Angelo Ferracuti, scrittore e giornalista, e Giovanni Marrozzini, fotografo, sono partiti il 5 settembre 2021 da Manaus, in Brasile. Viaggiano a bordo del battello a motore Amalassunta. Obiettivo del viaggio, raggiungere le sorgenti del Rio Vaupès, in Colombia. Risalendo per duemila chilometri il Rio Negro. «Vogliamo raccontare – spiegano – i popoli nativi, alcuni dei quali in via di estinzione, minacciati da taglialegna, cercatori d’oro, multinazionali».
Alla fine del viaggio la barca sarà donata all’associazione Piccolo Nazareno. Un’organizzazione che opera a Manaus a sostegno dei ragazzi di strada, adolescenti spesso dediti al consumo di droghe e alla prostituzione. Diventerà una scuola galleggiante dove tenere lezioni sulle culture indigene, e navigherà come biblioteca itinerante nei diversi villaggi distribuendo libri. Banca Etica e Fondazione Finanza Etica sostengono il progetto e ospita scritti e immagini di Ferracuti e Marrozzini che raccontano e documentano lo straordinario viaggio. Chi volesse sostenerli può partecipare alla raccolta fondi.
17 settembre 2021 – Quando siamo arrivati a Lago das Pedras era in corso una festa religiosa, si sentiva la voce rimbombante del pastore della Chiesa evangelica che intonava un sermone, sgolandosi isterico, come posseduto, il microfono ne amplificava l’oratoria in tutto il sobborgo facendola arrivare fino a noi che ci stavamo avvicinando con la barca, e tutto intorno si sentiva il suo discorso severo e ammonitore sulla fine del mondo, la lotta titanica tra il bene e il male, satana o vattelappesca cosa.
Il villaggio è fatto di palafitte una vicina all’altra lungo la striscia di terra che sta di fronte alla riva, scendendo vedo i volti delle donne affacciate ai riquadri senza finestre, i panni colorati stesi, e di fianco il serbatoio per l’acqua piovana, le ragazze che girano con la borsetta in mano e il cellulare, i piccoli bambini che ci guardano spauriti, a metà via c’è l’edificio in legno della chiesa e di fianco un palco inghirlandato di fronte al quale si terrà la festa, dietro solo alberi e foresta, e oltre ancora solo una fitta vegetazione di terra e piante.
Al fondo del villaggio i ragazzini stanno giocando a calcio in due campi paralleli, altri si arrampicano sugli alberi a pochi metri dalla riva con i tronchi piantati sull’acqua e si tuffano armonici e gioiosi formando un cerchio, sparendo e riaffiorando subito dopo, in assoluta simbiosi con il fiume, qualcosa che noi abbiamo definitivamente perso penso con rimorso. Si arrampicano veloci sino in cima facendo gli equilibristi, poi si lanciano nell’aria uno volta arrivati facendo salti mortali, allegri nel loro piccolo paradiso.
Sono arrivate qui per la festa religiosa intere famiglie da altri villaggi con le loro piccole imbarcazioni chiuse, anche dieci persone che dormono in amaca, i panni stesi da tutte le parti, gente che scende e sale, consuma un pasto, oppure si rinfresca, prendendo l’acqua del Rio con una scodella e gettandola in testa più volte. Alcune donne fanno il bucato a prua, chine strofinano sulle stoffe bagnate.
Vicino all’ultima casa del villaggio incontro Sebastiao, un piccolo uomo con un cappello di paglia in testa simile a quelli dei vietcong, occhiali dalla montatura nera e la barba rasata di fresco, una maglietta militare mimetica. Mi spiega che prima ancora che ci fosse la Riserva estrattiva hanno creato un’associazione, era poco dopo la caduta della dittatura militare, nel 1995.
«Il governo ci voleva mandare via, dicevano che in un parco non doveva viverci nessuno, dovevamo andarcene di qui». Ma loro hanno resistito, quella della Riserva è stata una necessità, e hanno approfittato di una legge dello Stato sui Resex, terre di pubblico dominio concesse alle popolazioni estrattive tradizionali con l’obiettivo di proteggere i mezzi di vita e cultura di queste popolazioni e garantire l’uso sostenibile delle risorse naturali. «Il nostro è un modo di vivere che conserva la foresta, viviamo raccogliendo quello che la natura ci dà, piantiamo manioca, banane, ananas e facciamo la raccolta controllata del pesce, preservando le specie protette». Ancora oggi hanno come punto di riferimento Chico Mendes, il sindacalista leader dei seringueiros, «ha lottato per la biodiversità e per il popolo», dice Sebastiao compenetrato, lo sguardo fiero, non nascondendo una certa commozione.
Foto © Giovanni Marrozzini
Per proseguire, inserisci l'indirizzo e-mail utilizzato per la registrazione del tuo account.