Bratti: «Vigilare sull’ambiente fa guadagnare milioni di euro»

Il direttore generale dell'Ispra: le differenze tra regioni nei controlli creano un dumping industriale che fa aprire imprese sporche dove ci sono meno verifiche

Più sicurezza sì, ma intesa come maggior vigilanza sullo stato dell’ambiente e sul cambiamento climatico, anche con una una migliore gestione del sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra. E in Italia contro gli ecoreati si potrebbe fare di più e meglio. A partire da controlli ambientali omogenei in tutta la penisola, contro l’impunità del cosiddetto “crimine d’impresa”.

Un dato, tra i tanti snocciolati dall’ultimo rapporto Ecomafia di Legambiente: a soli due anni dall’entrata in vigore della legge contro gli ecoreati, la 68/2015, oltre 3 milioni di euro sono entrati nelle casse delle Stato. Sanzioni pagate dalle aziende che hanno ottemperato alle prescrizioni ambientali (cioè hanno “riparato” economicamente le violazioni delle norme ambientali), grazie ai controlli delle Agenzie Regionali per l’Ambiente, coordinate da Ispra, l’Istituto Superiore per la protezione e ricerca ambientale, nel nuovo Sistema Nazionale di Protezione Ambientale (SNPA), diretto, da dicembre dell’anno scorso, da Alessandro Bratti.

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Una fase cruciale per la tutela ambientale

Ed è proprio in questa fase di rivoluzione che si innesta il ruolo operativo di  Bratti, che, da parlamentare, aveva presieduto, nella scorsa legislatura, gli intensi lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, la cosiddetta commissione contro le ecomafie.

Già docente universitario, ex direttore di Arpa Emilia Romagna, classe 1958, oggi, nel ruolo tecnico di direttore di Ispra, il più importante ente di ricerca ambientale italiano, Bratti si ritrova a dover mettere in pratica la riforma delle agenzie per l’ambiente in Italia. Un obbligo dettato dalla legge 132 del 2016, che lui stesso ha contribuito a stilare.

Con lui abbiamo messo al setaccio luci e ombre dell’attuale sistema. Quello dell’ambiente gestito in ambito regionale, e delle modifiche apportate alla legge 152/2006, che riporta ad Ispra un ruolo centrale di coordinamento nazionale. Ente pubblico, ricordiamo, che ha una natura giuridica unica in ambito nazionale ed europeo: ricerca da un lato, ma al contempo l’unico che ha compiti di natura autorizzativa e istituzionali. Come la raccolta e il monitoraggio dei dati ambientali, i controlli, la produzione di rapporti (come quelli sui rifiuti urbani e speciali) il dissesto idrogeologico, l’annuario sullo stato dell’ambiente.

Dott. Bratti, in base alla legge 68 contro gli ecoreati e alla legge di riforma del sistema delle agenzie regionali per l’ambiente, qual è il nuovo ruolo di Ispra e del Sistema nazionale di Protezione Ambientale (SNPA)?

Oggi il ruolo del SNPA è quello di partner tecnico delle procure, quando vengono contestati i reati di inquinamento e disastro ambientali che hanno bisogno di verifiche tecniche ben precise.

La collaborazione con le procure prosegue, sia sulla parte di verifica dei reati ambientali, sia su quella di prescrizione (intesa come applicazione delle norme, ndr) dei delitti ambientali cosiddetti minori, che comportano una sanzione. In questo modo abbiamo recuperato oltre 3 milioni di euro. Però ad oggi non è chiaro dove vadano a finire questi soldi. Noi abbiamo chiesto che non finiscano in un fondo generico ma in un fondo per l’ambiente che serva a rafforzare la lotta agli ecoreati. Quindi alle stesse agenzie ambientali, e la parte dei controlli ambientali in tutta la penisola.

I controlli ambientali sono uguali in tutte le regioni?

