Le agenzie premiate per le migliori pubblicità green lavorano con chi inquina

In Gran Bretagna, tre quarti delle agenzie pubblicitarie che ottengono premi per campagne green lavorano con le industrie fossili

Pubblicità a Piccadilly circus, Londra © Jonathan Wilson/iStockPhoto

Verde in superficie, nero nei fatti. Un’analisi di DeSmog ha rivelato che nel Regno Unito tre quarti dei premi alle pubblicità green vanno ad agenzie che lavorano anche per l’industria dei combustibili fossili. 

DeSmog si concentra, in particolare, sul premio annuale Ad Net Zero, quello per le campagne pubblicitarie green, giunto alla sua seconda edizione che si è svolto a Londra, a novembre. Incrociando i vincitori con le ricerche del gruppo Clean Creatives, è emerso che 17 dei 23 premi assegnati alle agenzie (ovvero il 74%) sono andati a società che curano le campagne mediatiche di produttori di petrolio e gas, quali Shell, British Petroleum (BP), Saudi Aramco. Tra queste agenzie figurano M&C Saatchi, Wunderman Thompson (ora parte di VML), Iris Worldwide e il gruppo media Dentsu. 

La difesa di Ad Net Zero: comunque utile premiare pubblicità che possono ispirare un cambiamento

Ad Net Zero è un organismo del settore pubblicitario nato con l’obiettivo dichiarato di voler contribuire ad affrontare la crisi climatica. I fondatori sono sei tra i principali network pubblicitari del settore inglese: WPP, Omnicom Group, Interpublic Group (IPG), Publicis, Dentsu e Havas. È chiaro che conferire riconoscimenti “ecologici” a soggetti che lavorano con chi continua a inquinare mina la credibilità del premio stesso. 

In risposta ai risultati di DeSmog, Ad Net Zero ha dichiarato che i suoi moduli di iscrizione al premio richiedono prove specifiche dell’impatto reale delle campagne di sostenibilità. Non solo, ma secondo Ad Net Zero, pubblicità green, indipendentemente da chi provengano, possono ispirare un cambiamento per il futuro. «È possibile – e probabile – che in questa fase, una pubblicità sia prodotta da un’agenzia che è anche collegata in qualche modo ai tipi di aziende che DeSmog mette in evidenza», ha dichiarato un portavoce di Ad Net Zero. In poche parole, la posizione degli organizzatori del premio è quella per cui invalidare un prodotto comunicativo di quel tipo non giova a nessuno, quando invece può essere un esempio da seguire per altri “colleghi”.

Alcuni esempi concreti

DeSmog fa qualche esempio concreto. L’agenzia M&C Saatchi ha vinto un premio per la campagna di sensibilizzazione sull’inquinamento da plastica “The Plastic Forecast”, realizzata per conto dell’organizzazione filantropica australiana Minderoo Foundation. Sul sito web di M&C Saatchi si legge che collabora da sedici anni con Coca-Cola: ovvero con la società al mondo più responsabile proprio dell’inquinamento da plastica. Ciò secondo una ricerca del gruppo ambientalista Break Free From Plastic. Coca-Cola, in passato, ha anche combattuto attivamente contro la norme che puntavano a limitare l’uso di plastica, secondo un rapporto della redazione investigativa statunitense The Intercept.

La ricerca di Clean Creatives mostra che M&C Saatchi rappresenta anche Origin Energy, che gestisce la più grande centrale elettrica a carbone dell’Australia, e il marchio di carburante sudafricano Astron Energy. M&C Saatchi ha dichiarato a DeSmog che nel 2022 meno del 2% dei suoi ricavi proveniva da clienti che utilizzano combustibili fossili e che ha assunto tre impegni ambientali relativi specificamente al lavoro con i clienti: la creazione di “team con competenze sul clima”, l’aumento dei ricavi da “campagne positive per il Pianeta” e la revisione degli approcci ambientali dei potenziali nuovi clienti.

