Shareholders for Change, l’azionariato critico dalle aziende ai governi
Intervista a Aurélie Baudhuin, presidente di SfC, che traccia un bilancio del 2021 e delinea le strategie future dell’azionariato critico
Un anno complicato dalla pandemia ma di notevoli passi avanti dal punto di vista degli impegni assunti dalle aziende. E che per la prima volta ha portato anche un successo nei confronti di un governo, quello della Namibia. Il 2021 di Shareholders for Change (SfC)è stato riassunto nelle pagine del report pubblicato il 3 dicembre, che racconta la stagione assembleare e di engagement. Sono state 105 le aziende coinvolte, nei cui confronti si è parlato soprattutto di impegni climatici. Ma anche di politiche ESG, diritti umani, giustizia fiscale, governance. Aurélie Baudhuin, presidente di SfC, traccia un bilancio dell’anno passato e delinea le strategie future dell’azionariato critico.
Qual è il suo bilancio del 2021?
È un bilancio molto positivo. La nostra rete cresce e il rapporto mostra chiaramente il quantitativo di impegni avanzati e di questioni di cui si è discusso. Ci tengo inoltre a sottolineare l’importanza della proattività dei membri di SfC. L’anno non è stato semplice per tutti, a causa della pandemia. Per noi è stato più complicato partecipare alle assemblee generali degli azionisti per far valere le nostre argomentazioni. Ma anche, più banalmente, incontrarci tra di noi. Ciò nonostante siamo riusciti a trovare metodi innovativi per lavorare.
La quesitone climatica appare al centro del vostro impegno ormai.
Se guardiamo alle tematiche effettivamente i cambiamenti climatici e la necessità di abbattere le emissioni di CO2 rappresentano le questioni più dibattute. Ma il nostro obiettivo è anche di sviluppare alcuni temi “orfani”, in particolare per quanto riguarda i diritti umani, ma anche la responsabilità d’impresa e la giustizia fiscale. Su quest’ultima abbiamo sviluppato uno studio ad hoc, mentre un altro ha riguardato le catene di approvvigionamento di terre e metalli rari nei settori dell’automotive, delle energie rinnovabili e della chimica. Ma sono temi che devono emergere di più.
In che modo avete lavorato anche con una nazione, la Namibia, e non un’azienda?
Anziché sfruttare il possesso di azioni, come di consueto con le imprese private, per esercitare pressione attraverso l’engagement diretto e il voto nelle assemblee generali, nel caso della Namibia abbiamo deciso di passare per il possesso di obbligazioni sovrane. In questo modo, in quanto detentori di bond emessi dallo Stato, ci siamo rivolti al governo della Namibia per chiedere di aderire alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle armi biologiche. È stato un successo. Ora l’obiettivo è tentare di riproporre la stessa strategia altrove.
Avete già individuato altre nazioni in questo senso?
Non ancora, ma vogliamo riflettere su una strategia. Pensiamo al tema del clima: sono i governi che impongono regole alle aziende private. Per cui, se riusciremo ad esercitare pressione su più fronti, la nostra azione sarà più efficace. Quando parliamo di Stati, ovviamente non ci sono assemblee generali alle quali partecipare in qualità di azionisti, ma abbiamo trovato nuove strade per far sentire la nostra voce.
Tornando alle aziende, nel 2% di casi i tentativi non hanno portato ad un successo.
Ci sono realtà abituate a dialogare con gli azionisti e altre no. Ma noi non ci arrendiamo, cercheremo di insistere.
Un’azienda con la quale l’impegno sembra particolarmente complicato è l’italiana Eni.
In generale il comparto dell’energia è stato complicato, ma rispetto a qualche anno fa c’è molto più ascolto da parte delle aziende. I manager sanno di essere particolarmente esposti. Non a caso sono emerse le risoluzioni “Say on Climate”, che chiedono trasparenza sul tema della lotta ai cambiamenti climatici. Inoltre, molte aziende del settore rischiano sempre di più di dover rispondere a risoluzioni molto ambiziose presentate alle assemblee degli azionisti. Non possono più permettersi di fare orecchie da mercante.
Qual è il principale obiettivo di SfC per il 2022?
Stiamo lavorando ad un rapporto per valutare le strategie di allocazione dei capitali durante la pandemia. Vogliamo verificare in che modo le aziende abbiano utilizzato gli aiuti pubblici, se per far ripartire la produttività, evitare perdite di posti di lavoro, oppure per soddisfare gli azionisti, ad esempio concedendo dividendi. Per farlo ci siamo associati a dei ricercatori. Le prime indicazioni lasciano intendere che le pratiche sono state molto diverse: c’è chi si è comportato bene e chi male. A gennaio pubblicheremo il primo rapporto in merito e conosceremo i dettagli.