Una storia di lavoratori che tutelano il proprio lavoro: Art Lining
L'Art Lining era un'azienda di interni per cravatte destinata al fallimento. È diventata una delle prime cooperative workers buyout d'Italia
La storia dal futuro di oggi parla di un’azienda destinata al fallimento, che però è riuscita a salvarsi dalla mannaia della crisi del 2008 grazie alle sue lavoratrici e lavoratori: è la storia di Art Lining, una società cooperativa di Sant’Ilario d’Enza, in provincia di Reggio Emilia.
Un’azienda destinata al fallimento
Alla Art Lining ci si dedicava a una produzione molto particolare: interni per le cravatte dei grandi brand di lusso. Articoli dunque particolarmente ricercati e, pertanto, particolarmente esposti ai turbamenti del mercato. All’alba del 2008, con l’arrivo della crisi economica, la storia di Art Lining sembrava giunta al suo epilogo. Me lo ha raccontato Stefania Ghidoni, attuale presidente di quella che, nel frattempo, è diventata una società cooperativa. «Non che prima del 2008 andasse tutto benissimo», ricorda. «C’erano già stati problemi di gestione, nel frattempo i mercati stavano cambiando ed eravamo invasi di prodotti concorrenti a basso costo. L’attività nonostante ciò aveva la sua nicchia di mercato. È stato quello il punto di partenza della nostra evoluzione».
Ma andiamo con ordine. A luglio 2008 il curatore fallimentare informa lavoratrici e lavoratori che l’azienda chiuderà di lì a poco, falciata dalla crisi economica. «Il curatore fallimentare provò a proporre ad altri imprenditori di acquistare, ma la situazione finanziaria era quella che era e non ci fu interesse».

La nascita della cooperativa workers buyout
«Non avevamo alcuna esperienza imprenditoriale. Eravamo addetti alla produzione o lavoravamo negli uffici, avevamo solo le nostre competenze anche decennali. Non avevamo assolutamente idea di quello che sarebbe stato il nostro futuro», racconta Stefania. Fu proprio il curatore fallimentare a lanciare l’idea di creare una cooperativa workers buyout, di quelle cioè in cui lavoratrici e lavoratori rilevano l’azienda in cui sono occupati, impedendone la chiusura. «Fu lui – prosegue – a metterci in contatto con Legacoop, che ci guidò nel processo. Hanno sviluppato un progetto, individuato una figura che ci ha formati nel giro di qualche mese con un’attività di esercizio provvisorio, fino a che non abbiamo rilevato la produzione con un affitto di ramo d’azienda».
La nuova avventura di Art Lining non nasce proprio sotto una buona stella. Siamo tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 mentre in tutto il mondo pesano le macerie di un sistema economico che sembra collassato su sé stesso. La produzione particolare cui si dedicava non era di certo un elemento facilitante.
Il progetto prevedeva una riorganizzazione complessiva dell’azienda. «Analizzammo le problematiche della precedente gestione e cercammo soluzioni per non ripetere quel percorso». «I primi momenti – racconta Stefania – sono stati complicati. C’era grande entusiasmo, i clienti erano contenti ma dovevamo testare la nostra capacità di reggere il progetto. E loro con noi».
Cambiare pelle per rispondere ai cambiamenti di mercato
«Eravamo tutti in cassa integrazione: la sfida era superare quella fase con un rilancio sul mercato. Ci mettemmo a tavolino: la prima decisione da prendere era cosa volevamo essere. Cambiammo pelle, almeno in parte. Siamo rinati come un’azienda che non fa solo forniture di interni per cravatte, ma fornisce servizi». Ho chiesto a Stefania un esempio. «I brand con cui abbiamo relazioni decennali si fidano di noi, delle nostre competenze, e noi le mettiamo a disposizione. Il più delle volte una casa di moda sceglie il tipo di interno per le sue cravatte su nostra consulenza: composizione, peso del tessuto, modello. A quel punto delega la produzione ai suoi confezionisti: effettua un ordine e noi gestiamo la logistica di tempi e modalità di consegna su richiesta, in modo che sia in linea con i tempi di produzione delle cravatte».
Dal 2014, in collaborazione con un brand specifico, Art Lining si dedica anche allo studio dei tessuti in ottica di sostenibilità: «Siamo stati i primi certificati “GOTS” come fornitori di interfodere biologiche per cravatteria. La provenienza delle nostre materie prime è certificata da allevamenti e coltivazioni “GOTS” rispettose dell’ambiente».