Come nei dati riportati dal rapporto Ecomafia, ci sono differenze regionali evidenti. Nel 2017 in Emilia Romagna, solo gli operatori del SNPA hanno notificato 81 notizie di reato per i nuovi delitti ambientali configurati dalla legge 68/2015. In Sicilia 15. Nelle altre regioni non ci sono praticamente dati. Sono numeri che vanno spiegati però: l’Emilia Romagna ha un protocollo avviato con le procure di tutta la regione, un regolamento adottato recentemente anche in Lombardia. Le comunicazioni di reato vengono fatte direttamente dagli agenti e ufficiali di polizia giudiziaria delle ARPA. Nelle altre regioni, in molti casi il reato, anche se rilevato da ARPA, viene contestato da NOE o dalla Guardia di Finanza.

Questo vuol dire che l’applicazione della legge e la sua comunicazione di reato all’autorità giudiziaria avviene in modalità diversa regione per regione. Quello che ci piacerebbe che ci fossero delle indicazioni omogenee a livello nazionale o almeno a livello regionale.

Queste differenze possono favorire le ecomafie?

Ho sempre detto che la malavita organizzata è interessata ai rifiuti. Ma che il reato ambientale sia solo ascrivibile alle mafie non è corretto, a mio avviso. C’è un chiaro problema di crimine d’impresa. Occorre capire quali sono le imprese che utilizzano il non rispetto della norma per fare business e quelle che sono “costrette” da una norma complicata a sforare i limiti. Ma per inquadrare il fenomeno non bastano i numeri e allo stato attuale non è possibile fare controlli a tappeto. Il ministro Costa ha annunciato il “Daspo ambientale” (cioè allontanamento delle imprese che inquinano un territorio dallo stesso, ndr).

Occorre, ad esempio, poter accedere alle banche dati e a incrociarle tra loro. Abbiamo quelle di tipo ambientale, dove ci sono le autorizzazioni per le imprese detenute da Arpa, Province, Regioni. Poi i dati sulla natura giuridica e fiscale, detenuti dalla Camera di Commercio. E poi quella più delicata della polizia, dove sono contenuti i nominativi di chi ha commesso dei reati.

Come SNPA possiamo e dobbiamo denunciare la pericolosità dell’impianto di uno piuttosto di un altro. Ma noi non sappiamo chi gestisce esattamente quella società. Possiamo avere impianti tecnicamente perfetti e funzionanti ma che, gestiti da disonesti, possono diventare bombe ecologiche.

Che cosa vi manca?

Oggi abbiamo sistemi di controllo con i droni, l’utilizzo dei satelliti, molto più sofisticati rispetto al passato. Possiamo capire dall’alto anche quante tonnellate di rifiuti un deposito ha stivato rispetto all’autorizzato. Ma, ricordo, quella dei controlli è solo una parte del lavoro dell’Istituto Superiore per l’Ambiente. La nuova legge 132/2016 dice che esiste un sistema in cui Ispra coordina le agenzie: rispetto agli obblighi dell’articolo 3 che ne stabilisce le funzioni, occorre che ci siano delle linee guida tecniche per tutta Italia. Ad oggi, a parità di normativa, lo stesso tipo di impianto, in Emilia è controllato in un modo, in Basilicata in un altro.

Ciò genera due tipi di problemi: una sorta di “dumping industriale”: per cui chi lo sa (e le imprese lo sanno) apre l’impianto dove ci sono meno controlli e con costi produttivi più bassi, arrivando ad una sorta di concorrenza sleale.

Poi, c’è un tema di legittimità costituzionale. Il cittadino che abita in Basilicata deve poter esercitare il diritto e il proprio godimento dei diritti ambientali esattamente come il cittadino emiliano o lombardo. Questa è la sfida che abbiamo davanti.

FONTE: Rapporto Ecomafia 2018

Cosa possiamo fare, quindi?

Nonostante anche in ambito sanitario si siano definiti i LEAS, i livelli essenziali di assistenza sanitaria, e quindi, in teoria, il cittadino dovrebbe essere trattato dalla Lombardia alla Calabria allo stesso modo, sappiamo che così non è.

Così non è anche dal punto di vista ambientale, dove abbiamo gap tra una regione e l’altra molto forti. Oggetto dei decreti attuativi della legge 132/2016 saranno i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali” (LEPTA), che dovranno essere rispettati da tutte le regioni. Abbiamo individuato 96 azioni. Ad esempio il monitoraggio della qualità dell’aria con centraline certificate. Anche questa operazione non viene compiuta con le medesime modalità da un’agenzia regionale per l’ambiente all’altra. E neppure con i medesimi costi, visto che alcune agenzie svolgono più attività, altre meno.

