Altro che diminuire, all’ex Ilva le emissioni inquinanti stanno aumentando
Gli inquinanti più pericolosi e cancerogeni sono aumentati con punte dal 32% al 173%. La promessa di Di Maio di un calo del 20% è carta straccia
All’Ilva di Taranto «abbiamo installato tecnologie che riducono del 20% le emissioni nocive». Una prospettiva allettante quella presentata dal ministro dello Sviluppo economico, del Lavoro e delle Politiche sociali, Luigi Di Maio. L’aveva dichiarata in un video su Facebook, l’8 settembre scorso, elencando tutti i successi degli 11 anni del Movimento cinque stelle.
Peccato che la realtà sia ben diversa. Dal primo novembre 2018, quando l’acciaieria più grande di Europa è passata alla gestione di Arcelor Mittal, ad oggi, le emissioni inquinanti a Taranto non sono affatto diminuite. Anzi, sono aumentate con punte di incremento, all’interno dello stabilimento, che vanno dal 32% al 173% per gli inquinanti più pericolosi e cancerogeni, come benzene e idrocarburi policiclici aromatici (IPA).
Di Maio: “Abbiamo risolto la crisi Ilva”
La denuncia parte ancora una volta dall’associazione Peacelink, che già nei mesi scorsi, come riportato da Valori.it aveva previsto quello che sarebbe poi successo: all’aumento della produzione, senza definitivi interventi sugli impianti, la quantità di fumi nocivi sarebbe anch’essa aumentata. E così è stato.
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«Abbiamo voluto verificare se l’affermazione del ministro Di Maio dell’8 settembre scorso, che le emissioni sarebbero diminuite del 20%, corrispondesse alla realtà», ha dichiarato a Valori Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink.
Purtroppo, per i lavoratori e i cittadini tarantini non è così :«Tutti i dati dell’Arpa da noi elaborati con il software Omniscope, sostanzialmente, dimostrano che c’è una tendenza al peggioramento – continua Alessandro Marescotti – Il governo ha affermato una cosa che non corrisponde a verità. D’ora in poi, chi dice che la situazione nell’ex Ilva è migliorata, sa di dire il falso».
A confermare queste affermazioni anche la relazione di Arpa Puglia che riporta e compara i dati ambientali ufficiali rielaborati dal dossier di Peacelink con quelli effettuati dalla stessa agenzia.
Secondo l’ente di controllo, comparando i mesi di gennaio e febbraio 2019 con il medesimo periodo del 2018, si evidenziano incrementi delle emissioni dal 32% per il benzene al 173% per gli IPA, fino al 140% per l’idrogeno solforato (H2S).
I danni per la salute
Una situazione non trascurabile, con notevoli ripercussioni sulla salute degli abitanti. Come si legge nel documento dell’Arpa Puglia: «l’Agenzia ha più volte puntualizzato come risulti, tuttora, rilevante il contributo delle emissioni di inquinanti da parte dell’impianto siderurgico nelle concentrazioni rilevate nei quartieri limitrofi all’area industriale. In particolare, durante i cosiddetti “wind-days”. E come il rispetto dei limiti normativi europei della qualità dell’aria, nelle stesse zone, non garantisca in nessun modo l’assenza di effetti lesivi sulla popolazione».
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Intanto, sulla questione, sono intervenuti sia il presidente Michele Emiliano che l’assessore all’ambiente Gianni Stea, annunciando che «la Regione Puglia non può più tollerare tale situazione e chiederà un riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale e la riduzione dell’attività produttiva”, invitando il governo a “prenderne atto e mettere in campo ogni iniziativa possibile a riportare nei limiti stabiliti e di sicurezza la quantità di tali inquinanti».Nessun intervento sostanziale per ridurre le emissioni
Ma quali sono i motivi per cui sostanzialmente, al di là dei proclami, nulla è cambiato? La risposta si legge nero su bianco nella stessa relazione dell’Arpa Puglia. Stando all’ente di controllo ambientale«la Cokeria resta un impianto di particolare criticità del ciclo siderurgico integrale a Taranto, in quanto sorgente emissiva di inquinanti dannosi e cancerogeni, (in particolare: benzene e idrocarburi policiclici aromatici) e non oggetto di adeguamenti sostanziali”, si legge nella relazione.
