L’Alleanza degli asset manager per il clima riparte, ma al ribasso
Dopo dieci mesi di paralisi, l’Alleanza degli asset manager per il clima torna in attività, con ambizioni molto più modeste
C’era un tempo in cui nella finanza parlare di sostenibilità dava lustro, ma quel tempo è finito. Sepolto dagli strali dell’amministrazione di Donald Trump e, dall’altro lato dell’Oceano, di un’Unione europea che sacrifica il Green Deal per tutelare la competitività delle proprie industrie (in primis quelle della difesa). Così, quei pochi che ci credono davvero continuano a lavorare in quella direzione. Tutti gli altri, in modo più o meno plateale, si sfilano.
Semplificando molto, è per questo che l’Alleanza delle banche per il clima (Net Zero Banking Alliance) non è più un’alleanza, bensì un non meglio specificato “quadro di riferimento”. Quella delle assicurazioni (Net-Zero Insurance Alliance) ha dovuto chiudere e poi riaprire con un altro nome. Quella degli asset manager (Net Zero Asset Managers initiative) è rimasta ferma per buona parte del 2025 e, a fine ottobre, ha deciso di ripartire. Con ambizioni visibilmente ridimensionate.
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L’Alleanza degli asset manager per il clima e le sue traversie
L’Alleanza degli asset manager per il clima è una delle tante coalizioni settoriali con cui gli attori della finanza si impegnano (o meglio, si impegnavano) a contribuire all’azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050. Nel suo momento di massimo splendore contava oltre 325 firmatari, per un totale di 57mila miliardi di dollari di asset in gestione. Da allora, però, il clima politico è cambiato parecchio soprattutto negli Stati Uniti. A partire dal 2022, varie autorità statali guidate da repubblicani hanno iniziato ad agire per vie legali contro gli attori finanziari che integravano istanze ambientali, sociali e di governance (Esg) nelle proprie decisioni.
Quando Donald Trump ha stravinto le elezioni presidenziali, si è assistito a un fuggi fuggi generale dalle varie coalizioni per il net zero. Il 10 gennaio 2025 quella degli asset manager ha perso il suo nome di spicco, BlackRock. Vanguard, al secondo posto al mondo per volume di asset in gestione, se n’era già andato nel 2022. Alle prese con un colpo così duro per la propria credibilità, l’iniziativa ha deciso di fermarsi. Formalmente, per avviare un processo di revisione interna e capire qual era la strategia giusta per perseguire i propri obiettivi in un «nuovo contesto globale». Nei fatti, in molti si chiedevano se la coalizione avesse un futuro.
Cosa cambia per l’Alleanza degli asset manager per il clima
La risposta, pare, è sì. Ma con molti compromessi. Dopo dieci mesi di silenzio, il 29 ottobre l’Alleanza degli asset manager per il clima ha pubblicato una nota in cui si dice pronta a «iniziare un nuovo capitolo». I firmatari continuano a riconoscere l’importanza dell’obiettivo di contenere il riscaldamento globale «ben al di sotto» dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, facendo il possibile per restare entro gli 1,5 gradi, come sancito dall’Accordo di Parigi. Dunque, promettono di supportare gli investimenti per la decarbonizzazione. Con un enorme “ma”: scompare il riferimento temporale al 2050.
Questo perché, spiega la nota, la loro possibilità di mettere in pratica gli impegni previsti «dipende da un’ampia gamma di fattori, tra cui i clienti, le politiche e le normative adottate dai governi e da altri attori». In altre parole, i membri continueranno a fissare i propri obiettivi individualmente, a mettere in atto le proprie strategie e a riferire ogni anno i progressi. Ma senza più orientarsi verso un traguardo comune, messo nero su bianco.
La reazione degli asset manager e quella delle Ong
Questo è l’approccio, ben più morbido, con cui l’Alleanza degli asset manager per il clima intende riavviare le proprie attività a partire dall’inizio del 2026. Fino ad allora, i membri avranno tempo per valutare i cambiamenti e capire il da farsi. Solo a quel punto la lista delle adesioni ricomparirà nel sito ufficiale dell’iniziativa, dove manca da gennaio. State Street, l’unico rimasto dei primi tre asset manager globali, ha già fatto sapere che continuerà a partecipare ma soltanto con la propria divisione britannica e con quella europea. Non più con quella statunitense.
Intanto, da parte delle organizzazioni non governative, la reazione è a dir poco tiepida. Christophe Etienne, ricercatore di Reclaim Finance, si dice tutt’altro che sorpreso, perché «l’impegno iniziale era già estremamente debole e non vincolante. Questo sviluppo conferma il disimpegno del settore finanziario e l’indebolimento delle alleanze per il net zero». Parla inoltre di «una cattiva notizia per gli asset owner, in particolare per i fondi pensione, che dovranno raddoppiare gli sforzi per individuare gestori patrimoniali realmente seri riguardo al proprio dovere fiduciario – ossia capaci di tenere concretamente conto dei rischi climatici – e che restano coerenti con i propri impegni anche quando i venti politici si fanno contrari».




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