Amianto, un’italica storia di ritardi. Da 2 miliardi di danni (ogni anno)
A 26 anni dalla legge che l'ha messo al bando, l'amianto ancora imperversa. Mancano mappature precise e le bonifiche vanno a passo di lumaca
Sull’amianto l’Italia è ancora all’Anno zero. Sono oltre 370mila i siti contaminati ancora da bonificare in Italia, secondo le stime di Legambiente. E pensare che sono passati 26 anni da quando la legge 257/1992 ha messo al bando l’amianto in Italia.
E per colpa di incuria, indolenza e lentezze italiche ci si continua ad ammalare e a morire: dal 2003 al 2014, in tutta la penisola, sono state colpite dal mesotelioma pleurico, il micidiale tumore maligno causato dall’asbesto, ben 13mila persone, secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità.
Costi esorbitanti per previdenza, bonifiche e cure
Stime ufficiose calcolano, complessivamente, dai 3000 ai 5000 decessi l’anno a causa delle malattie asbesto-correlate, legate cioè all’esposizione lavorativa, ambientale o accidentale con le fibre del minerale. Pericolosissime perché – è bene ricordarlo – 1500 volte più sottili di un capello. Se inalate, si possono quindi conficcare nei nostri organi interni, con tempi di incubazione delle patologie molto lunghi: almeno 20 anni.
«Perdite di vite umane a cui si sommano 2 miliardi di euro ogni anno per previdenza, bonifiche, cure. È ora di puntare sulla prevenzione spendendo una parte di questi soldi, oggi, per evitare di spenderne molti di più domani» sottolinea a Valori Alberto Zolezzi, pneumologo e deputato 5 stelle nelle commissioni Ambiente ed Ecomafie.
«È necessaria una mappatura seria ed efficace, ad oggi mezza Italia non l’ha ancora realizzata e la restante parte usa metodi imprecisi», ha ribadito il parlamentare durante il suo intervento al convegno “Mappatura amianto – la soluzione”, organizzato alla Camera dei deputati dall’associazione no profit Sportello Amianto Nazionale.
«Su 40 milioni di tonnellate di amianto stimato ancora presente nel nostro Paese – ricorda Zolezzi – solo 400mila tonnellate vengono rimosse ogni anno, 250mila finiscono all’estero in discariche di superficie o in discariche abusive nazionali, per la gioia delle mafie: anche per questo non possiamo metterci altri cento anni a bonificare e mettere in sicurezza».
Il grave ritardo nel censimento dei siti contaminati
Intanto, come riporta il rapporto Liberi dall’amianto 2018 di Legambiente, il censimento delle istituzioni dei siti contaminati in tutta Italia, tra edifici pubblici, come scuole, ospedali e caserme, privati e industriali, è in enorme ritardo. Dati parziali, forniti dalle stesse regioni parlano di 370mila siti. Ma le cifre sono sicuramente sottostimate, perché all’appello mancano, ad esempio, quasi completamente, i dati di Basilicata, Sicilia, Liguria e quelli pubblicati sono parziali e incompleti.
Di questi, solo 86mila sono stati verificati dal Ministero dell’Ambiente, che ammette il fallimento, a oggi, del proprio ruolo di coordinamento e controllo «la Banca Dati Amianto non consente una copertura omogenea del territorio nazionale».
Tutto ciò nonostante la legge 257 del 1992 richiedesse già la georeferenziazione dei luoghi e di catalogare i siti in base alla gravità di contaminazione, per poter effettuare le bonifiche secondo precise priorità. A partire dalle scuole, ad esempio. Ma poco o nulla è stato fatto: Casale Monferrato, là dove c’era il più grande stabilimento d’Europa di Eternit, sarà la prima città d’Italia a essere libera dall’amianto entro il 2020. Nel resto del Bel Paese invece bonifiche e messa in sicurezza vanno a rilento.
Ancora tutti da bonificare i grandi siti
Ad oggi gli altri siti di interesse nazionale sono ancora tutti da bonificare:
- Broni dove esisteva la Fibronit,
- Priolo con Eternit Siciliana (SR),
- Balangero (TO) la più grande cava d’amianto d’Europa,
- Napoli con l’Eternit di Bagnoli,
- Tito (PO) con l’ ex Liquichimica,
- Bari dove l’area Fibronit è in corso di bonifica,
- Biancavilla (CT)
- le Cave di Pietra di Emarese (AO).
E ad essi si aggiungono i petrolchimici, le centrali elettriche, i cantieri navali, le caserme. Da Palermo, passando per Turbigo, La Spezia, Taranto e Bologna. Alcune officine altamente contaminate come la ex Isochimica di Avellino, neppure appaiono nelle mappature ufficiali.
Se ministero, regioni, Arpa, ASL, Inail, non riescono ancora a coordinarsi tra loro, ci pensa la società civile in collaborazione con aziende private a lanciare il guanto di sfida e dimostrare che uniformare, mappare e individuare celermente i siti contaminati, a partire dalle scuole, si può.
«È assurdo che nel 2018 non si riesca ad avere una mappatura chiara e univoca dei dati riguardanti la presenza di amianto nel nostro Paese» commenta a Valori, Fabrizio Protti, presidente di Sportello Amianto Nazionale. «Per questo abbiamo messo insieme tre software house che già collaborano con lo Stato e Comuni, e inviato una serie di richieste di accesso civico generalizzato a tutti gli enti pubblici, mappando e andando a verificare in loco i dati ricevuti».
E molti enti non rispondono alle richieste di accesso agli atti
Nonostante il decreto trasparenza e il Freedom Information Act siano in vigore nel nostro Paese dal 2016, molti enti non hanno risposto.
Su 450 Aziende Sanitarie Locali solo 12 hanno fornito i dati richiesti. Non è andata meglio con le regioni: solo 8 hanno pubblicato i dati di censimento a oggi.
«Dati parziali, obsoleti, spesso non fruibili e in capo a enti diversi. Il quadro che ne emerge è quello di un sistema che pare non voler far emergere la piena conoscenza sul tema», commenta Protti.
Impianti di smaltimento insufficienti
La mancanza di trasparenza, ad oggi, un effetto indubbio ce l’ha avuto: ha favorito, spesso, il crimine d’impresa e le ecomafie.
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Soprattutto perché sono assolutamente insufficienti gli impianti di smaltimento presenti e previsti sul nostro territorio: le regioni dotate di almeno un impianto specifico per l’amianto sono solamente otto. Impianti spesso gestiti dai privati e avversati dai cittadini, anche perché, come la discarica di Via Brocchi a Brescia, posti più volte sotto sequestro per la mancanza dei requisiti di sicurezza. L’unico sotto controllo pubblico è quello di Casale Monferrato.
«Incentivare allo smaltimento, senza aver luoghi certi di conferimento, può alimentare la dispersione nell’ambiente». L’appello alle istituzioni centrali arriva da Laura D’Aprile, responsabile del comparto bonifiche e amianto di Roma Capitale: «Aiutateci a trovare gli strumenti per poter intervenire: di tipo finanziario e di tipo tecnico per evitare che finiscano sulla strada».
Chissà se nella prossima legge finanziaria, tra condoni fiscali ed edilizi, qualche “manina” provvederà, almeno in parte, a rifinanziare il Piano Nazionale Amianto che già aveva tentato di risolvere sin dal 2013, tutte le problematiche emerse in questi anni ed è rimasto, ad oggi, lettera morta.