E intanto Arcelor Mittal mette le mani avanti e dichiara che «lo stabilimento di Taranto è strettamente controllato secondo i più alti standard disponibili e dotato di tutti i sistemi di monitoraggio delle emissioni prescritti dalla Autorizzazione Integrata Ambientale e dal DPCM 29.09.2017, riferiti alle diverse matrici ambientali (aria, acque, rifiuti, suolo, etc.). L’azienda conferma di essere pienamente conforme a tutte le regole imposte dall’AIA».
Ma Arcelor Mittal è intoccabile
Arcelor Mittal gode dell’immunità penale e di norme ambientali che valgono solo per l’acciaieria di Taranto, costruite ad hoc con 12 decreti Salva Ilva e ratificati, appunto, dall’ultima AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) del 2017. Dentro l’area dello stabilimento, infatti, i valori delle emissioni, in quanto insediamento industriale, possono non sottostare a quanto vale, ad esempio, per tutto il resto della città.
Niente emergenza, ma chiudiamo le scuole
Il risultato? In attesa di ulteriori accertamenti di Arpa, Ispra e del Ministero dell’Ambiente (che si sono riuniti d’urgenza in prefettura a Taranto il 6 marzo scorso, per poi minimizzare la situazione e affermare che «non c’è una nuova emergenza ambientale»).
Il sindaco Melucci ha, però, emesso due ordinanze per impedire la frequenza ai bambini delle due scuole del quartiere Tamburi per 30 giorni. Sono troppo vicine alle collinette colme di veleni, sequestrate a febbraio dalla Procura di Taranto per inquinamento ambientale.
E Angelo Bonelli e Vincenzo Fornaro, rispettivamente coordinatore esecutivo nazionale dei Verdi e consigliere comunale di Taranto Respira ecologisti, Pec e Dema, denunciano l’aumento delle diossine nei terreni delle masserie intorno al Sito di Interesse Nazionale, fino a un’area di almeno 20 Km: «Secondo i dati Arpa Puglia nella masseria del Carmine dall’anno scorso il valore della diossina è aumentato del 916%».
Le promesse del ministro dell’Ambiente
Ora tutti i nodi da sciogliere tornano al ministero dell’Ambiente. Ed è il ministro Sergio Costa stesso a rispondere, sui Social, facendo sapere che il grido di Taranto non cade nel vuoto. «Abbiamo ottenuto, dopo nottate di contrattazioni, che con l’aumento delle produzioni le emissioni devono rimanere le medesime – ha scritto il ministro – Insieme con il Mise stiamo lavorando alla norma contro l’immunità e ci siamo quasi».
Ma se è vero che, come ha dichiarato il ministro, «i cittadini vanno sempre ascoltati, perché sono loro le sentinelle del territorio», il conflitto sui valori delle emissioni del polo industriale ha scatenato l’insofferenza della popolazione tarantina, che continua la protesta davanti alla Prefettura e in Comune.
Lo scorso 25 febbraio si è tenuta una fiaccolata con oltre 5000 persone in memoria dei bambini morti di cancro.
Lo dice il rapporto Sentieri dell’Istituto Superiore di Sanità: bambini nati a Taranto hanno il 54% in più di probabilità di ammalarsi di cancro rispetto agli altri bambini della regione.
Nelle aule di tribunale
Intanto, la battaglia per la giustizia ambientale e la tutela della salute va avanti anche nelle aule di tribunale nazionali e internazionali. Il Giudice per le indagini preliminari, Benedetto Ruberto, ha rinviato alla Consulta la richiesta di incostituzionalità sull’immunità penale per i gestori e i commissari straordinari. Si raccolgono le firme per un nuovo esposto alla Procura di Taranto, questa volta contro Arcelor Mittal.
Mentre a Strasburgo la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, lo scorso 24 gennaio ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 8 e dell’art. 13 della Convenzione, in quanto il nostro Paese non ha adottato «tutte le misure necessarie per proteggere efficacemente il diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti». Riconoscendo, così, il doppio ricorso di 181 cittadini tarantini, guidati da Daniela Spera e Lina Ambrogi Melle e che «il persistente inquinamento causato dalle emissioni dell’Ilva ha messo in pericolo la salute dell’intera popolazione che vive nell’area a rischio».
Argomento passato sotto silenzio nella cronaca politica nazionale, sollevato da due interrogazioni parlamentari di M5S e Forza Italia, per cui il governo italiano ha tempo ancora un mese per poter ricorrere alla Gran Camera.