Ripresa post-Covid. Licenziamenti e dividendi nonostante gli aiuti di Stato
Alcune imprese, dopo aver incassato generosi aiuti di Stato per la pandemia, hanno adottato politiche aggressive di allocazione del capitale
Fin dai primi mesi dell’emergenza sanitaria, i governi hanno erogato miliardi a pioggia per sostenere l’economia. Secondo la rete di sindaci del C40, sommando i vari pacchetti di stimolo si arriva a un totale compreso tra i 12 e i 15mila miliardi di dollari; ed è una stima parziale che risale all’estate 2021. Ma come si sono comportate le grandi imprese che hanno beneficiato di questi generosi aiuti di Stato? A dare una risposta a questa domanda è un nuovo report della rete di azionisti attivi Shareholders for Change, intitolato – non a caso – “Estrattivismo pandemico”.
Su cosa si è concentrato lo studio di Shareholders for Change
I ricercatori hanno isolato un campione di 320 aziende in Europa e Nord America; per la maggior parte sono blue chip (società ad alta capitalizzazione) con un discreto profilo ambientale, sociale e di governance (ESG). Dopodiché, hanno messo a punto una serie di indicatori suddivisi su quattro aree: dinamiche occupazionali, pagamento di dividendi, programmi di riacquisto di azioni, quota di controllate in Stati dalla pianificazione fiscale aggressiva (in gergo ATP). Sulla base di essi, hanno potuto valutare le loro strategie di allocazione del capitale.
È così che emergono numeri interessanti. Sulle 320 totali, poco meno di una su tre si è dimostrata aggressiva per almeno un indicatore. 26 per più di uno. Proprio su queste 26 si è incentrata l’analisi più approfondita, che è andata a scandagliare gli ultimi tre anni – per capire se l’attitudine spregiudicata sia soltanto passeggera – e ha preso in esame anche altri elementi: investimenti in ricerca e sviluppo, remunerazione dei dirigenti e redditività delle filiali nei Paesi ATP. Cosa ne è emerso? Che 15 aziende “relativamente aggressive” su 26 hanno incassato aiuti di Stato nel 2020. Per otto di esse, il motivo era la pandemia.
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Come si sono comportate le aziende che hanno incassato gli aiuti di Stato
Il gruppo è piuttosto variegato, quindi vale la pena di esaminarlo più da vicino. EssilorLuxottica, dominatrice incontrastata dell’occhialeria, nel 2020 ha fatturato 14,4 miliardi di euro: il calo è del 14,6% a cambi costanti rispetto all’anno precedente, ma è stato ben presto compensato da un 2021 chiuso a 17,8 miliardi. Sempre nel 2020 il colosso italo-francese ha incassato 137 milioni di euro in aiuti di Stato di vario genere. Nello stesso anno però si è assistito a una significativa riduzione della forza lavoro, a dividendi alti e un considerevole incremento delle azioni proprie.
L’unica banca è l’italiana Unicredit, che ha ricevuto 33 milioni di euro dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). Tutto questo nel terzo anno consecutivo di esuberi: il piano 2019-2023 ne prevede circa seimila, con la chiusura di 450 filiali. Pur avendo chiuso il 2020 con un calo del 9% dei ricavi rispetto al 2019, il Gruppo ha comunque ritenuto opportuno distribuire dividendi.
Due le compagnie aeree: International Airlines Group (la holding nata dal matrimonio tra British Airways e Iberia) e Delta, l’unica statunitense. La seconda, in particolar modo, attraverso il Cares Act di Donald Trump si è assicurata un finanziamento da 4 miliardi di dollari e un prestito da 1,6 miliardi. Poi ci sono Unibail-Rodamco-Westfield, proprietaria di 85 centri commerciali; per il turismo, la tedesca Tui; la britannica Compass che si occupa, tra le altre cose, di servizi di ristorazione e pulizia; e infine Coltene Holding, produttrice di attrezzature dentali.
Le politiche aggressive sono state preferite allo sviluppo sostenibile
Ma perché ci interessa così tanto capire come si sono comportate? Perché «le decisioni di allocazione del capitale di un’azienda definiscono la sostenibilità a lungo termine della sua performance», spiega Aldo Bonati, Corporate Engagement and Networks Manager di Etica Sgr. Soprattutto nel bel mezzo di un’emergenza pandemica, si legge nel report, «sarebbe più appropriato investire nello sviluppo sostenibile e a lungo termine e nella resilienza delle aziende e non nel valore a breve termine per gli azionisti».
Questa aggressività è un tema che interessa gli azionisti, ma non solo. «Può diventare un problema anche per i lavoratori e la comunità, che – come mostra la ricerca – possono essere privati di risorse pubbliche per servire interessi privati» ribadisce Rainer Ladentrog, Marketing Manager di fair-finance Gruppe.
Shareholders for change promette quindi di portare avanti quella che è la sua missione fin dal primo giorno, l’engagement. Dialogando con queste società, vuole cercare di far passare un messaggio, valido indipendentemente dalla specifica contingenza della pandemia: invece di lasciarsi abbagliare dalle politiche aggressive di allocazione del capitale, è più saggio tenere dritto il timone sul valore che si genera nel lungo termine. Tanto più se si hanno tra le mani risorse pubbliche.