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Abbigliamento: nuovi risarcimenti per l’incendio Ali Enterprises

Dopo 4 anni dal rogo della fabbrica tessile che costò la vita a oltre 250 operai e operaie, potrebbero arrivare 5,15 milioni di dollari di risarcimento dal distributore ...

Karachi, Pakistan. Foto: Rahib ALi Wikimedia Commons
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A quattro anni di distanza dal rogo della Ali Enterprises, il più grande disastro industriale della storia del Pakistan, i sopravvissuti e le famiglie delle vittime (tutti lavoratori di sub-fornitori di grandi marchi del tessile e dell’abbigliamento), dovrebbero finalmente ricevere altri 5,15 milioni di dollari di risarcimento dal distributore tedesco KiK. Lo segnala una nota della Campagna abiti Puliti. Il risarcimento giunge dopo mesi di negoziati e una campagna quadriennale che ha coinvolto la National Trade Union Federation (NTUF), l’organizzazione pakistana dei lavoratori PILER, IndustriALL Global Union (a cui NTUF è affiliata), la Clean Clothes Campaign (CCC) e altre alleanze tra cui UNI Global Union.

L’11 settembre del 2012, 255 lavoratori della fabbrica tessile Ali Enterprises erano morte a seguito di un incendio divampato nell’edificio le cui porte e finestre – ricordano i promotori della campagna – erano bloccate o sprangate. Altre persone sarebbero rimaste inferme dopo aver provato a salvarsi lanciandosi dai piani più alti.

Un accordo per risarcire le vittime

L’unico acquirente conosciuto della Ali Enterprises, la tedesca KiK, aveva pagato 1 milione di dollari nel dicembre 2012 dopo la firma di un Memorandum of Understanding (MoU) con la PILER. A seguito del medesimo accordo, l’azienda si era anche impegnata a finanziare il risarcimento di lungo termine per tutte le vittime.

L’accordo, nato dai negoziati tra il distributore tedesco con IndustriALL e Clean Clothes Campaign (CCC), con la facilitazione dell’International Labour Organization (ILO) e su richiesta del Ministro dello Sviluppo e della cooperazione economica tedesco, “ha lo scopo di integrare i pagamenti previsti per le vittime dal sistema di previdenza sociale pakistano al fine di raggiungere i livelli previsti dalla Convenzione ILO 121 (Employment Injury Benefits)” spiega la nota diffusa dalla Campagna. “Pagamenti aggiuntivi periodici dovrebbero iniziare nei primi mesi del 2017”.

 “È un giorno di tregua per i familiari delle vittime: le loro grida sono state ascoltate” ha dichiarato Saeeda Khatoon, vedova e vice presidente della Ali Enterprise Factory Fire Affectees Association che nel rogo aveva perso il suo unico figlio. “Sappiamo che i nostri cari non torneranno, ma possiamo sperare che questo tipo di tragedie non si ripeteranno in futuro. Il governo, i marchi e i proprietari delle fabbriche devono garantire sul serio gli standard di sicurezza ai lavoratori nelle fabbriche”.

Dubbi sulla certificazione

Secondo quanto riferito dalla Campagna Abiti Puliti, “solo poche settimane prima dell’incendio fatale, la Ali Enterpises aveva ricevuto la certificazione SA 8000 dalla società di revisione SAI (Social Accountability International) che aveva affidato l’incarico all’ente di certificazione italiano RINA: questo voleva dire che la fabbrica aveva presumibilmente soddisfatto gli standard internazionali in nove aree, compresa la salute e la sicurezza”. Secondo Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti e membro italiano della CCC, “la tragedia accaduta testimonia il fallimento di questi modelli di certificazione e solleva forti dubbi e preoccupazioni sulle tipologie di ispezione per la sicurezza realizzate in Pakistan così come sull’implementazione delle leggi sul lavoro e dei codici di sicurezza degli edifici. Solo processi che mettono al centro i lavoratori e sindacati liberamente scelti possono garantire adeguati livelli di monitoraggio e prevenzione nelle fabbriche”.