Al Festival della partecipazione l’Italia che si rimbocca le maniche

Quattro giorni di idee, denunce e buone pratiche concrete per un Paese, solidale, trasparente e giusto.

Il Festival della Partecipazione a L'Aquila

Nell’assenza dello Stato, i cittadini si rimboccano le maniche. E danno da filo da torcere alle istituzioni, specie se rimangono inascoltati. È questa la lezione che arriva dal Festival della Partecipazione, la quattro giorni che si è tenuta a L’Aquila (dall’11 al 14 ottobre), voluta da Action Aid Italia, Cittadinanzattiva e con la partecipazione di Slow Food. Un’occasione per mettere sul tavolo idee, denunce e buone pratiche concrete per un Paese, solidale, trasparente, giusto. Confrontandosi anche con i rappresentanti delle istituzioni su temi scottanti, come il lavoro nelle zone terremotate, la gestione dei beni comuni, la migrazione, le periferie, la sanità e la partecipazione, il diritto di accesso alle informazioni e la trasparenza.

A L’Aquila perché…

Una quattro giorni ricchissima con oltre 50 incontri, laboratori, seminari e concerti, oltre 300 relatori e migliaia di partecipanti, ambientata nel cuore di una città ancora ferita, ma viva. “Abbiamo scelto L’Aquila perché è il simbolo di una comunità che non si è arresa e l’emblema di come i cittadini si possano prendere cura della propria comunità con impegno, coraggio, energia, forza”, ha spiegato Antonio Gaudioso, segretario nazionale di Cittadinanzattiva. “Una città che, a quasi dieci anni dal tragico 6 aprile 2009, proprio grazie alla resilienza dei suoi abitanti, ha ripreso a vivere, contro ogni previsione, da quel centro storico, sempre meno ‘zona rossa’. Dove si riaprono bar e si passeggia.  Anche se non senza problemi. Mentre nella sede dell’Università si festeggiano i neo laureati, tanti aquilani non sono ancora rientrati nelle loro case. Le scuole non sono ancora negli edifici definitivi, ma in moduli provvisori”.

Una strada a L’Aquila, dove si è svolto il Festival della Partecipazione

Le denunce: dai lavoratori per la ricostruzione..

Al festival sono arrivate anche le denunce, come quelle dei lavoratori edili impegnati nella ricostruzione aquilana, che hanno fatto luce sulle reali condizioni di lavoro nei cantieri e su come si dovrebbe affrontare la ricostruzione post sisma. Dai dati elaborati dal Forum delle Disuguaglianze  è emerso come, sugli oltre 4mila lavoratori del cratere aquilano, il 40% abbia un contratto precario, di soli 4 mesi di durata. Inoltre il 71% è inquadrato come manovale, un dato che fa nascere dubbi sul mancato riconoscimento delle qualifiche per molti operai, vista la complessità dell’edilizia antisismica che si realizza a L’Aquila. Il peso del lavoro sul costo della ricostruzione aquilana è solo del 13%, significativamente troppo basso in confronto a quanto viene oggi speso nella ricostruzione in Centro Italia.

Diritti violati per i lavoratori edili a L’Aquila. L’intervista a Fabrizio Barca

…ai migranti

Ed è arrivato anche il racconto accorato di migranti e richiedenti asilo nei progetti di accoglienza e inclusione sociale a Lampedusa, con il progetto In Limine, nato da una collaborazione tra ActionAid, CILD, ASGI e IndieWatch, che si occupa di individuare le violazioni dei diritti dei rifugiati in arrivo negli Hotspot. E This must be the place, progetto integrazione tra giovani in uscita dal percorso di accoglienza dello Sprar di Napoli e loro coetanei universitari di ActionAid International Italia, realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

Una policy pubblica sulla ricostruzione

Oltre l’85% dei comuni italiani si trova in zone ad alto rischio sismico e di disastri naturali. Rischio che aumenta esponenzialmente nelle aree più periferiche e fragili del nostro territorio. Dall’incontro dei protagonisti, oltre 47 testimoni dei sismi degli ultimi 40 anni, tecnici ed esperti, sindaci, associazioni e cittadini arrivati all’Aquila dal Friuli Venezia Giulia, Irpinia, Umbria, Marche, Abruzzo, Emilia Romagna e Lazio, è nato il primo documento sui requisiti di una policy pubblica sulla ricostruzione realizzato in forma partecipata.

