I successi dell’azionariato critico e le risposte di Big Oil

Chiedere alle aziende di limitare le emissioni nocive è giusto. Ma l'azionariato critico non basta. Servono regole e leggi specifiche

Stella Levantesi
© hanhanpeggy/iStockPhoto
Stella Levantesi
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Un gruppo di ventisette azionisti della compagnia petrolifera Shell ha deciso di appoggiare una risoluzione che chiede all’azienda di allineare gli obiettivi di riduzione delle emissioni con quelli delineati dall’accordo di Parigi nel 2015. La pressione degli investitori sta aumentando, specialmente tra le major dei combustibili fossili, come Shell, BP, ExxonMobil e Chevron.

Risoluzioni come queste, infatti, sono uno strumento sempre più utilizzato dagli azionisti per spingere le aziende inquinanti al cambiamento. Il gruppo di investitori Shell possiede circa il 5% delle azioni dell’azienda. E comprende il National Employment Savings Trust (Nest) che gestisce le pensioni di quasi un quarto dei lavoratori del Regno Unito.

Gli azionisti voteranno sulla risoluzione a maggio, in occasione dell’assemblea generale annuale. L’azione è promossa da Follow This, organizzazione di azionisti attivisti con sede in Olanda. E chiede di fissare gli obiettivi per le cosiddette emissioni di “Scope 3”, quelle emissioni di gas serra che le aziende non generano direttamente e che comprendono le emissioni della catena di valore. Nel caso del settore di gas e petrolio, è qui che si concentrano la maggior parte delle emissioni climalteranti.

emissioni upstream e downstream GHG Protocol
Emissioni dirette, upstream e downstream © GHG Protocol

Le strategie di comunicazione delle aziende e il greenwashing

Già nel maggio 2021, gli azionisti di Chevron avevano votato con il 61% a favore di una risoluzione di Follow This che chiedeva di ridurre proprio le emissioni Scope 3 dell’azienda. La responsabilità delle aziende che sfruttano petrolio e gas è significativa per la crisi climatica. Per questo l’attivismo degli azionisti può avere un ruolo chiave nel guidare un’azione per il clima concreta da parte di Big Oil.

In questo contesto, l’azionariato critico ha l’obiettivo di influenzare le politiche, la gestione o la direzione strategica di un’azienda: dal voto durante le assemblee generali annuali alla presentazione di risoluzioni. Di fronte al crescente attivismo degli azionisti, però, le aziende legate ai combustibili fossili fanno opposizione.

Un recente studio, pubblicato a settembre 2023, dimostra che negli ultimi quindici anni compagnie petrolifere internazionali come ExxonMobil, Chevron e BP hanno utilizzato con successo alcune strategie di comunicazione. Per frenare questa pressione interna e ostacolare l’azione per il clima.

Lo studio identifica sette categorie di tali strategie comunicative. Tra cui, per esempio, promuovere il ruolo dei combustibili fossili per «incoraggiare lo sviluppo e alleviare la povertà» e deviare la responsabilità dal ruolo dell’industria. La maggior parte delle proposte degli azionisti di fronte a queste strategie, infatti, si è rivelata fallimentare.

Le Big Oil portano gli attivisti in tribunale

Le strategie sono in linea con quelle utilizzate dall’industria di gas e petrolio anche in altri contesti, come il lobbying o la pubblicità ingannevole. E, oltre al greenwashing, includono narrazioni centrali come sostenere false soluzioni per mantenere la produzione del fossile e continuare a inquinare. Oppure spostare la responsabilità per la crisi e promuovere la falsa percezione che le aziende fossili siano già “parte della soluzione”.

Secondo Raphael Slade e Krista Halttunen, ricercatori e coautori dello studio, sapere quali sono le strategie aziendali nei confronti degli azionisti permette a chi sta spingendo per l’azione climatica non solo di riconoscere le strategie, ma anche di «disattivarle». Ma le reazioni delle compagnie petrolifere non si fermano alla comunicazione strategica.

Il 21 gennaio, ExxonMobil ha intentato una causa contro Follow This presso un tribunale in Texas proprio per bloccare il voto su una risoluzione dell’organizzazione che chiede all’azienda di accelerare la riduzione di emissioni. ExxonMobil ha chiesto alla corte di emettere una sentenza a marzo e prima dell’assemblea annuale a maggio.

L’azionariato critico da solo non basta

Secondo Paul Benson, esperto legale e avvocato a ClientEarth, un’organizzazione per la legge ambientale e climatica, l’attivismo degli azionisti può avere un impatto. Ma la strada è ancora lunga. In particolare, questo tipo di azione climatica può dare sostegno anche alle cause legali contro le aziende inquinanti.

A febbraio 2023, un gruppo di investitori con oltre 12 milioni di azioni Shell ha appoggiato la causa di ClientEarth contro il consiglio di amministrazione della compagnia, accusata di aver gestito male i rischi climatici, violando così il diritto societario. Le cause intentate contro le aziende di combustibili fossili, poi, possono influenzare a loro volta gli azionisti e aumentare la pressione per l’azione climatica.

In un’intervista con la testata DeSmog, il ricercatore Slade ha spiegato che l’attivismo dell’azionariato critico è uno «strumento nell’arsenale» della lotta per il clima, ma non può rappresentare una soluzione miracolosa. Le analisi degli esperti, infatti, sostengono che la regolamentazione e la legislazione oggi restano le modalità più efficaci per spingere le compagnie ad abbandonare le loro attività inquinanti.