Argentina alle urne per certificare il fallimento di Macri

L'esito del voto sembra scontato: l'attuale presidente liberista nella polvere, il duo Fernandez-Kirchner sugli altari. Ma il futuro appare comunque fosco

Alfredo Somoza
Alfredo Somoza
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Quando il liberale Mauricio Macri vinse a sorpresa le presidenziali del 2015 contro il peronista Daniel Scioli, la situazione economica dell’Argentina non era certo florida. L’inflazione toccava il 30% annuo, un terzo dei cittadini viveva in povertà ed era stato introdotto un rapporto falsato tra il peso e il dollaro USA. L’economia era ferma per via della mancanza di fiducia degli investitori stranieri nel Paese, governato dal 2003 dai peronisti Néstor e Cristina Kirchner.

Macri, un bilancio impietoso

L’ingegner Macri, figlio di un imprenditore edile italiano, riuscì a far digerire agli argentini una ricetta ormai antica, con qualche tocco di novità: liberalizzazioni, apertura ai mercati internazionali, incentivi agli investimenti produttivi, promesse di eliminazione della povertà e dell’inflazione, rinnovamento delle infrastrutture, lotta alla corruzione.

A fine mandato il bilancio è però impietoso. Macri ha mancato quasi tutti gli obiettivi, portando l’Argentina in una situazione peggiore di quella ereditata. Nel 2019 l’inflazione è calcolata al 57% annuo, la terza più elevata del mondo. La povertà è cresciuta e riguarda ormai il 32% della popolazione. Intanto il peso si è fortemente svalutato nel cambio con il dollaro e sull’Argentina è tornato ad aleggiare un fantasma ricorrente nella sua storia: quello del default, anche se al momento solo “selettivo”.

Un oceano di debiti

Per far fronte ai bisogni di cassa, già dal 2015 lo Stato argentino ha ricominciato a emettere bond accumulando un debito pubblico che a giugno valeva 337 miliardi di dollari, pari all’86% del PIL, contro il 53% registrato alla fine del mandato di Cristina Kirchner.

Sul fronte della produzione e del reddito la situazione non è migliorata: negli ultimi 5 anni i settori trainanti dell’economia (edilizia, commercio e industria) hanno subito un calo del 40%, mentre il potere d’acquisto dei salari è sceso del 20%.

Il debito argentino negli ultimi 25 anni. Fonte: CEIC Data https://www.ceicdata.com/en/argentina/public-debt/public-debt

Cristina nell’ombra

Mauricio Macri si ricandida con questo fardello, e infatti si pronostica la sua sconfitta al primo turno contro Alberto Fernández. Questi, se eletto, porterà con sé come vicepresidente Cristina Fernández Kirchner, della quale fu capo di Gabinetto fino al 2008. La vedova Kirchner, che guidò in prima persona il Paese dal 2007 al 2015, sta provando a far passare sotto traccia la sua presenza nel futuro governo. Consapevole di dover scontare un’immagine pubblica non proprio felice, e di essere uno dei personaggi più divisivi della politica argentina, si è sapientemente schermata dietro un moderato, Alberto Fernández appunto, che è riuscito a coagulare il voto peronista e di protesta.

Misure economiche a confronto

Sulle idee economiche i due candidati sono lontanissimi a parole, molto meno nei fatti. Macri ha una cultura liberale mentre Alberto Fernández è su posizioni stataliste e dirigiste, tuttavia quando Macri si è trovato a gestire l’impianto del welfare e il ruolo dello Stato modellati dai suoi predecessori non ha prodotto grandi scossoni.

La sua unica misura realmente impopolare sono stati i tagli alle sovvenzioni dei servizi pubblici che, senza contributi statali, sono aumentati anche del 200%. Macri non ha promosso però riforme radicali di taglio neoliberale come quelle che, paradossalmente, promulgò negli anni ’90 il peronista Carlos Menem, all’epoca sostenuto anche dai Kichner.

L’esito della sfida tra Macri e Alberto Fernández sembra ormai scontato, ma in Argentina bisogna sempre lasciare un margine di dubbio.

Se il candidato peronista non vincerà al primo turno, le cose si potrebbero complicare. In sottofondo c’è una situazione economica molto compromessa e la povertà che dilaga. È il movimento eterno del pendolo dell’economia argentina, che oscilla tra alti e bassi: un Paese che non è mai stato normale.