Amazzonia: vittoria degli indigeni sulle miniere Anglo American
In Amazzonia la protesta degli indigeni induce il colosso delle miniere Anglo American a cedere. Ma il Brasile di Bolsonaro punta alle risorse naturali
Anglo American cede alle campagne di mobilitazione e di pressione dal basso delle popolazioni indigene e accetta di ritirare 27 richieste di esplorazione mineraria, attività preliminare per aprire nuove miniere in Brasile. La notizia è stata rilanciata da Amazon Watch, organizzazione dedita alla protezione della foresta pluviale e alla promozione dei diritti delle popolazioni indigene in Amazzonia, e rappresenta una grande vittoria.
Un successo ottenuto dopo anni di proteste, manifestazioni e un ampio lavoro di documentazione e sensibilizzazione, il cui valore è amplificato da quello della controparte. Anglo American è una delle più grandi compagnie minerarie del mondo e al centro del recente rapporto Complicity in Destruction III dell’ottobre 2020. In quell’indagine emergeva al secondo posto tra i principali beneficiari di sostegni finanziari per le sue attività estrattive nel Paese carioca.
Anglo American: I dubbi sulle promesse da mantenere
Ma il successo va anche messo alla prova dei fatti. La compagnia si è impegnata a ritirare 27 domande già approvate dall’Agenzia nazionale mineraria brasiliana (ANM) per la ricerca di minerali all’interno dei territori indigeni situati negli stati del Mato Grosso e del Pará. Si tratta di 27 cosiddette “applications” di ricerca mineraria, cioè richieste per valutare le riserve minerarie di un’area e la fattibilità di un progetto estrattivo. È uno dei primi passi per ottenere una concessione di estrazione e “prenota” l’area, escludendo i concorrenti.
Il problema – ci spiega Amazon Watch – è che, sebbene l’estrazione mineraria sulle terre indigene non sia più consentita in Brasile, l’Agenzia Mineraria Nazionale continua a ricevere richieste di esplorazione. Nel caso di Anglo American, le 27 “applicazioni” erano state autorizzate dall’ANM, consentendo di svolgere ricerche minerarie che toccano territori indigeni, e anche la sola ricerca non è priva di impatto.
Miniere e agroindustria
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E, nonostante la rinuncia di Anglo American formalizzata presso l’ANM il 27 gennaio 2021, c’è chi resta diffidente. Come sottolinea la Federazione dei Popoli Indigeni del Pará (FEPIPA) attraverso le parole di Alessandra Munduruku, la vice coordinatrice. «È una vittoria, ma vogliamo sapere se Anglo American manterrà davvero la parola data o se tornerà nel nostro territorio con altri mezzi, come fa il governo creando nuove regole per entrare nei territori indigeni. Stiamo resistendo e continueremo a farlo. […] Non ci fidiamo di loro; lo faremo solo se tra due o tre anni potremo vivere in pace».
La corsa all’oro e le miniere favorite da Bolsonaro
Lo sfruttamento delle risorse naturali brasiliane, del resto, è in una fase di grande accelerazione. A dimostrarlo c’è il progetto di monitoraggio Amazonia Minada, realizzato da InfoAmazonia, ma non solo. A partire dal 2000, e senza eguagliare i numeri elevatissimi registrati dal governo di Fernando Enrique Cardoso, il primo biennio di Jair Bolsonaro ha stabilito un nuovo record. Un record di domande di estrazione mineraria, molte delle quali toccano le terre indigene.
«Una sfilza di domande – ricorda Amazon Watch – è seguita dopo che Bolsonaro ha introdotto la legge 191 nel febbraio 2020, che prevede la regolarizzazione dell’esplorazione mineraria sulle terre indigene, adempiendo così a una delle sue promesse elettorali più controverse. Ancora più preoccupante, 71 delle 143 domande presentate nel 2020 riguardano terre in cui la Fondazione nazionale indigena brasiliana (FUNAI) registra la presenza di popolazioni indigene isolate». Quindi particolarmente fragili all’impatto dell’industria mineraria.
L’effetto delle aperture politiche, inoltre, alimenta appetiti immediati e fuori controllo. Nella terra indigena brasiliana degli Yanomami si trova la più grande area formalmente richiesta per l’estrazione. Lì sono piovute 500 domande di esplorazione e sfruttamento all’ANM, per una superficie di territorio brasiliano più grande del Belgio (3 milioni di ettari). Quasi un terzo di queste domande riguarda la caccia all’oro. E le comunità sono già oggetto di attacchi da parte di minatori illegali.
Anglo American cede su quasi 30 future miniere, ma ne conserva 300
Il lavoro degli attivisti, insomma, è tutt’altro che terminato. La società con sede a Londra, d’altra parte, avrebbe ancora ben 86 siti minerari attivi nel database dell’ANM e con un impatto sui territori indigeni. Ma soprattutto, al momento in cui Anglo American ha deciso di rinunciare ai 27 progetti citati sopra, la compagnia manteneva ancora grandi interessi estrattivi nell’area.
Amazon Watch precisa che «la società aveva quasi 300 domande di ricerca registrate che riguardavano 18 territori indigeni dell’Amazzonia, alcuni abitati da popolazioni indigene che vivevano in isolamento volontario. L’obiettivo più recente della compagnia mineraria britannica era stato Sawré Muybu, nel Medio Tapajós, patria del popolo Munduruku. Dal 2017 al 2019 sono state presentate cinque domande».
Insomma, prima di essere credibile nel suo percorso di “ravvedimento”, la compagnia dovrà fare scelte assai più coraggiose. Dovrà abbandonare politiche espansive nella regione, anche votate alla sola esplorazione, se invasiva delle terre indigene. Senza dimenticare impatti ben superiori che si verificano in caso di nuove miniere e impianti realizzati. Oltre alla distruzione degli ecosistemi, questi progetti portano spesso con sé violazioni dei diritti, episodi di sfruttamento e violenza, problemi sociali (alcolismo, prostituzione, corruzione…). Fenomeni la cui riparazione risulta sempre tardiva, se non impraticabile.