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Abbiate fiducia e l’economia volerà: il valore nascosto del capitale sociale

Ancora pochi governi lo considerano ma il capitale sociale vale molti punti di Pil e di consenso politico. In entrambe le sponde dell’Atlantico

Corrado Fontana
Corrado Fontana
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Il capitale sociale è come una maglia talvolta invisibile. La sua consistenza favorisce l’equa distribuzione del reddito, i livelli d’istruzione e la sicurezza delle città, addirittura riduce le morti da overdose… ma si misura a fatica. È un patrimonio prezioso da tempo oggetto di ricerca scientifica e ora – pur con ritardo e senza grandi strategie internazionali condivise – capace di attrarre l’interesse dei decisori politici. Almeno di quelli più illuminati.

Regno (più) Unito

Non deve quindi apparire strano se, a maggio scorso, l’ufficio nazionale di statistica britannico ha deciso di pubblicare un interessante rapporto – Social Capital in the UK – che testimonia l’interesse del governo di Sua Maestà per aspetti apparentemente secondari della vita dei suoi cittadini: quanti inglesi hanno almeno un amico (il 97% nel biennio 2014-2015), quanti forniscono aiuto a una persona malata, disabile o anziana al di fuori del proprio domicilio (un britannico su 5), quanti si fermano a parlare con i propri vicini (il 68%) o quante donne si sentono “abbastanza” o “molto” sicure camminando da sole dopo il tramonto (dal 57% del 2013 al 62% del 2016).

Comportamenti “privati” ma non troppo. Spie di coesione del tessuto sociale e benessere collettivo, ma non solo. Nello stesso studio si valuta infatti come tutto ciò condizioni l’andamento – assai discontinuo – della fiducia degli inglesi nel governo nazionale, aspetto del resto cruciale per valutare lo “stato di salute” del capitale sociale di una comunità e strettamente connesso con le diseguaglianze crescenti e molti fattori economici secondari.

Governo inglese, fiducia discontinua

Diffidenza a stelle e strisce

Lo sanno bene negli Stati Uniti dove, in una recente analisi sul Washington Post, vengono approfonditi i dati tratti dal General Social Survey sul crollo dei livelli di fiducia in America tra il 1972 e il 2012: la percentuale di intervistati per cui la maggior parte delle persone può considerarsi degna di fiducia è scesa dal 46% al 32% in 40 anni.

Usa tasso di diffidenza

E, guarda caso, tra gli Stati più colpiti da questo declino ci sono proprio quelli del Sud-Ovest (Texas, Louisiana, Alabama), dove la propaganda divisiva di Donald Trump ha fatto il pieno di voti alle ultime presidenziali.

Il tema non è insomma di poco conto: «La fiducia è correlata con una maggiore partecipazione civica, una diminuzione della corruzione, una maggiore resilienza alle catastrofi, una diminuzione della disuguaglianza economica e una diminuzione delle attività illegali. È anche correlata a una maggiore salute, felicità e intelligenza», scrive l’autore dell’articolo, il giovane sociologo Josh Morgan, ricordando come la teoria più comune leghi le origini della fiducia alle frequenze dell’interazione sociale. Ed ecco che si torna in pieno al capitale sociale come motore di sviluppo.

La disuguaglianza accresce la diffidenza

«Le crescenti tendenze alla disuguaglianza del reddito negli ultimi decenni per molti Paesi avanzati – ribadisce il Fondo monetario internazionale – da un lato possono aver influenzato negativamente i livelli globali di fiducia, ampliando il divario sociale e le differenze di reddito. Dall’altro è proprio il calo della fiducia, determinante della performance macroeconomica di tanti Paesi, ad essere causa di maggiore iniquità e freno allo sviluppo».

Sulla stessa linea anche una ricerca della Banca d’Italia: ogni aumento di un punto percentuale dell’indice di Gini, che misura le diseguaglianze di reddito e ricchezza, equivale a una diminuzione del 2% di persone che dichiarano di avere fiducia negli altri.