Clima, così la finanza ci ha fatto perdere cinque anni

Energia, trasporti, riscaldamento globale. E gli intrecci con la finanza. Ogni settimana il punto sui cambiamenti climatici firmato da Andrea Barolini

A due giorni dall’anniversario dell’approvazione dell’Accordo di Parigi – avvenuta nella capitale francese al termine della Cop21, nel 2015 – un rapporto redatto da un gruppo di 18 organizzazioni non governative (compresa l’italiana Re:Common) svela in che modo, da allora, la finanza internazionale abbia di fatto remato contro. Tra il 2016 e il 2020 sono stati infatti concessi 1600 miliardi di dollari a imprese che hanno lanciato nuovi progetti legati alle energie fossili. Tra i colossi che hanno intascato il denaro figura anche l’italiana Eni, assieme ai soliti noti: ExxonMobil, BP, Total, Shell, Chevron, Equinor, Petrobras o ancora Repsol. 

In particolare, lo studio ha analizzato dodici progetti. Dodici “bombe climatiche”. Dal Mozambico all’Argentina, passando per Bangladesh, Australia e Norvegia, insieme tali iniziative comporteranno nuove emissioni di gas climalteranti pari a 175 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2. Il che rappresenta il 75% di quanto possiamo ancora permetterci di disperdere nell’atmosfera (235 miliardi) se vogliamo limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, di qui alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali.

Banche e fondi, inoltre, nel mese di gennaio del 2016 detenevano asset per 1100 miliardi di dollari in 133 compagnie coinvolte a vario in tali 12 progetti. Di chi parliamo? Degli americani BlackRock, Vanguard e Capital Group. Della tedesca Deutsche Bank. Ma anche di Citigroup, Bank of America, JPMorgan Chase. E delle inglesi Barclays e HSBC. Della francese BNP Paribas. Delle svizzere UBS e Credit Suisse, della spagnola Santander, delle giapponesi Mitsubishi e Mizuho, delle cinesi Bank of China e Industrial and Commercial Bank of China e della canadese Royal Bank of Canada. 

Forse a tutti loro è sfuggito il fatto che la produzione di energia da fonti fossili è prevista in crescita del 2% all’anno tra il 2020 e il 2030, secondo i calcoli delle Nazioni Unite. Mentre se vogliamo centrare l’obiettivo degli 1,5 gradi dovrebbe scendere del 6% all’anno. «Pazienza», diranno: intanto abbiamo accontentato bilanci e azionisti.