Strade? Dove stiamo andando non c’è bisogno di strade
Economia e finanza, sostantivi femminili. Eppure c'è ancora troppo poco di femminile nel mondo dell'economia e della finanza. Ogni lunedì un nostro commento
In realtà sì, abbiamo bisogno di strade. E di ponti. Ferrovie. Porti. Acquedotti e fognature. Rete elettrica. Quelle che, comunemente, chiamiamo “infrastrutture”. Essenziali per le nostre vite e per lo sviluppo di attività economiche. Al punto che il neopresidente statunitense Joe Biden ha lanciato un piano da 2mila miliardi di dollari di investimenti in otto anni. Che ha spaccato il Congresso proprio sulla definizione di “infrastruttura”.
Nel piano, infatti, Biden prevede investimenti sull’edilizia civile, costruendo, mettendo in sicurezza e rendendo efficienti edifici commerciali e abitazioni. E su servizi per la terza età e per l’infanzia, come nel caso di asili nido e scuole. Un’idea di “infrastruttura” che non piace alla destra, ma che affonda le sue origini nella riflessione femminista dell’economista Nancy Folbre e dell’attivista Ai-jen Poo. «La cura come infrastruttura» ribalta la concezione del lavoro di cura come attività svolta gratuitamente, di solito dalle donne. In aggiunta rispetto al proprio impiego o in sostituzione di esso, tenendo milioni di donne fuori dal mercato del lavoro perché impossibilitate a conciliare attività domestica e extra-domestica.
Una definizione di infrastruttura che include i ponti, ma esclude la cura di bambini e anziani mostra con chiarezza come il mondo in cui viviamo sia plasmato dagli uomini. La pandemia di Covid-19 ha fatto emergere tutti i limiti e le contraddizioni dei nostri sistemi economici e sociali. Ci ha detto, casomai avessimo ancora avuto dei dubbi, che il mercato da solo non è in grado di rispondere ai bisogni delle persone. Ora è il momento di mettere in discussione quel mondo e quei sistemi. A partire dal significato delle parole.