Artico, ecco chi (già) sfrutta il passaggio a Nord-Est
Il passaggio a Nord-Est, aperto dallo scioglimento dei ghiacci artici, consente di collegare Amburgo a Yokohama risparmiando 3.700 miglia nautiche
Nel settembre di tre anni fa, nel 2017, l’estensione della calotta glaciale artica era stata già indicata come di un quarto inferiore rispetto agli anni Ottanta. I cambiamenti climatici, infatti, procedono nella regione ad un ritmo due volte più veloce rispetto alla media del resto del Pianeta. Così, il plancton si moltiplica nelle acque, la tundra assume toni sempre più verdi, la fauna si trova privata del proprio habitat naturale. E lo scioglimento del permafrost libera CO2 che contribuisce a sua volta a peggiorare la situazione globale. C’è però anche chi, di fronte alla fusione dei ghiacci artici, gongola. Chi cerca nella zona risorse naturali, certo. Ma anche le aziende che si occupano di trasporti marittimi.
Il passaggio a Nord-Est – DocumentarioIl record della rompighiaccio Christophe de Margerie nel 2017
La riduzione della superficie della calotta ha ormai da tempo aperto nuovi orizzonti. O meglio nuove rotte, capaci di far risparmiare enormi quantità di tempo (e di denaro) alle navi. In molti, Russia in testa, sanno che la fusione dei ghiacci sta aprendo progressivamente il cosiddetto “passaggio a Nord-Est”, ovvero una nuova rotta che può collegare l’Europa all’Asia. Col vantaggio di essere molto più breve rispetto al canale di Suez.
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Utilizzando il passaggio a Nord-Est anziché quest’ultimo, un cargo che deve spostarsi da Amburgo a Yokohama riduce la propria rotta da 10.900 a 7.200 miglia nautiche. Risparmiando tempo e carburante. La rompighiaccio Christophe de Margerie, che serve il giacimento di gas di Yamal, in Russia, nel 2017 aveva raggiunto la Corea del Sud in soli 19 giorni: un record.
La Russia investe in porti, terminal e metaniere rompighiaccio
Non a caso proprio la Cina è estremamente interessata per via dei possibili sviluppi commerciali (da anni si parla di nuova “via della seta”). Esattamente come nel caso di Mosca, che già nel 2017 aveva promesso investimenti per 210 miliardi di rubli (circa 3,75 miliardi di euro). Per costruire porti, fondare città e terminali per lo smistamento di merci. Nove scali sono stati già individuati tra Mourmansk e Anadyr, nel distretto di Chukotka. Con l’obiettivo, non solo di sfruttare i nuovi trasporti marittimi, ma anche le risorse di petrolio ancora inesplorate sotto la calotta glaciale, grazie alla presenza dei colossi di Stato Rosneft e Gazprom.
Ad affiancarli, ci saranno poi anche alcuni oligarchi, compreso l’uomo più ricco di Russia, Leonid Mikhelson, che da anni ha promesso investimenti per lo sfruttamento del sito di gas naturale “Yamal LNG” (al quale partecipano anche due gruppi cinesi e la francese Total). Ma Putin ha anche avviato la costruzione di quindici gigantesche metaniere rompighiaccio (che costeranno 5,5 miliardi di dollari). Il tutto corredato dall’operazione militare “soft power”, che ha portato alla creazione di un comando unico delle forze armate del Nord, con sei basi militari già costruite nell’oceano Artico dotate di sistemi anti-missile di ultima generazione. E con la stampa russa che da un po’ insiste sul tema dell’Alaska «ingiustamente venduto agli americani» 150 anni fa.
Il passaggio a Nord-Est più rischioso rispetto al canale di Suez
Pechino, da parte sua, ha incassato (nel 2013) un’importante vittoria diplomatica, con l’ingresso nel Consiglio artico, forum internazionale che punta ad una cooperazione intergovernativa nell’area. La Cina, benché geograficamente lontanissima dal Polo Nord, è infatti stata ammessa come “osservatore permanente”. Assieme a Giappone, Corea del Sud, Singapore, India e Italia. Non è stata ammessa, invece, l’Unione europea, soprattutto per via delle reticenze avanzate dalla Russia, che non voleva internazionalizzare troppo l’organismo.
Alla fine del 2017, inoltre, il Canada ha inaugurato la prima strada che collega in tutte le stagioni l’oceano Artico al resto del continente americano. Ma è proprio Mosca a manifestare le mire più ambiziose. Il passaggio a Nord-Est, con una distanza per collegare Europa e Asia ridotta di circa un terzo, è particolarmente interessante. Il volume delle merci che ha sfruttato tale itinerario ha raggiunto nel 2017 i 10 milioni di tonnellate. Il ministero russo delle Risorse naturali prevede di arrivare a 67 milioni nel 2025. Per farlo il governo punta a rendere più sicura la navigazione nella tratta (che risulta ancora complicata).
Le nuove rotte aperte restano impraticabili in inverno
Di qui la volontà di creare 16 porti in acque profonde, 10 stazioni radar e altrettanti posti di soccorso. Occorrerà verificare se ciò sarà sufficiente ad abbassare, ad esempio, i costi delle assicurazioni, che per ora restano proibitivi. Non a caso, per ora soltanto alcune decine di navi percorrono la rotta regolarmente. Senza dimenticare che essa, in inverno, è ovviamente impraticabile. Di contro, il canale di Suez continua ad essere largamente il più utilizzato, con circa 17mila transiti all’anno.
Il piano straordinario del presidente Vladimir Putin è però giustificato, ai suoi occhi, dai numeri interni. La costa artica della Russia è lunga 22mila chilometri, e la regione garantisce il 10% del Prodotto interno lordo nazionale, nonché il 20% delle esportazioni.