posti di lavoro, con l’impiego di manodopera locale.
Ma non solo. La joint venture industriale sull’oleodotto EACOP avrà anche un effetto di rafforzamento del sostegno di sviluppo su diversi altri siti petroliferi nell’area. In particolare, EACOP dovrebbe favorire il contestato progetto Tilenga, che prevede l’estrazione di greggio nei pressi del lago Albert. Anche su Tilenga c’è la partecipazione di Total e CNOOC.