La legge dice che i livelli essenziali ambientali devono essere realizzati a costo zero. E questo è un altro problema, bisognerà attuare una sussidiarietà del sistema. La rete nazione per la protezione ambientale in Italia poggia su quattro nodi: Arpa, Ispra, Regioni e Stato. Non c’è una strutturazione gerarchica, ma una rete, che funziona se tutti tirano dalla stessa parte.

Il lavoro di Ispra e del SNPA ha ricadute anche a livello europeo e internazionale. Pensiamo al mercato delle quote di emissione di gas a effetto serra, le “EU emissions trading system” (EU ETS).

Ispra è il detentore ufficiale del Registro italiano delle emissioni e delle quote di emissioni. Le modalità con cui queste quote transitano e vengono vendute tra un paese e un altro, necessitano di controllo più stringenti, perché abbiamo verificato che ci sono discrepanze di diversi miliardi di euro nelle compravendite.

C’è quindi la necessità di rinforzare gli aspetti di controllo di carattere finanziario. Perché noi abbiamo la conoscenza del dato ambientale, tecnico, del registro. Possiamo intuire se ci sono situazioni poco chiare, ma non abbiamo la competenza sul dato economico, per cui abbiamo bisogno di esperti. Da qui la collaborazione ad esempio con la Guardia di Finanza per fare queste verifiche, partendo proprio dal registro.

Plastica e rifiuti sono tra i temi più urgenti e sempre all’ordine del giorno dell’agenda ambientale europea e nazionale. Ad oggi cosa ha fatto e cosa può fare Ispra e il SNPA.

Ispra, da tempo immemore, compie ricerche sulla plastica e soprattutto sulla plastica in mare. Abbiamo la nostra Strategia marina, figlia della Marine Strategy europea, e abbiamo monitorato la presenza delle plastiche e delle microplastiche lungo le nostre coste e in mare.

Ma ad oggi questi dati, da noi prodotti, non sono ancora stati resi noti dal Ministero dell’Ambiente. Certo, ora si sta lavorando di concerto con il ministero sulla questione recepimento della direttiva plastiche e c’è un cambio passo.

Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani, l’attuazione della direttiva sulla Circular Economy ci riporta alla responsabilità estesa del produttore e si sta lavorando alle modifiche legislative necessarie.

Dentro questo quadro ci sono decisioni che appartengono alla sfera politica e al Ministero dell’Ambiente e poi ci sono altre situazioni di natura tecnica che riguardano anche Ispra.

Nell’architettura normativa attuale, ci sono vari soggetti: dallo stesso ministero dell’Ambiente, CONAI e i consorzi di filiera che sono soggetti al controllo del ministero, anche per la parte bilanci, attività. Non si sa però ancora, quanto la nuova Autority sui rifiuti (Arera) estenda la sua attività di controllo, se prima che il rifiuto che entri nell’impianto o quando ne esce. Non è una cosa da poco.

Come Ispra e Snpa abbiamo una carenza di controlli sul campo, attualmente i dati sulla raccolta dei rifiuti arrivano dai consorzi. Ricordo che il riconoscimento di un nuovo consorzio per la raccolta e il riciclo in passato era deciso da CONAI. Oggi sono Ispra e Ministero dell’Ambiente che decidono la loro ammissione nel sistema e chi possa godere del contributo ambientale. Bisogna chiarire bene, chi fa che cosa.

Oltre 300 ncendi negli impianti di gestione dei rifiuti che continuano a susseguirsi in tutta Italia, cosa può fare SNPA?

Il tema degli incendi sia dolosi che colposi è legato nella stragrande maggioranza ai gestori delle piattaforme di selezione e al controllo dei rifiuti. Il ministro Costa ha annunciato che i siti di stoccaggio sono siti sensibili e come tali dovranno essere sottoposti a vigilanza.

Ma, a mio modesto avviso, o si fa in modo che il prodotto riciclato abbia un mercato certo e non sia costretto a giacere nelle piattaforme in modo improprio, come è successo per la plastica, dopo la chiusura del mercato cinese, oppure il problema è irrisolvibile.