Eni resta evasiva con gli azionisti critici. E non andrà in Paradiso

Alle 90 domande avanzate da Fondazione Finanza Etica, la compagnia Eni ha risposto spesso senza entrare davvero nel merito delle questioni

La raffineria Eni di Taranto © Cineberg/iStockPhoto

In tempi di distanziamento sociale per la pandemia anche l’azionariato critico si fa difficile. Soprattutto se azionisti e management parlano lingue diverse. È stato il caso di Eni, la cui assemblea annuale degli azionisti si è svolta mercoledì 12 maggio. Fondazione Finanza Etica da 13 anni non manca mai questo appuntamento. Ma la modalità online ti obbliga a strategie diverse. Non puoi intervenire durante l’assemblea, quindi devi affidarti a domande da presentare in anticipo, alle quali l’azienda risponde per iscritto prima del voto.

Fondazione Finanza Etica ha presentato 90 domande a Eni

Fondazione Finanza Etica ne ha presentate oltre 90, coordinando anche quelle giunte per conto di Greenpeace Italia, Re:Common, Legambiente, la rivista studentesca Scomodo e il whistleblower brasiliano Douglas Linares Flinto. Ben 46 delle 138 pagine del fascicolo contenente le risposte dell’azienda sono occupate dal botta e risposta fra Fondazione e Eni. Ma, purtroppo, evidentemente, non ci capiamo.

Noi chiediamo “quanto” e “come” Eni intenda raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione pretesi al 2050 e loro rispondono che… li raggiungeranno. Si chiamano tautologie. Che nella logica formale sono definizioni che ripropongono in termini solo formalmente diversi l’enunciazione di quanto dovrebbe costituire oggetto di spiegazione o di svolgimento. Insomma, affermazioni prive di qualsiasi valore informativo.

Le risposte evasive su idrogeno e sponsorizzazioni

Esempio: è stato chiesto quali obiettivi si ponga l’azienda nella produzione di idrogeno blu e verde al 2030 e al 2050. Risposta: «Grazie alle competenze che sta sviluppando nell’ambito della CCS, Eni prevede di ottenere una quota crescente di idrogeno blu per alimentare i propri processi industriali. Stiamo inoltre lavorando a progetti di produzione di idrogeno tramite elettrolisi dell’acqua alimentata da fonti rinnovabili (idrogeno verde) e di idrogeno sostenibile dai rifiuti». Vuol dire o che non capisci la domanda, oppure che mi fai una “supercazzola” giusto perché sei obbligato a rispondere. Ma intendi sostanzialmente prendermi in giro.

Il testo è disseminato di risposte di questo tono. Anche su domande che hanno delle risposte facili e oggettive: «A quanto ammontano le sponsorizzazioni?». Risposta: «Sono in linea con gli anni precedenti». Ma che vuol dire? Ti ho chiesto «quanto», non se ti sei discostato o meno da quanto speso nell’anno precedente. Qualche risposta, talvolta meno evasiva, la riceviamo su domande relative ai singoli impianti. Segno di un’azienda che ancora ha difficoltà strutturali a ragionare per obiettivi strategici che, non di meno, devono essere quantificati e misurabili.

Poco convincenti i piani strategici di Eni per la decarbonizzazione

Eni aveva presentato il 28 febbraio 2020, in una conference call con gli analisti finanziari, due diversi piani di sviluppo. Il primo è il Piano strategico di lungo termine al 2050. Il secondo è il Piano d’azione 2020-2023 e gli investimenti sulle fonti di energia rinnovabili. L’obiettivo era quello di unire obiettivi economico-finanziari a obiettivi ambientali in un’unica strategia. Ma qui casca il cane a sei zampe. Perché, da un lato, molti degli obiettivi lì indicati sono privi di elementi informativi che ne fondino le effettive possibilità di essere raggiunti. O almeno di essere chiaramente definiti. Dall’altro, si fondano su due pilastri che come minimo sono problematici rispetto all’obiettivo della decarbonizzazione al 2050 e con un focus specifico sulla riduzione delle emissioni nette di gas serra. Ora, il Piano strategico al 2050 propone degli obiettivi ambiziosi. Come la riduzione delle emissioni di gas climalteranti negli Scope 1, 2 e 3 dell’80% in termini assoluti e del 55% in termini di net carbon intensity entro il 2050.

Addirittura l’azzeramento entro il 2030 delle emissioni nette relative agli Scope 1 e 2 (le attività upstream: emissioni dirette e quelle legate all’energia acquistata per le proprie attività). Ma “come” si intenda arrivare a questi obiettivi resta per lo più un mistero. Tanto più se si riflette sul fatto che lo stesso Piano prevede un aumento della produzione di petrolio e gas per i prossimi sei anni (2020 – 2025). Con una crescita media del 3,5% all’anno e, in termini assoluti, del 23% fino al 2025. Quindi Eni ci sta dicendo che il prossimo mandato e mezzo del Consiglio di Amministrazione potrà festeggiare con le fonti fossili, senza ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. E poi, dal 2025, inizierà una graduale diminuzione della produzione. Con la progressiva sostituzione del petrolio con il gas e l’orientamento di parte degli investimenti verso altri business (rinnovabili, distribuzione di energia nel mercato retail, bio-raffinerie, ecc.).

Da Eni troppi obiettivi di lungo periodo e poca chiarezza sul breve termine

Ciò che dunque abbiamo chiesto al management dell’azienda è “come” questo avverrà concretamente. E come si potrà misurare l’andamento del Piano. Ad esempio, l’azienda fornisce solo obiettivi di riduzione delle emissioni di lungo e lunghissimo periodo (2035 e 2050). Senza indicare obiettivi di riduzione delle emissioni nel breve-medio termine. Né è possibile sapere se e come le emissioni aumenteranno dal 2020 al 2025.

Non è chiaro di quanto declinerà la produzione di idrocarburi di Eni dal 2025 in poi, quando sarà finito il festino degli idrocarburi. Eni prevede che essa rimanga una compagnia al 50% fossile (e al 50% green). Non si tratta però di un obiettivo: i dati potrebbero cambiare in virtù della flessibilità del piano. Nell’evoluzione del comparto upstream viene posta molta enfasi sulla riduzione del petrolio a favore del gas. Il cui presunto maggiore contributo alla riduzione delle emissioni degli Scope 1, 2 e 3 rispetto al petrolio (e allo stesso carbone) è discutibile (e messo in discussione da numerosi studi). In particolare a causa delle fughe di metano (fugitive methane emissions).

Il Paradiso può attendere

Eni parla di obiettivi di assorbimento della CO2 tramite progetti di conservazione forestale (REDD+) al 2025, 2030 e 2050. Tuttavia, non ci fornisce dettagli su alcun progetto di conservazione e non ci spiega a che punto siano le “collaborazioni” con i governi interessati a questi progetti.

Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni dal 9 maggio 2014. Foto: archivio Eni
Claudio Descalzi è in sella come amministratore delegato di Eni dal 9 maggio 2014 © archivio Eni

Insomma, più che reticente Eni ci appare culturalmente impreparata alla transizione ecologica. Che richiede chiarezza di obiettivi, consapevolezza della gravità delle sfide e necessità di risposte concrete e in tempi rapidi. Per questo le risposte elusive di Eni sconcertano. Tanto che si potrebbe concludere che l’unica vera e seria domanda a cui l’amministratore delegato Claudio Descalzi avrebbe dovuto rispondere è quella, ultima, dell’ormai mitico azionista Marco Bava: «Lei crede nel Paradiso?».