Tre i punti chiave del documento: sviluppo, diritti e partecipazione dei cittadini colpiti dal sisma. Linee guida per regioni e paesi diversissimi fra loro ma che hanno tratti in comune nelle richieste di ascolto, trasparenza, consultazione diretta con il Governo centrale, pianificazione e prevenzione. “Non si possono ricostruire territori senza avere cittadini e cittadine dentro i processi decisionali. Devono essere loro i reali protagonisti dei cambiamenti che si trovano a vivere,  questo il nostro sforzo per rimetterli al centro del processo di ricostruzione”, ha spiegato a Valori Sara Vegni, responsabile Unità Resilienza ActionAid.

“Questa è l’Italia a cui vogliamo dare spazio – ha ribadito Gaudioso – che non è una riserva indiana, ma è fatta da quelle persone che permettono che questo Paese vada avanti mentre la politica litiga, discute su agende che non hanno niente a che fare con la vita quotidiana delle persone, con un territorio drammaticamente diverso da nord a sud, tra metropoli e periferie”.

Le buone pratiche dell’Italia fragile

Tante le iniziative presentate dalla parte dell’Italia fragile, a partire da “Terre In Moto Marche”, che unisce realtà associative e cittadini contro la strategia dell’abbandono. Al progetto “Futuro infinito” per costruire un presidio culturale temporaneo con una biblioteca diffusa nei borghi del centro Italia colpiti dal sisma come Visso.

Al Festival non è arrivata solo la risposta dei cittadini dopo le catastrofi, ma anche le esperienze di riappropriazione dal basso dei beni inutilizzati e di governo dei beni comuni, prodotte dalle comunità, come dal racconto di Marisa Parmigiani di Fondazione Unipolis. Come nel caso di Raniero Maggini, attivista di Cittadinanzattiva coinvolto nella riqualificazione di Rocca Calascio, un piccolo borgo del centro Italia afflitto dal terremoto del 2009. “Una piccola ma importantissima realtà del patrimonio culturale quella Rocca e dell’antico borgo medievale – spiega Maggini – ha visto la partecipazione attiva di ogni singolo abitante, soprattutto dei più giovani, i veri protagonisti del cambiamento. Oggi un rinato afflusso turistico di circa 14mila persone ha risvegliato l’interesse per la zona che rischiava l’abbandono”.

Vivere ai margini

E sono proprio le storie delle comunità protagoniste della rinascita dei propri territori nelle aree interne e nelle periferie urbane che hanno dato vita all’incontro “Aree interne e periferie urbane: vivere ai margini e riprendersi il futuro” promosso da Novamont. A partire dai giovani del Rione Sanità di Napoli dove la sfida della riqualificazione e della cultura riscoperta è stata raccolta dalla cooperativa giovanile La Paranza e dalle altre nate nella parrocchia di Santa Maria della Sanità.

La disuguaglianza anche nella sanità

La partecipazione dei cittadini aiuta a combattere anche le disuguaglianze socio-sanitarie, presenti nel sud e nel nord del Paese, dove la comunità fa salute, in collaborazione con il comune e l’Azienda Sanitaria. L’esempio storico è quello delle Microaree di Trieste, piccole 16 aree periferiche e popolari della città, con circa 18.000 abitanti.  L’ASL mette a disposizione un operatore a tempo pieno, il referente di microarea, che non eroga le prestazioni sanitarie, ma verifica i bisogni delle persone, propone le priorità, effettua una valutazione e indica come risolvere i problemi attraverso il servizio più adatto ai cittadini.

Cittadini per la trasparenza

Da L’Aquila anche la richiesta di trasparenza e dell’uso delle informazioni per produrre cambiamenti. Nonostante il decreto 33/2013 e il Freedom of Information Act (FOIA) in vigore dal 2016, tanto resta da fare, affinché le istituzioni ascoltino davvero le richieste civiche, come ha ricordato Isabella Mori, responsabile delle politiche sulla trasparenza di Cittadinanzattiva. “È stato riconosciuto il diritto di tutti i cittadini ad accedere ai dati dell’anagrafe dell’edilizia scolastica e a conoscere quali sono le scuole più sicure”, ha sottolineato Mori. Ma l’Anagrafe è incompleta, mancano gran parte dei dati che devono essere comunicati dalle Amministrazioni comunali e provinciali al Miur. “Tra febbraio 2017 e maggio 2018 sono state inviate 7.252 istanze di accesso civico a comuni, province e città metropolitane. Alle relative PEC ha risposto  solo il 22% degli Enti contattati”.