Lavorare per Shell e per le rinnovabili

Altri esempi, per far comprendere bene il paradosso. Wunderman Thompson, parte del network WPP, ha vinto un premio per la sua campagna Vodafone e-waste, in cui si sottolinea che gli smartphone contribuiranno a circa il 10% delle emissioni globali di CO2 entro il 2040. Secondo Clean Creatives, Wunderman Thompson ha realizzato pubblicità per Shell, una delle aziende che più hanno contribuito alle emissioni globali nella storia, almeno dal 1929. 

I giudici di Ad Net Zero hanno anche elogiato la campagna “Azioni, non ambizioni” di Iris Worldwide, volta a promuovere l’investimento di 12,5 miliardi di sterline della società energetica scozzese SSE nella transizione energetica verde del Regno Unito. Dai registri di Clean Creatives risulta che anche Iris Worldwide lavora per Shell, che a giugno ha annunciato di «ritirarsi dagli investimenti in energia rinnovabile perché non si adattano alla nostra strategia o non generano sufficienti ritorni». A settembre, Reuters ha riferito che diversi dipendenti hanno scritto una lettera aperta all’amministratore delegato di Shell, Wael Sawan, per protestare contro i tagli alle energie rinnovabili.

Wunderman Thompson, Dentsu e WPP non hanno risposto alle richieste di commento da parte di DeSmog. Iris invece ha dichiarato che a suo avviso è necessario essere “inclusivi” e che perciò non intende rifiutare alcuna azienda.

Il ruolo delle agenzie pubblicitarie nella crisi climatica è sottovalutato

È un pensiero comune tra coloro che si impegnano per la causa climatica che le società di pubblicità e relazioni pubbliche rivestano un ruolo spesso trascurato nel frenare l’azione per il clima, operando a favore delle compagnie petrolifere e del gas per influenzare sia la politica governativa che l’opinione pubblica. Le campagne pubblicitarie hanno proposto interpretazioni non veritiere sugli investimenti dell’industria dei combustibili fossili nelle energie rinnovabili o in altre soluzioni per il clima, contribuendo a distogliere l’attenzione dalle pressioni per la riduzione delle emissioni e alimentando una falsa percezione dell’impegno complessivo nella lotta ai cambiamenti climatici.

In un periodo in cui diversi settori stanno abbandonando gli investimenti nei combustibili fossili, l’industria pubblicitaria britannica appare complice nella negazione e nel rallentamento di azioni concrete per affrontare il cambiamento climatico. Tale complicità ha suscitato una crescente preoccupazione per il ruolo della pubblicità nella crisi climatica, portando più di 900 agenzie in tutto il mondo a sottoscrivere l’impegno di Clean Creatives, rifiutando contratti con le aziende produttrici di combustibili fossili, tra cui grandi agenzie come Gale e Forsman & Bodenfors.

Pubblicità green, uno sguardo all’Italia

In Italia, al momento, non esistono premi specifici dedicati alle pubblicità green. Tuttavia, è possibile analizzare la situazione da un’ottica diversa, focalizzandosi su come le principali organizzazioni ambientaliste valutino i fornitori di servizi pubblicitari. Greenpeace, interrogata al riguardo, ha indicato che nel loro contesto non esiste un processo di valutazione standardizzato; piuttosto, ogni fornitore viene valutato caso per caso. La selezione si orienta verso agenzie il cui ethos si avvicini notevolmente a quello dell’associazione stessa. Pertanto, vengono esaminati i lavori precedentemente realizzati, con l’opzione di semplificare il processo nel caso in cui il fornitore abbia già collaborato con Greenpeace o abbia partecipato alle sue campagne.

Un aspetto cruciale risiede nelle dimensioni dell’agenzia: è improbabile che una grande realtà del settore pubblicitario non annoveri tra i propri clienti aziende (direttamente o indirettamente) legate a settori economici ad alto impatto ambientale. In altre parole, la collaborazione con agenzie di minori dimensioni agevola il controllo su questo fronte, contribuendo a garantire una maggiore “certezza” riguardo alla loro sostenibilità.