Un percorso in salita
La Art Lining è stata una delle prime, se non la prima, cooperative workers buyout in Italia. Non è stato facile. Sono partiti con un affitto di ramo d’azienda e di un capannone. Sono riusciti ad acquistare entrambi. A quel punto c’è stato il rinnovo di tutti gli impianti.
Quando sembrava fosse giunta la fase del rilancio, è arrivato il Covid. «Ha disintegrato il settore: la cravatta è ormai un articolo morto». Ma quando hai fatto tanta strada, non ti fai fermare dalla prima difficoltà. «Abbiamo deciso di diversificare la produzione, ci siamo messi immediatamente a produrre mascherine in una filiera cooperativa coordinata da Legacoop e Coopfond. I nostri prodotti erano certificati dall’Istituto Superiore di Sanità. In questo modo siamo riusciti a superare quei due anni difficili», racconta Stefania.
Gli anni successivi al boom pandemico sembravano promettere una ripresa, e invece «penso che il 2024 sia stato l’anno più difficile da quando esistiamo. La situazione riguarda in generale il settore del lusso: il mercato sta cambiando, c’è stata una contrazione importante delle vendite».
Tra guerra, inflazione e crisi energetica, nei racconti di Stefania c’è un buco nero. «Le prospettive di ripresa cominciamo a vederle adesso, nelle proiezioni del primo semestre 2025. Al momento non esiste la possibilità di un ritorno ai volumi pre-pandemici». Questo interroga anche sul futuro dell’impresa. «Penso che il nostro punto di forza – riflette – sia proprio la capacità di cambiare con le esigenze: siamo resilienti. Ovviamente il Covid ha cambiato tanto. Siamo anche diminuiti nei numeri, ma possiamo dire con soddisfazione di essere riusciti ad accompagnare alla pensione i soci più anziani».

Lavoratori che tutelano il proprio lavoro
«Oggi siamo otto soci. Prima che rilevassimo l’azienda fallita avevamo tanti dipendenti. Poi alle prime avvisaglie di crisi le persone hanno iniziato ad andare via. Quando è arrivata la prospettiva del fallimento però tutti quelli rimasti hanno fatto fronte comune, anche su indicazione del sindacato e del curatore: uniti potevamo essere meglio tutelati. E così è stato, sia sugli ammortizzatori sociali sia per quanto riguarda la creazione della nostra cooperativa». Alla fine, dei sedici che erano rimasti, in dodici hanno scelto di lanciarsi in questa nuova avventura.
Sulla homepage del sito di Art Lining possiamo leggere: «Il mondo è costellato di cose all’apparenza bellissime ma solo dentro ad alcune di esse si nasconde il segreto della qualità». Sicuramente serve a descrivere la specifica produzione cui si dedica l’impresa, che resta di lusso e senza dubbio non prioritaria in periodi di crisi. Ma conoscendo la storia di questa cooperativa non si può non pensare che è anche una descrizione del modo in cui è nata, cresciuta ed è riuscita a restare sul mercato negli ultimi diciassette anni. Mantenendo sempre la stessa priorità: conservare i posti di lavoro.
«Siamo una storia dal futuro – riflette Stefania – perché la nostra progettazione è sempre tutta orientata al dopo di noi. Pensiamo a progetti di lunga data. Un orizzonte ci vuole sempre: ti serve da stimolo. È vero che il nostro settore, soprattutto oggi, vive alla giornata, ma noi vogliamo creare progetti pensati per durare a lungo, e poi di volta in volta riadattati alle esigenze del mondo che cambia».